La formazione del prezzo dell’elettricità e le rinnovabili

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La formazione del prezzo dell’elettricità è complessa, ma si può presumere che al crescere della penetrazione delle fonti rinnovabili il prezzo di vendita in Borsa dell’energia elettrica si ridurrà, con un vantaggio anche per il consumatore. Un articolo di G.B. Zorzoli pubblicato sulla rivista QualEnergia.

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Le ricorrenti polemiche sugli incentivi alle rinnovabili puntano in particolare il dito contro l’iniquità di farli pagare al consumatore elettrico, affermazione vera a metà. Gli incentivi per le rinnovabili inseriti nella voce A3 della bolletta (conto energia e tariffe onnicomprensive) valevano nel 2009 solo il 40% circa del totale, mentre il restante 60% (Certificati Verdi) è a carico dei produttori di energia elettrica che sono costretti a comperarli sul mercato quando in proprio non generano la quota di energia da rinnovabili prevista dalla normativa vigente.

I produttori possono caricare questo onere sul prezzo di produzione dell’energia solo perché la concorrenza è ancora insufficiente: in un mercato pienamente competitivo il costo per l’acquisto dei Certificati Verdi si tradurrebbe non in una maggiorazione dei prezzi per il consumatore, ma in una riduzione degli utili per il produttore.

Quanto all’iniquità del costo degli incentivi caricato sulla voce A3, porvi rimedio ricorrendo alla fiscalità generale, come molti suggeriscono, non solo ne metterebbe a repentaglio la certezza e la continuità (il recente caso del 55% docet), mettendo in pericolo lo sviluppo di settori produttivi che non possono prescinderne, ma violerebbe un criterio di equità stabilito dall’Unione Europea: l’inquinatore deve pagare in proporzione al danno che provoca. Poiché consumando energia contribuiamo alle emissioni di CO2, è giusto che un onere finalizzato a promuovere il processo innovativo di tecnologie (le rinnovabili) in grado di ridurle, cada sui consumatori.

Il consumatore paga però meno di quanto viene di norma denunciato, conteggiando la somma degli oneri diretti (sulla voce A3) o indiretti (ricarico dei CV sul prezzo di produzione), come fa ad esempio la tabella 1.



Senza addentrarsi in una tematica assai complessa (chi fosse interessato ad approfondirla sul sito www.mercatoelettrico.org è disponibile il “Vademecum della borsa elettrica”), all’IPEX, la Borsa elettrica dove si forma il prezzo di circa i due terzi dell’energia elettrica venduta in Italia e grosso modo i tre quarti di quella destinata ai clienti a maggior tutela (i piccoli consumatori), le offerte di energia elettrica vengono accettate in ordine di merito economico, cioè in ordine di prezzo crescente, fino a quando la loro somma in termini di kWh arriva a soddisfare la domanda. Il prezzo del kWh dell’ultimo offerente accettato (quindi quello più alto) viene attribuito a tutte le offerte (criterio del marginal price).

La figura 1, che schematizza quanto appena descritto, ha una curva della domanda di energia elettrica quasi verticale, cioè praticamente indifferente al prezzo di vendita, così come avviene nella realtà. Questa anelasticità trova riscontro in un altro trend: con l’eccezione del 2009 – anno durante il quale la più grave crisi economico-finanziaria del dopoguerra si è manifestata in tutta la sua intensità – in Italia la domanda di energia elettrica è cresciuta anche negli anni di recessione.


La curva dell’offerta in figura 1 schematizza ciò che accade nella Borsa elettrica quando sono in funzione impianti a fonti rinnovabili (nell’esempio solo eolici). In base a una direttiva europea le rinnovabili hanno infatti priorità di acceso al mercato: tranne il caso delle biomasse, lo avrebbero comunque, in quanto vento, sole, acqua, fluido geotermico sono fonti energetiche a costo di funzionamento quasi nullo.


Al crescere del loro contributo all’offerta di energia elettrica in Borsa, di altrettanto diminuisce quello degli altri impianti. In figura 1 dopo l’eolico interviene il nucleare, in quanto a costo marginale relativamente basso, poi è la volta degli impianti a cogenerazione e successivamente, nell’ordine, di quelli a carbone e, ultimi, i cicli combinati (che, bruciando gas naturale, hanno il costo marginale più elevato).

Poiché, come abbiamo visto, il meccanismo delle Borse elettriche prevede che il prezzo di vendita dell’energia sia determinato dall’impianto meno efficiente con cui si satura la domanda, che per questa ragione produce elettricità molto cara, se nell’esempio di figura 1 una quota dell’offerta non venisse dall’eolico, per soddisfare tutta la domanda bisognerebbe ricorrere a impianti a combustibili fossili ancora più costosi, facendo salire il prezzo di vendita dei kWh.

A quanto ammonta il vantaggio per i consumatori determinato dall’immissione in rete di elettricità da fonti rinnovabili?
La risposta non è univoca. A parità di altre condizioni, dipende ovviamente dalla quantità di energia prodotta da impianti a fonti rinnovabili, ma anche dal costo del kWh degli impianti meno efficienti che le rinnovabili mettono fuori gioco, che è a sua volta determinato da una molteplicità di fattori.

Per esempio nelle ore notturne, quando la domanda è molto bassa, per aggiudicarsi la fornitura i produttori sono di norma costretti a offrire l’energia prodotta dai loro impianti a un prezzo corrispondente al puro costo di esercizio, cioè poco più del costo del combustibile consumato, e talvolta, per non spegnere un impianto, sottocosto. In questa situazione, l’energia fornita da un’installazione eolica toglie sì spazio a un impianto a combustibile fossile, che offre però la sua energia a buon mercato, quindi il vantaggio per il consumatore è modesto.
Inoltre, se l’impianto messo fuori gioco è nucleare o alimentato da carbone, il guadagno è minore rispetto al caso in cui si trattasse di un ciclo combinato, che brucia gas, molto più caro.

Viceversa, durante le ore diurne i produttori formulano prezzi che permettono loro di recuperare anche gli oneri fissi, di conseguenza il risparmio per il consumatore derivante dalla fornitura di energia da rinnovabili in sostituzione di quella prodotta da impianti convenzionali è molto più elevato. La figura 2 riproduce in modo schematico questi effetti per tre condizioni – ore notturne, ore diurne, ore di picco durante il giorno – e per due diverse intensità del vento. Naturalmente il differenziale nel prezzo del kWh cresce (diminuisce) se cresce (diminuisce) il costo dei combustibili fossili sostituiti dalle rinnovabili.


Per stimare l’effetto sui prezzi dell’offerta di energia elettrica prodotta da impianti a fonti rinnovabili sono state effettuate diverse simulazioni relative a differenti contesti, tutte però basate sull’ipotesi che la domanda di base (quella costante sulle 24 ore) sia soddisfatta da impianti a carbone e la domanda di picco nelle ore diurne sia coperta da cicli combinati, mentre il contributo delle rinnovabili viene solo dall’eolico.


Malgrado questa ipersemplificazione, i risultati delle simulazioni portano a una notevole dispersione dei risparmi per i consumatori, che vanno da un minimo di 3 Euro/MWh a un massimo di 23 Euro/MWh (figura 3 – vedi nel pdf in basso).
Nell’impossibilità di esaminare in dettaglio le singole simulazioni, mi limito a ricordare che il valore minimo è il risultato di uno studio basato sull’effettiva produzione eolica in Germania fra l’1 settembre 2004 e il 31 agosto 2005, pari al 5,45% dell’energia complessivamente prodotta in Germania, cioè solo l’80% del contributo del 2009. Soprattutto il prezzo medio dell’energia in Borsa assunto in tale simulazione era 54 Euro/MWh contro 65 Euro/MWh della simulazione che fornisce il massimo risparmio per i consumatori, a conferma del peso rilevante del costo dei combustibili fossili.

Poiché dai dati di tabella 1 per il 2009 si desume un onere medio sulla bolletta dei consumatori italiani di poco superiore a 5 Euro/MWh, complessivamente generato dalle incentivazioni delle rinnovabili, anche il risultato più modesto di figura 3, se applicabile al nostro Paese, comporterebbero una riduzione di quasi il 60% del carico effettivo.

In assenza di valutazioni ad hoc per l’Italia, di cui sarebbe auspicabile disporre al più presto, è comunque possibile svolgere alcune considerazioni che, quantunque qualitative, permettono di individuare il segno del differenziale di risparmio per i consumatori fra i casi sintetizzati in figura 3 e studi analoghi basati sulla realtà del sistema elettrico nazionale. Ai fini dell’effetto indotto dalla penetrazione delle rinnovabili nel mercato elettrico, due sono le differenze più rilevanti fra la situazione italiana e quella degli altri Paesi europei, cui si riferiscono le simulazioni che hanno portato ai risultati di figura 3: il mix produttivo e i prezzi dell’energia elettrica. In figura 4 il mix produttivo italiano è confrontato con quello degli altri principali Paesi europei.


In questi ultimi gli impianti alimentati da nucleare e carbone coprono da un minimo del 49% dell’offerta (Spagna) a un massimo dell’82% (Francia), passando per il 51% del Regno Unito e il 70% della Germania. In Italia siamo al 14%. L’enorme contributo del gas naturale, che ormai oscilla stabilmente fra il 50% e il 60%, quello molto ridotto del carbone, l’assenza del nucleare fanno sì che, a differenza degli altri Paesi europei, anche nelle ore di domanda relativamente bassa in Italia la produzione da rinnovabili sostituisca quella di impianti a cicli combinati. Poiché il prezzo del gas naturale è più elevato di quello del carbone, nella maggior parte delle ore dell’anno, e non solo in quelle di massima domanda durante le ore diurne, la diminuzione del prezzo di vendita dell’energia elettrica in Italia indotta dalla produzione da impianti a rinnovabili sarà maggiore di quella ricavata nelle simulazioni di figura 3, dove il ruolo dei cicli combinati è confinato nelle ore di massima domanda.

Anche le differenze nei prezzi dell’energia elettrica per i consumatori finali portano a conclusioni analoghe. In Italia non sono significativamente diversi dal resto d’Europa per i clienti domestici, mentre sono più elevati (spesso in misura significativa) nel caso dei consumi industriali (figura 5 – vedi pdf in basso), che rappresentano il 43% dei consumi totali, cui andrebbe aggiunta la domanda dei grandi consumatori nel terziario.


Per tutti costoro il differenziale nei prezzi pagati per l’energia elettrica rispetto al resto d’Europa comporta, e comporterà sempre di più, un risparmio consistente per l’apporto delle rinnovabili all’offerta di elettricità. Per di più, come sta dimostrando in modo esemplare il fotovoltaico, le politiche di incentivazione creano le condizioni – economie di scala, learning by doing, stimoli all’innovazione tecnologica – che consentono di realizzare rapide e rilevanti riduzioni dei costi.
Sempre per restare al caso del fotovoltaico, nel corso del prossimo decennio, a partire dalle situazioni più favorevoli (copertura di capannoni industriali o di grandi edifici commerciali nel centro-sud), in Italia si raggiungerà gradatamente e poi si supererà la grid parity per quasi tutte le applicazioni.
Un percorso analogo è atteso per l’eolico, mentre per le biomasse in molti casi l’avvicinamento alla competitività sarà guidato dall’effetto congiunto di riduzioni nei costi degli impianti e di sviluppo di short rotation forestry a crescita significativamente più rapida dell’attuale.

In altri termini, il costo degli incentivi diminuirà al crescere della penetrazione delle rinnovabili, crescita che a sua volta ridurrà ulteriormente il prezzo di vendita in Borsa dell’energia elettrica, con un saldo per il consumatore a fine periodo presumibilmente positivo.
Un pasto prima semigratuito, da cui successivamente si trae perfino un guadagno? Non è proprio così. L’incremento di energia elettrica eolica e fotovoltaica che, a differenza di quella degli impianti convenzionali, a biomasse e geotermici, è solo parzialmente programmabile, imporrà lo sviluppo di reti elettriche più “smart” delle attuali, quindi con investimenti e conseguenti oneri tariffari aggiuntivi. Inoltre, non si potrà prescindere dalla disponibilità di impianti convenzionali pronti a entrare in esercizio in caso di improvvisa carenza di energia prodotta da impianti a programmabilità limitata.

Nella situazione italiana si è realizzata una tale sovraccapacità produttiva che nel prossimo decennio non sarà necessario realizzare nuovi impianti a tal fine, ma si dovrà comunque remunerare mediante il cosiddetto capacity payment, la messa a disposizione di alcuni di loro come riserva calda rotante. Tuttavia, ho la sensazione che simulazioni in grado di rendere conto di tutti i fattori in gioco e di descrivere in modo adeguato l’evoluzione del sistema elettrico italiano nel prossimo decennio porterebbero, alla fine, a un saldo per i consumatori forse addirittura positivo: comunque, nel peggiore dei casi, modestamente negativo.


L’articolo è stato pubblicato sul n1/2011 della rivista QualEnergia con il titolo Un prezzo chiamato desiderio (pdf)

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