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La scarsità di acqua mette sotto pressione il sistema energetico

Ondate di calore, siccità, cambiamenti climatici con precipitazioni sempre più scarse e variabili in molte zone del pianeta: diversi studi e documenti spiegano perché le risorse idriche sotto stress possono compromettere la “tenuta” del sistema elettrico in tanti paesi, Italia compresa.

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Alte temperature, scarsa produzione delle fonti non programmabili (eolico e fotovoltaico), bassa idraulicità.

Questo è il mix di “condizioni estreme” che secondo le simulazioni ENEA – in linea con le valutazioni espresse dall’associazione europea degli operatori di rete ENTSO-E – potrebbe causare problemi di adeguatezza per il mercato elettrico italiano nei mesi estivi, soprattutto nelle regioni del Centro-Nord.

Nel breve-medio periodo, si leggeva in analisi trimestrale ENEA del sistema energetico, sui primi mesi del 2017, “sarà importante capire in che misura i fattori congiunturali, che hanno determinato le criticità emerse negli ultimi mesi, possano divenire strutturali”.

Tra questi fattori non c’è solo il previsto calo della produzione nucleare francese, ma anche le conseguenze dei cambiamenti climatici in atto, in particolare le ondate di calore, la siccità prolungata e il minore apporto della fonte idroelettrica, la cui generazione è sempre più discostata dalla media trimestrale degli ultimi dieci anni, come mostra il grafico qui sotto (se consideriamo il periodo gennaio-maggio in Italia la produzione idroelettrica dal 2014 al 2017 ha perso 10,8 TWh).

“Le variazioni nel regime delle precipitazioni”, evidenzia così il documento, “stanno avendo notevoli effetti sul sistema elettrico […]”.

La relazione tra energia e acqua è molto più stretta di quanto si pensi e comprende tutte le fonti, sia fossili sia rinnovabili. Una recente analisi del World Resources Institute (WRI) non lascia dubbi fin dal titolo (No Water, No Power).

Tra gli effetti più disastrosi della siccità che ha colpito il Kenya nei mesi scorsi, sostengono gli autori, c’è l’emergenza idrica e alimentare per milioni di persone, con la perdita di raccolti e bestiame.

Anche il settore energetico ha avuto i suoi contraccolpi provocati dal clima così arido, tanto che il margine di riserva, cioè la quantità di energia che serve a coprire i picchi di domanda, è crollato al 4,4%, quindi molto al di sotto del 15-20% raccomandato per minimizzare il rischio di blackout estesi.

In India, aggiungono gli esperti del World Resources Institute, nel 2016 l’industria del carbone ha perso almeno 350 milioni di dollari a causa della siccità estrema che ha bloccato il funzionamento di molte centrali.

Il punto è che il settore termoelettrico – reattori nucleari, unità a gas, carbone e biomasse – è molto vulnerabile alla scarsità di risorse idriche. Tutti questi impianti richiedono moltissima acqua per molteplici esigenze, ad esempio per i sistemi di raffreddamento (cooling) e per generare vapore; acqua che in molti casi è prelevata direttamente da fiumi e laghi situati nelle vicinanze.

Oltre il 90% della produzione mondiale di elettricità, osserva poi il WRI, è garantito dalle centrali idroelettriche-termoelettriche, quindi la riduzione degli approvvigionamenti idrici è un fattore di rischio sempre più elevato da considerare nelle decisioni d’investimento.

Perfino in Europa, prosegue l’analisi, la generazione termoelettrica potrebbe calare del 19% dal 2030 al 2060 per via degli impatti climatici con la conseguente crisi delle forniture idriche.

In Cina, Brasile, Stati Uniti e altri paesi, negli ultimi anni, la minore disponibilità d’acqua nei bacini artificiali ha costretto tantissime dighe a operare ben sotto la massima capacità, una situazione questa che minaccia di diventare cronica con il continuo innalzarsi delle temperature medie globali.

Lo stress-idrico sarà un problema sempre più rilevante in Africa, ad esempio nelle zone sub-sahariane in cui sarà fondamentale estendere l’accesso all’energia con micro-reti rinnovabili anziché impianti convenzionali, maggiormente soggetti a blackout in caso di siccità.

Le possibili soluzioni sono diverse: da un lato, investire di più in fonti pulite come l’eolico e il fotovoltaico, per costruire un mix energetico a basso contenuto di CO2 e in grado di consumare pochissima acqua, con l’ulteriore vantaggio di minimizzare la competizione tra differenti utilizzi del prezioso liquido (produzione energetica, agricoltura, usi domestici).

Dall’altro, occorre diminuire l’impatto idrico degli impianti termoelettrici, ad esempio con tecnologie di raffreddamento ad aria o acqua marina desalinizzata e sistemi di recupero-riciclo dell’acqua.

Il nesso energia-acqua è stato approfondito anche dalla IEA (International Energy Agency), rimarcando la necessità di contenere la “sete” della transizione energetica, perché ad esempio la produzione su vasta scala di biocarburanti accresce moltissimo i consumi idrici, così come lo sviluppo di nuovi reattori nucleari e la realizzazione di grandi impianti solari termodinamici.

Tra i rischi climatici più urgenti da affrontare, secondo un recente studio del Financial Stability Board, ci sono proprio quelli “fisici” dovuti alle ondate di calore e alla variabilità delle precipitazioni.

E tra i potenziali impatti finanziari – torniamo qui alla letteratura sulle infrastrutture che rischiano di tracollare perché non più remunerative: stranded asset – lo studio segnala l’incremento di costi operativi causato dalla diminuzione delle forniture d’acqua indispensabili per attivare gli impianti idroelettrici e per raffreddare i reattori nucleari e le centrali fossili (vedi QualEnergia.it).

(Articolo originariamente pubblicato il 18 luglio 2017, riproposto oggi, 22 marzo 2018, in occasione della giornata mondiale dell’acqua)

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