“Gli Stati Uniti e il mondo affrontano una profonda crisi climatica. Il tempo che abbiamo per agire in patria e all’estero è poco, se vogliamo evitare gli impatti più catastrofici di quella crisi e per cogliere l’opportunità che la lotta al cambiamento climatico presenta”.
Si aprono così gli ordini esecutivi firmati ieri dal Presidente USA, Joe Biden, sulla doppia lotta alla crisi del clima e dell’economia, in quello che è un ribaltamento completo delle politiche negazioniste sull’effetto serra e pro-fossili della passata amministrazione Trump.
In estrema sintesi, con questi tre ordini esecutivi, Biden ha dato il via a tutte le promesse in materia di energia fatte in campagna elettorale per affrontare i mutamenti climatici: ha ordinato alle agenzie federali di non sovvenzionare più i combustibili fossili e di stimolare lo sviluppo dell’energia pulita; ha sospeso il rilascio di nuovi permessi di perforazione di petrolio e gas nel demanio federale, richiedendo anche una revisione dei contratti di locazione esistenti; ha disposto lo sviluppo di un piano che consenta agli Stati Uniti di rispettare gli obblighi di riduzione delle emissioni secondo l’accordo di Parigi; e infine ha premuto sull’acceleratore regolatorio per consentire lo sviluppo, l’autorizzazione e la costruzione di nuovi impianti fotovoltaici, eolici e per la trasmissione dell’energia sui terreni federali.
Gli ordini esecutivi forniscono insomma le prime indicazioni concrete su come Biden cercherà di utilizzare il potere di spesa del governo federale per sostenere i suoi impegni di tagliare le emissioni di carbonio del settore elettrico a zero entro il 2035 e raggiungere un’economia senza carbonio entro il 2050.
Sebbene Biden non abbia formalmente dichiarato un’emergenza climatica per gli USA, come alcuni attivisti avevano auspicato, il presidente statunitense ha riconosciuto la minaccia trasversale del cambiamento climatico in un altro modo. Uno degli ordini, infatti, eleva la crisi climatica a fulcro della politica estera e a priorità massima per la sicurezza nazionale e geostrategica, rispolverando un memorandum emesso alla fine del secondo mandato di Barack Obama e che era stato rapidamente revocato dal suo successore Donald Trump. In particolare, Biden ha chiesto al neo-segretario alla Difesa Lloyd Austin di preparare un’analisi dei rischi sulle implicazioni di sicurezza nazionale e geostrategica della crisi climatica.
Tale provvedimento segue la nomina dell’ex segretario di Stato John Kerry a inviato speciale di Biden sul cambiamento climatico – ed è la conferma che il neo-presidente Usa intende fondere sicurezza nazionale, politica estera e politica climatica in un insieme organico e coerente, come accennato in un precedente articolo.
Il cambiamento climatico è stato chiamato un “moltiplicatore di minacce” in quanto intensifica tutte le altre criticità per la sicurezza nazionale, come la competizione economica e geopolitica tra paesi, l’estremismo politico e l’insicurezza alimentare e idrica.
In un recente editoriale, Sherri Goodman, ex vice sottosegretario alla difesa per la sicurezza ambientale sotto l’amministrazione Clinton, ha dato diversi esempi di come questo stia già accadendo in tutto il mondo: i reclutatori dello Stato Islamico stanno arruolando agricoltori che hanno perso i loro mezzi di sussistenza a causa della siccità. La siccità sta anche esacerbando la povertà e l’insicurezza alimentare che spinge molti migranti dall’Africa sub-sahariana sulle nostre coste e dall’America centrale verso gli Stati Uniti. Anche i pesci stanno migrando verso acque più fresche, per esempio in aree contese del Mar Cinese meridionale, creando tensioni fra i pescatori di diversi paesi. Nell’Artico, lo scioglimento dei ghiacci e del permafrost sta aprendo nuove rotte commerciali e una corsa alle risorse, con potenziali nuovi conflitti.
Richiedere alle agenzie di analizzare le minacce alla sicurezza nazionale attraverso la lente del cambiamento climatico potrebbe insomma cambiare il modo in cui vengono allocate le risorse militari americane e dove vengono forniti gli aiuti esteri.
Scendendo più nel dettaglio degli ordini appena firmati, Biden vuole che tutte le “auto blu” e tutti gli altri mezzi di trasporto su strada della flotta-veicoli federale siano elettrici e vuole inoltre che l’intera struttura federale – il maggiore consumatore di energia degli USA – si procuri energia pulita per i propri fabbisogni.
“Gli appalti pubblici hanno giocato un ruolo cruciale nel guidare la commercializzazione precoce e la maturazione di tutta una serie di tecnologie”, ha detto Jesse Jenkins, professore alla Princeton University e co-autore di un rapporto sui percorsi di decarbonizzazione degli Stati Uniti, in un’intervista a Green Tech Media.
Gli ordini esecutivi hanno inoltre dato il via alla ricerca su come pagare gli agricoltori affinché sequestrino più carbonio nei loro terreni. Biden ha poi riesumato un programma dell’era del New Deal per piantare alberi, proteggere la biodiversità e ripristinare i terreni pubblici degradati, impegnandosi a conservare almeno il 30% delle terre e degli oceani nazionali entro il 2030, un’iniziativa che più di 50 altri paesi hanno già firmato.
Molto importante per l’amministrazione Biden sarà anche l’equità della transizione energetica. Nell’ambito di una “giusta transizione“, Biden ha formato un nuovo gruppo di lavoro per coordinare gli investimenti nelle comunità più disagiate, con l’obiettivo, per esempio, di rimediare ai problemi ambientali causati da miniere di carbone e pozzi di petrolio e gas abbandonati.
L’altro lato di una “giusta transizione”, secondo gli ordini esecutivi di Biden, consisterà nell’affrontare l’impatto sanitario ed economico delle crisi che colpisce in modo sproporzionato le comunità nere, ispaniche e native americane, presenti più di altre vicino a infrastrutture inquinanti e in aree vulnerabili ai mutamenti climatici, anche a causa di un razzismo sistemico.
A tal fine, Biden ha preso provvedimenti per mettere la giustizia ambientale nell’agenda di ogni agenzia federale, compreso il dipartimento della Giustizia. Al centro di tale strategia c’è un’iniziativa chiamata “Justice40“, secondo cui il 40% dei benefici delle spese legate al clima deve servire “le comunità svantaggiate”.
“L’impiego del potere d’acquisto federale per accelerare l’elettrificazione dei trasporti e lo sviluppo dell’energia pulita creerà posti di lavoro ben pagati e crescita economica in ogni angolo d’America”, ha detto Jeff Dennis, direttore generale e consigliere generale di Advanced Energy Economy, in una nota.
L’azione politica basata su ordini esecutivi è però notoriamente un’impresa difficile, vista la vulnerabilità di tali ordini ai contenziosi legali e alla loro facile cancellazione da parte di future amministrazioni – proprio come successo per gli ordini esecutivi di Trump. Realizzare le politiche di Biden richiederà quindi non solo ordini esecutivi, ma anche provvedimenti legislativi che i democratici potrebbero fare comunque fatica a passare in un Senato dove il partito detiene una maggioranza sottilissima.
Ma anche così, “questo è il più grande giorno per l’azione sul clima in più di un decennio”, ha detto Gene Karpinski, presidente della League of Conservation Voters, nel commentare la firma dei tre ordini esecutivi.
“Abbiamo già aspettato troppo a lungo per affrontare questa crisi climatica, non possiamo più attendere”, ha detto Biden mentre firmava gli ordini. “Lo vediamo con i nostri occhi, lo sentiamo nelle nostre ossa. È tempo di agire”.