Eolico offshore galleggiante: costi, prospettive e prototipi. E l’Italia è indietro

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L'eolico offshore galleggiante ha un concreto potenziale. In Europa si assiste ad uno sforzo per il suo sviluppo tecnologico, ma in Italia, nonostante per RSE il potenziale sarebbe di circa 30 TWh/anno, non sembra che politica e industria stiano guardando seriamente a questa soluzione.

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Il vento, le onde, le maree, le correnti, scorrono sul Mediterraneo lungo i 7.500 chilometri di costa della penisola italiana sotto il sole che governa tutto.

Queste forme di energia della natura con processi di trasformazione affermatisi negli ultimi trent’anni, o ancora in fase di sviluppo, possono produrre elettricità con ridottissimo impatto ambientale e sicurezza sociale a livello nazionale e internazionale a patto di affrontare seriamente una politica di sviluppo tecnologico e di pace energetica.

Certamente occorre valutare potenziali e continuità di fornitura dell’elettricità a costi accettabili del chilowattora; a questo obiettivo, tende l’avanzamento tecnologico delle suddette energie rinnovabili marine che sono una ulteriore risorsa con quelle in terraferma, già commerciali nell’ultimo decennio, quali eolico e fotovoltaico oltre lo storico idroelettrico.

L’Europa eccelle nel settore grazie all’eccezionale sviluppo costiero, continentale e insulare, lungo l’oceano Atlantico, il mare del Nord, il mar Baltico e potrebbe completarne il successo con l’inclusione del Mediterraneo, attuale teatro di conflitti sociodemografici derivanti anche dalla disuniforme distribuzione nel suo ambito delle risorse energetiche da combustibili fossili. L’Ewea, European Wind Energy Association, indica in 11 GW la potenza dell’eolico offshore al 2015 tuttora installata con turbine su fondazioni fisse nei bassi fondali (media 27 m) del Nord Europa.

Inoltre l’Ewea indica gli obiettivi dell’eolico offshore europeo di 40 GW al 2020, di 150 MW al 2030 e di 450 GW al 2050, che per essere raggiunti, dopo aver esaurito i siti in basso fondale, dovrebbero utilizzare l’eolico galleggiante in alto fondale oltre i 50m (Ewea, 2013).

Il perseguimento di obiettivi di maggior incremento delle energie rinnovabili e, nel caso specifico, di quelle marine, deriva anche dalle indicazioni della recente Cop 21 di Parigi sui cambiamenti climatici in atto, legati negli ultimi 150 anni anche al forte rilascio atmosferico di CO2 da combustibili fossili, la cui presenza è stata rilevata persino nei ghiacciai di 800mila anni dell’Antartico.

In Italia è ancora preponderante l’utilizzo dei combustibili fossili, specialmente con gli idrocarburi nel settore dei trasporti e riscaldamento, legati alla fornitura estera maggioritaria. Il gas, particolarmente favorito per le sue migliori caratteristiche ambientali, è fornito all’Italia via gasdotti o nella fase liquida Gnl con navi e stazioni di rigassificazione costiere.

È argomento attuale, la proposta, da parte di enti e industrie nazionali, di proseguire le trivellazioni marine dei progetti in corso per lo sfruttamento degli idrocarburi entro le dodici miglia, al fine di garantire le riserve energetiche strategiche: la reazione popolare, generalmente contraria perché propensa alla protezione dell’ambiente marino, ha portato al referendum del 17 aprile u.s.

L’eolico offshore galleggiante in alto fondale, lontano dalla costa, potrebbe essere più facilmente accettato, per il ridotto impatto sul paesaggio, sull’ambiente marino, la sua sicurezza e i servizi marittimi associati. Occorre valutarne il potenziale con uno specifico e articolato programma nazionale di sviluppo.

Sviluppo rinnovabile da terra a mare

La percentuale al 2015 della produzione lorda di energia elettrica da rinnovabili in Italia ammonta in totale al 42,5%, di cui il 20,6% per l’idroelettrico ormai al massimo, l’8% per il fotovoltaico, il 6,2% per le biomasse, il 5,4% per l’eolico e il 2,1% per la geotermia.

Riferendoci solo all’eolico, vista la limitatezza degli spazi su terraferma, si dispone dell’opportunità, di particolare importanza, degli impianti eolici offshore. In caso di tale scelta si dovrà tenere conto dei fondali, profondi già a breve distanza dalla costa, delle rotte marine per trasporti civili, militari e commerciali, della pesca, del turismo, delle aree protette, con limiti allo sfruttamento del potenziale energetico in mare a disposizione del nostro paese.

Proprio per questo l’Atlante eolico redatto e aggiornato da Rse (Ricerca Sistema Energetico) dal 2008 al 2014 (Atlaeolico and Tritone WebGIS Tool) ha incluso anche le aree marine verificandone la disponibilità, portando quindi a evidenziare un potenziale di circa 2 GW per fondazioni fisse in basso fondale (fino a 45m, entro 5-15 km circa dalla costa), più 10 GW con l’eolico offshore galleggiante in alto fondale (45-200 m, a 20-40 km dalla costa).

L’eolico galleggiante potrebbe generare diversi effetti positivi, per esempio la disponibilità di nuovi spazi marini da parte di paesi costieri interessati nel Mediterraneo (Francia, Spagna, Italia), nell’Atlantico (Portogallo, Spagna, Francia, Gran Bretagna, Scozia, Irlanda), nel Mare del Nord e nel Baltico, nonché sul fronte degli Stati Uniti, sia nell’Atlantico sia nel Pacifico e nei mari orientali per i paesi che affacciano su essi (Cina, Giappone, Corea).

L’eolico offshore galleggiante, inoltre, può promuovere innovazione progettuale e sviluppo industriale, come risulta dalle recenti soluzioni tecnologiche per le piattaforme galleggianti e turbine di grande taglia (5-8 MW); si creerebbero nuovi posti di lavoro con il coinvolgimento di industrie operanti sull’offshore petrolifero, nuove imprese e cantieri di costruzioni navali, compagnie di servizi portuali e società dedicate alla manutenzione e sicurezza.

Parlando di costi, l’eolico offshore galleggiante può garantire lo stesso Lcoe – cioè lo stesso costo per kWh prodotto, di quello ugualmente offshore su fondazione fissa, grazie ad una maggiore intensità del vento allontanandosi dalla costa (quindi maggiore produzione), e una maggiore facilità d’installazione, manutenzione e smantellamento a fine vita (costi operativi minori); ulteriore beneficio della distanza dalla costa, unita alle piattaforme galleggianti, sono il minore impatto ambientale, sia sulla fauna marina sia sul paesaggio.

Di contro, la dinamica della piattaforma galleggiante sotto l’azione delle onde e del vento introduce una maggiore complessità nella modellazione del progetto, dovuta all’interazione tra turbina/piattaforma, ormeggio, ancoraggio, e controllo della turbina.

Nonostante il Mediterraneo presenti regimi eolici offshore minori rispetto all’Atlantico, il costo del kWh resta, anche in questo caso, confrontabile: la minore produzione è controbilanciata da un minore costo delle strutture e dei servizi collegati, dati da una minore aggressività dell’ambiente marino mediterraneo.

Prototipi galleggianti al vento

Per dare un’idea dello sviluppo tecnologico in atto per l’eolico galleggiante, si può fare riferimento a dodici prototipi, con una potenza complessiva di 34 MW, già in funzione o previsti entro il 2016-17, in Francia, Germania, Gran Bretagna, Norvegia, Portogallo, Spagna e nei territori extra europei Giappone e Stati Uniti.

Si riporta di seguito una breve descrizione dei principali progetti realizzati o in via di sviluppo. L’eolico offshore galleggiante nasce nel 2009 con la compagnia norvegese Statoil e la tedesca Siemens che installano con successo in acque norvegesi un primo prototipo Hywind Demo (turbina Siemens da 2.3 MW) su piattaforma galleggiante a colonna (Spar) di 100 m di lunghezza zavorrata in verticale con acqua marina e ancorata con catene a tre punti al fondale di 300 m.

Nel 2017 la Statoil proseguirà in Scozia con il progetto pilota Hywind da 30 MW. Un secondo prototipo (WindFloat Atlantic 1), oggi connesso nella rete elettrica, è stato installato nel 2011 a 20 km dalla costa nord portoghese (Póvoa de Varzim) in acque profonde 80-100 m dalla ditta statunitense Principle Power.

L’impianto consiste in una turbina Vestas V80 da 2 MW su una delle tre colonne che, collegate fra di loro, formano la piattaforma semisommersa; piatti di smorzamento sulla base delle colonne e un sistema idraulico tra queste previene le oscillazioni al moto ondoso della piattaforma progettata negli USA.

Al successo del prototipo seguirà una seconda fase con fondi del governo portoghese (diciannove milioni di euro) e sovvenzione del programma E.C. Ner 300 per la centrale galleggiante dimostrativa Wfa (WindFloat Atlantic, 3-4 turbine) da 25 MW da far installare nel 2018 a 20 km dalla costa di Viana do Castelo, da parte del Consorzio Edp Renewables, Mitsubishi Corp., Chiyoda Corp., Engie and Repsol.

Un terzo prototipo galleggiante, turbina sottovento Hitachi da 2 MW su piattaforma Mitsui semisommersa a quattro colonne, è stato installato nel 2013 nelle acque profonde a 20 km dalla costa di Fukushima nella prima fase (2011-2014) del progetto Forward seguito nel 2015 da altri due prototipi galleggianti (quarto e quinto) nella relativa seconda fase (2015-17): turbina Mitsubishi da 7 MW su piattaforma con forma a V semisommersa Mitsubishi a quattro colonne e turbina Hitachi da 5 MW su piattaforma Japan Marine United a colonna modificata (Advanced Spar).

Un prototipo, a dimensioni ridotte e oggi una turbina da 2MW su piattaforma galleggiante a colonna (Spar), installato nel 2011, è ancora in prova all’isola di Goto (Nagasaki).

Mar del Giappone

Il Giappone, a seguito del maremoto del 2011 e del conseguente incidente di Fukushima, con la quasi chiusura del nucleare, ha rafforzato il programma delle energie rinnovabili con la scelta del mare, per la sua estesa zona economica esclusiva come particolare area di sviluppo dell’eolico, vista la non sufficiente disponibilità di siti in terraferma.

La profondità delle acque oceaniche costiere ha portato alla scelta dell‘eolico offshore galleggiante con le due fasi del già riportato progetto Fukushima Forward, realizzato dall’apposito Consorzio di industrie marittime (Marubeni, Mitsubishi, Hitachi, Mitsui, Japan Marine United), Università di Tokyo e altri istituti, con il finanziamento del ministero dell’Economia.

A fine prova dei prototipi illustrati in precedenza, seguirà una centrale eolica galleggiante pilota da 80 MW per avviare la fase commerciale e successivamente una centrale di 140 turbine da 7 MW per una potenza totale di 1000 MW corrispondente in termini di produzione elettrica ad una centrale nucleare di minor potenza (circa 2/3), ma con maggior sicurezza.

Il piano nazionale di sviluppo dell’eolico al 2050 prevede un totale di 75 GW di cui 38 GW in terraferma, 19 GW in offshore basso fondale (fondazioni fisse) e 18 GW in galleggiante.

Oltre al Giappone e al Portogallo la Francia, con obiettivo al 2020, sta lanciando un corposo programma di sviluppo dell’eolico offshore galleggiante, più adatto alla profondità del mare lungo le coste dell’Atlantico e del Mediterraneo. E così pure la Scozia tra il mare del Nord e l’Atlantico e gli stessi Stati Uniti tra l’Atlantico a est e il Pacifico a ovest.

In previsione di un mercato internazionale dell’eolico galleggiante nel prossimo decennio un’analisi esplorativa è stata condotta nel 2015 dalla francese Innosea partendo dai dati disponibili in varie pubblicazioni specialistiche del settore e adottando particolari indici di realizzabilità dei progetti.

Il risultato complessivo ha portato a ottenere circa 1.5-2.4 GW di impianti di probabile realizzazione al 2030 di cui il Giappone coprirebbe circa la metà 0.8-1.2 GW principalmente con il progetto Fukushima Forward, e in ritardo l’Europa con 0.4-0.7 GW e gli Stati Uniti con 0.3-0.5 GW.

Alla luce dell’attuale panorama internazionale si può chiedere cosa si è fatto finora in Italia? Sulla base delle prime valutazioni di potenziale offshore in zone costiere fino a fondali di 40m è stato presentato, a giugno 2010, alla Commissione Europea il Piano d’azione nazionale (Pan) per le energie rinnovabili, che prevedeva per l’eolico offshore (in basso fondale), 100 MW (0.25TWh/ anno) al 2013, 168 MW (0.45TWh/anno) al 2015 e 680 MW (2.00 TWh/anno) al 2020.

Nonostante le buone prospettive e l’interesse suscitato in investitori europei e italiani almeno per l’eolico offshore in basso fondale il risultato è stato un nulla di fatto.

Negli ultimi dieci anni sono stati proposti, senza esito positivo, quindici progetti eolici su bassi fondali (10-25 m) a circa 5-15 km dalla costa per i mari: Adriatico (Emilia Romagna, Abruzzo, Molise, Puglia), Ionio e mari di Sicilia. Alcuni progetti disponevano di atti autorizzativi favorevoli, ma non conclusivi per l’iter decisionale e burocratico complesso e lungo (anche nove anni), presso lo Sportello Unico con coinvolgimento decisionale di: Consiglio di Stato, Presidenza del Consiglio, Consiglio dei Ministri, ministeri (particolarmente contrario il ministero dei Beni Culturali), Regioni, Comuni, Enti locali.

Si sono registrate reazioni non positive anche da parte di alcune associazioni ambientaliste locali e di gruppi sociali non ben informati. Inoltre per gli impianti eolici offshore mancano ancora: la pianificazione delle zone marittime nazionali richiesta nel 2014 dal Parlamento Europeo ai paesi membri, la specifica normativa per la valutazione impatto ambientale (Via) e le linee guida per l’approvazione dei progetti. Unica eccezione a questo stato di fatto sarebbe la centrale eolica offshore sviluppata dalla Beleolico srl a Taranto, la prima in Italia e nel Mediterraneo operativa dal 2016, con la possibilità di ottenere successivi eventuali incentivi sul kWh secondo le proposte 2015 del Mise per le fonti rinnovabili.

La centrale offshore da 30 MW (dieci turbine da 3MW) è stata installata nel Mar Grande della rada esterna del porto di Taranto, con fondazioni fisse, in fondale di circa dieci metri (sei turbine fuori diga foranea, quattro turbine esterne al molo terminal container) e assicurerà la fornitura di elettricità al porto di Taranto.

Per l’eolico offshore galleggiante c’è una possibilità di affermazione in un prossimo futuro? Il potenziale c’è. Dallo stesso atlante eolico Rse si è potuto valutare in alto fondale un potenziale di circa 10 GW (30 TWh/anno, 10% della produzione elettrica lorda nazionale).

In Europa è in atto un significativo sforzo di sviluppo tecnologico, l’industria nazionale non partecipa, né sono stati definiti gli obiettivi nazionali del settore.Vale comunque la pena ricordare l’unico tentativo in Italia e primo esperimento europeo di turbina eolica galleggiante del 2008 nel mare della Puglia.

Su di un fondale di 100 m, a circa 20 km dalla costa di Tricase, fu installato e provato per alcuni mesi, in scala ridotta dall’olandese Blue H (con filiale in Italia), il prototipo di turbina galleggiante da 80 kW su piattaforma sommersa (a scala ridotta per una turbina da 2 MW) a tiranti (Tlp) ancorati sul fondale a gravità con massiccia struttura in calcestruzzo.

Purtroppo, a fine 2008, dopo qualche anno dalla fortunosa rimozione in mare agitato della piattaforma, per decadenza del permesso d’uso del sito a mare, la fase successiva di progetto Blue H della turbina su piattaforma galleggiante a piena scala fu abbandonata per difficoltà autorizzative.

Un futuro nel vento sul mare

Nonostante l’insufficiente operatività della programmazione nazionale e il disinteresse dell’industria, numerosi ricercatori universitari di varie città (Firenze, Genova, La Sapienza di Roma, Pescara, Politecnico di Milano, Trento), del Cnr e dell’Enea, anche con fondi del Mise, del Miur, della Commissione Europea, hanno svolto studi e progetti nel settore dell’eolico offshore in basso fondale e galleggiante che hanno presentato ai Seminari Europei Owemes.

In effetti, un gruppo di ricercatori, dal 1994 in Enea per l’eolico offshore e dal 2006 con l’associazione non profit Owemes anche per le altre energie marine (onde correnti, maree e così via), ha organizzato otto edizioni del seminario triennale europeo Owemes: Roma (1994), La Maddalena (1997), Siracusa (2000), Napoli (2003), Civitavecchia (2006), Brindisi (2009), Roma (2012 e 2015).

Fino al 2003, l’evento tematico Owemes sull’eolico offshore è stato unico in Europa con notevole coinvolgimento dei paesi comunitari; successivamente l’Ewea e altre associazioni europee hanno organizzato eventi di notevole livello con il supporto della commissione Europea e delle industrie nord europee in pieno sviluppo, mentre Owemes ha portato avanti la sua azione propositiva a livello nazionale e Mediterraneo. Oggi si pone dunque un quesito.

L’Italia vuole ancora sfruttare il significativo potenziale eolico offshore che per la caratteristica delle sue coste è connesso all’eolico galleggiante? Vuole far emergere finalmente la potenzialità dell’innovazione tecnologica di ricercatori, progettisti, imprenditori coinvolgendo industrie, cantieri navali, strutture portuali, insomma creando lavoro e generando elettricità dal mare?

Si dia da fare chi governa il paese: abbiamo ricercatori, industrie cantieri, imprenditori da attrarre su questo nuova impresa energetica.

L’articolo è stato pubblicato nel n.2/2016 della rivista bimestrale QualEnergia, con il titolo “Vento di mare profondo”.

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