I petrolieri vincono sui media, ma la battaglia è un’altra

CATEGORIE:

"Il petrolio sarà abbondante grazie alle nuove tecnologie". E' questa la controffensiva comunicativa dell'industria, ma l'economia mondiale dimostra di non reggere gli alti prezzi dell'oro nero. Gli analisti del picco del petrolio hanno ragione, ma ora sta vincendo il messaggio dell’industria dei fossili. Un breve video del Post Carbon Institute.

ADV
image_pdfimage_print

La comunicazione energetica degli ultimi mesi, forse da oltre un anno a questa parte, è stata inondata da moltissimi articoli e rapporti (qui abbiamo parlato di quello di Leonardo Maugeri, peraltro recentemente smentito anche da fonti saudite) che glorificano un futuro dove il petrolio non mancherà, un radioso sole dell’avvenire, insomma. L’industria petrolifera è capace di manipolare i mass media (alcuni arrendevoli, altri prezzolati), Governi, partiti e cittadini, che peraltro avrebbero a disposizione su internet numerose fonti ufficiali per capire che la situazione non è così rosea né limpida. Anche sul gas, l’industria del settore negli USA sta comprando spazi televisivi per raccontare agli americani che per questo fonte non dovranno preoccuparsi almeno per i prossimi 100 anni. Anche se poi le ultimissime stime del Governo sull’offerta futura del gas USA sono state decisamente ridimensionate.

In sintesi, il picco del petrolio (e va da sé che il concetto si può allargare – come fanno poi in effetti gli economisti – a tutte le categorie di risorse naturali e minerarie) è solo una preoccupazione del passato, poiché le nuove tecnologie estrattive ci aiuteranno a tirare fuori quelle risorse non convenzionali prima inaccessibili. Il messaggio è “Nessun problema, continuate a guidare”. La fiducia nella tecnologia è grande e tutto può risolvere. Ma gli effetti collaterali – lo sappiamo – sono dietro l’angolo: i costi economici e ambientali di dimensioni colossali.

Il pensiero unico è presente anche nella campagna presidenziale statunitense, dove entrambi i candidati, Obama e Romney, credono ciecamente al ruolo primario e salvifico del petrolio non convenzionale da tar sands, fracking e da aree offshore nelle grandi profondità. “Gli USA a breve verso l’indipendenza energetica”, spiega ai suoi potenziali elettori il candidato repubblicano.

Deboli voci, sommerse dalle grida di giubilo di economisti e ottimisti, dalla stampa e dalla politica, cercano però di raccontare un’altra realtà.

È il caso del Post Carbon Institute e del suo principale rappresentante, Richard Heinberg, che in un breve video di poco più di due minuti, che riportiamo in calce, spiega cosa stia accadendo. La sua è un’interpretazione conosciuta dagli ambientalisti, ma qui esposta con esemplare semplicità e dinamicità.

La produzione di greggio nel mondo – dice – è pressoché piatta dal 2005, mentre i prezzi sono impazziti. In aree ricche di petrolio sono scoppiate guerre e l’economia globale è andata in caduta libera. Tutto questo ha fatto entrare nel lessico corrente il termine “picco del petrolio”, tanto da richiedere all’industria petrolifera una massiccia controffensiva per dire che il problema oggi e domani sarà risolto dalla tecnologia.

Tuttavia, spiega Heinberg, la maggior parte di queste tecnologie sono applicate già dagli anni ’80 e anche le risorse non convenzionali sono conosciute da decenni dai geologi. Quello che è mutato in questa periodo è l’elevato prezzo del petrolio, che è poi quello che permette di investire in queste tecnologie in genere molto costose (che peraltro producono olio di scarsa qualità) in termini di denaro ed energia, oltre che di utilizzo di acqua (nel caso del fracking), con sconvolgimenti importanti dell’ambiente.

Ma è l’economia che non riesce a gestire gli alti prezzi del petrolio e risponde andando in recessione e la conseguente volatilità dei prezzi dell’energia rende soggetta l’industria a fasi di espansione e di arretramento.

La conclusione? Di petrolio ne abbiamo, ma non possiamo permettercelo. Gli analisti del picco del petrolio avevano ragione, ma in questa fase sta vincendo la battaglia comunicativa dell’industria dei fossili.

Heinberg spiega che ciò che è importante non è tanto chi vince il dibattito, ma come ci stiamo preparando per l’inevitabile e da come ci affranchiamo da uno stile di vita altamente energivoro. Non possiamo aspettare gli eventi per stabilire chi ha ragione. “Diciamo addio al petrolio. Perché lui sta dicendo addio all’umanità”, commenta Heinberg.

Un messaggio che giriamo anche ai nostri governanti dalle visioni di breve periodo.
 

ADV
×