Le lacrime e le scelte sbagliate delle utility

Il termoelettrico in crisi continua ad invocare un soccorso a spese delle rinnovabili. Ma “bisogna salvare e proteggere dalla competizione oligopoli vecchi e che spesso già godono di aiuti pubblici quando scommettono contro l'innovazione e perdono?” chiede Amory Lovins in un articolo pubblicato sul blog del Rocky Mountain Institute.

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Abbiamo pubblicato ieri gli ennesimi dati sulla crisi dell’energia convenzionale in Italia, messa in ginocchio dal calo dalla domanda, un eccesso di potenza  dovuto a investimenti sbagliati fatti in passato e, last but not least, la concorrenza delle fonti rinnovabili. Numeri che mostrano un crollo del termoelettrico, la cui produzione è scesa del 13% in un anno, e che Assoelettrica riprende per invocare un soccorso agli impianti convenzionali, soprattutto cicli combinati a gas, da finanziare anche a spese delle nuove energie pulite.

In risposta alla lobby elettrica si potrebbero usare le parole di Amory Lovins, una delle voci più importanti dell’ambientalismo americano e mondiale. “Bisogna salvare e proteggere dalla competizione oligopoli vecchi e che spesso già godono di aiuti pubblici quando scommettono contro l’innovazione e perdono?”, chiede in un articolo pubblicato alcuni giorni fa sul blog del Rocky Mountain Institute.

“Le grandi utility europee – è la sua risposta – avrebbero dovuto prepararsi all’avvento delle rinnovabili reinvestendo i centinaia di milioni di euro scaricati sui consumatori per i permessi ad emettere CO2 che, nella prima decade dell’ETS, sono stati assegnati ai produttori in maniera gratuita. Non l’hanno fatto. Ora si lamentano che le nuove tecnologie stanno compromettendo il loro modello di business, proprio come gli innovatori già da decenni avvertivano sarebbe successo. Le innovazioni rivoluzionarie necessariamente sovvertono lo status quo per portare un cambiamento che ripaga del prezzo dello sconvolgimento. Avremmo dovuto rifiutare i telefoni cellulari perché minacciavano di spiazzare i telefoni fissi? Le macchine fotografiche con la pellicola non sono forse state rese obsolete dalle digitali? I giornali in cartaceo non dovrebbero inventarsi nuovi modelli di business per confrontarsi con l’ascesa di internet?”

La provocazione di Lovins parte da un servizio realizzato dall’Economist, nel quale si denuncia appunto la crisi delle utility europee, mostrando che le 20 più grandi dal 2008 al 2013 hanno perso metà del loro valore. Una riforma del mercato che comprenda un capacity market ben disegnato e basato sulla neutralità tecnologica, potrebbe essere una cosa giusta – concede il fisico statunitense – ma non bisogna premiare strategie di investimento mal fatte che si rifiutano di abbandonare un sistema arcaico.

Come in Italia sappiamo, infatti, le rinnovabili hanno solo acuito una crisi dell’energia convenzionale dovuta a scelte sbagliate: con il miglioramento dell’efficienza, la riduzione dell’intensità energetica e, negli ultimi anni, la crisi, la situazione di overcapacity che stiamo vivendo nel nostro paese – una potenza installata doppia rispetto al fabbisogno – si sarebbe verificata anche senza l’avvento di fotovoltaico ed eolico. Eppure si sono investite decine di miliardi di euro in cicli combinati a gas pur sapendo degli obblighi che il nostro paese aveva in materia di energie pulite.

All’Economist che denuncia come fonti “economiche ed affidabili”, le fossili, stiano soccombendo ad altre “care e inaffidabili”, fotovoltaio, eolico, eccetera,  Lovins risponde con qualche esempio. Paesi con penetrazione massiccia di rinnovabili non hanno avuto problemi di sicurezza del sistema elettrico, vedasi quanto accaduto in Germania (rinnovabili al 23% già nel 2012), Danimarca (41%), Portogallo (70%) e Spagna (nel 2013 il 42% dell’elettricità da rinnovabili e il 21% dal solo eolico).

Quanto ai costi, argomenta, l’eolico negli Usa in alcuni casi vende già ora a un prezzo fisso per 25 anni di 22 $/MWh, il solare a 70 $/MWh, mentre le fossili saranno sempre più costose, anche perché, si spera, che il mercato della CO2 inizi a funzionare meglio, e poi con un nucleare che non si riesce a fare neanche quando, come sta succedendo in Gran Bretagna, si promette di pagare l’energia il doppio del prezzo di mercato e si concede una garanzia sul prestito pari al 65% dell’investimento. Che le rinnovabili siano antieconomiche – continua Lovins – è smentito da quanto avviene in Germania, dove, grazie al contributo dell’energia da sole e vento, il prezzo del MWh all’ingrosso in 5 anni è calato del 60%.

Insomma, i motivi per i quali le fonti pulite siano destinate a rivoluzionare il sistema energetico sono chiari. E il cambiamento in atto è evidente: in Cina, il paese con il programma nucleare più aggressivo e con una domanda di energia in crescita vertiginosa, si sta installando più nuova potenza da rinnovabili che da atomo e carbone sommati assieme. Già nel 2012 la produzione dell’eolico ha superato quella del nucleare, mentre è scesa la quota (ancora enorme) del carbone. Le rinnovabili, spiega Lovins, negli ultimi 3 anni stanno attirando investimenti per oltre 250 miliardi di dollari l’anno. Il fotovoltaico ha superato in installazioni l’eolico e si sta diffondendo con ritmi superiori anche a quelli che abbiamo visto per i cellulari.

Anziché opporsi al cambiamento, conclude il direttore del Rocky Mountain Institute, le utility farebbero bene a sperimentare nuovi modelli di business, come quello di fornire servizi energetici anzichè mera energia. Ad esempio, nell’era degli edifici ad energia quasi zero, vendere solo elettricità non sarà probabilmente una buona idea, bisognerà farsi pagare anche il risparmio energetico fornito. I grandi dell’energia devono abbandonare l’approccio difensivo e guardare avanti. Se stanno vivendo la crisi attuale – rimarca Lovins – è proprio perché non sono stati lungimiranti: “Commissionare nuove centrali a carbone quando erano già noti gli obiettivi su rinnovabili e CO2 è stato come investire nella produzione di carrozze quando iniziava a diffondersi l’automobile”.

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