L’Obama che non piace all’America verde

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Un passo indietro sulla regolamentazione sugli standard di ozono segna il distacco degli ambientalisti da un presidente troppo esposto alle pressioni delle lobby industriali che giocano sullo spauracchio della crisi e della perdita dei posti di lavoro. Ora si attendono due proposte di legge con i limiti di emissione per centrali energetiche e raffinerie.

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La delusione dell’America ambientalista nei confronti di Obama può essere sintetizzata con le parole di Al Gore apparse in un lungo editoriale sulla rivista Rolling Stone: “La sua elezione è stata accompagnata dall’intensa speranza che molte delle cose che dovevano cambiare sarebbero cambiate. Alcune lo hanno fatto, altre no. La politica climatica, purtroppo, rientra nella seconda categoria”.


Il momento è cruciale. Nei prossimi mesi l’amministrazione dovrà prendere delle decisioni sulla regolamentazione in materia di inquinamento atmosferico ed emissioni di gas serra e rivedere il Clean Air Act. La direzione verso cui sceglierà di muoversi segnerà la politica climatica di Obama fino a fine mandato.


Ma i segnali non sono buoni. Le lobby industriali stanno facendo sentire la propria voce e finora Obama non si è mostrato sufficientemente forte da opporsi a un settore che, in un momento di crisi, è cruciale per l’occupazione, altro punto dolente per l’amministrazione. Così, la settimana scorsa, è arrivata la decisione di abbandonare per il momento il piano di inasprire i limiti sulla qualità dell’aria a livello nazionale.


L’Environmental Protection Agency (Epa) aveva proposto una regolamentazione che avrebbe significativamente abbassato le emissioni, ma che allo stesso tempo avrebbe potuto rappresentare un limite per l’industria, in un momento di sofferenza economica. Questa l’opinione dei repubblicani e di gruppi di imprenditori all’interno del Congresso, secondo cui i nuovi standard sarebbero costati miliardi di dollari e centinaia di migliaia di posti di lavoro.


Quella proposta dall’Epa, e messa nel cassetto da Obama almeno fino al 2013, era una legge che prevedeva di ridurre il cosiddetto standard di ozono dalle 75 parti per miliardo stabilite dall’amministrazione Bush a un più restrittivo limite tra le 60 e le 70 parti per miliardo. Una modifica che avrebbe portato fuori legge centinaia di aziende nel Paese. La decisione di sospendere quel testo, è stata giustificata da Obama con la motivazione di voler aspettare i risultati di un nuovo studio che potrebbe portare al riesame dello standard di ozono: “Non chiederò agli Stati e alle amministrazioni locali di adottare nuovi standard che potrebbero essere presto rivisti” ha detto il presidente. Affermazioni che non lo hanno messo al riparto dall’ira degli ambientalisti, secondo cui il presidente starebbe semplicemente cedendo alle pressioni dell’industria.


Il democratico Henry Waxman, numero uno del Comitato per l’energia e il commercio e alleato chiave di Nancy Pelosi, ha usato parole dure: “Per l’elettorato ambientalista è molto scoraggiante, non c’era una reale motivazione logica per questa decisione – ha dichiarato Waxman al bollettino della capitale, The Hill – È sembrato semplicemente che stessero cedendo a forti pressioni e non credo che sia così che le cose dovrebbero andare. Penso piuttosto che avrebbero dovuto andare avanti con una legge, basata su conoscenze scientifiche, che fissasse uno standard per l’ozono in grado di proteggere la salute pubblica”.


Nonostante questo passo indietro, riduzione delle emissioni e qualità dell’aria hanno ancora un posto nell’agenda del presidente per i prossimi mesi. Obama si è affidato all’Epa per elaborare, entro dicembre, due proposte di legge con l’indicazione dei limiti di emissione per le centrali energetiche e per le raffinerie: i testi definitivi dovrebbero essere pronti rispettivamente entro maggio e novembre 2012.


Resta da superare la barriera di un’accesa opposizione da parte dell’industria che continua a giocare la carta dell’occupazione. In  una lettera indirizzata a Obama, un gruppo di industriali conservatori spiegava che, se fosse passata la proposta dell’Epa sull’ozono, 7,6 milioni di posti di lavoro sarebbero andati persi entro il 2020 e molti ulteriori milioni andrebbero persi se fossero approvate le altre azioni proposte dall’agenzia. Secondo la Chamber of Commerce, se le regolamentazioni dovessero diventare troppo rigide, molte aziende sarebbero costrette a chiudere e gli imprenditori americani sposterebbero i propri investimenti all’estero.


Ci sono tuttavia voci in controtendenza: secondo uno studio dell’Università del Massachusset lo sforzo di riduzione delle emissioni da parte delle centrali a carbone potrebbe creare 1,5 milioni di nuovi posti di lavoro ogni anno per un periodo di cinque anni.


Il dibattito resta aperto. Starà a Obama dare una prova di forza nel non fare ulteriori concessioni all’industria e nel convincere gli americani, contro la rinvigorita campagna negazionista portata avanti da molti repubblicani, che i cambiamenti climatici sono un problema reale che avrà effetti a lungo termine.

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