Mercato globale delle emissioni. Una chimera?

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Incertezze e preoccupazioni sul mercato globale della CO2. Gli operatori del settore sono più scettici rispetto ad un fa spiega un'indagine di Point Carbon. A pesare il travagliato cammino del Climate Bill americano e il flop della Cop15. Paesi come il Giappone però fanno ben sperare. Dall'inchiesta anche dati preoccupanti su irregolarità nei progetti CDM e JI.

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Un mercato globale della CO2? Gli operatori del settore sono più scettici adesso rispetto ad un anno fa sul fatto che vi si possa arrivare entro il 2015. A pesare soprattutto il travagliato cammino del Climate Bill americano, che vede allontanarsi la prospettiva di realizzare il “cap and trade”, cioè il sistema di scambio delle emissioni voluto da Obama, mentre c’è più fiducia sull’efficacia dell’ETS europeo e sulla creazione imminente di nuovi mercati come quello giapponese.

È quanto emerge da un sondaggio che la società di consulenza Point Carbon ha effettuato tra 4.800 operatori del settore sparsi in 118 paesi. Se l’anno scorso l’81% pensava che si sarebbe arrivati entro 5 anni ad un sistema di scambio delle emissioni su scala globale ora a crederci è solo il 61%. E la sfiducia in un mercato globale dei gas serra si riflette sul prezzo previsto per la CO2: la previsione media per il 2020 l’anno scorso era di 35 € a tonnellata, ora è scesa a 31 €/t.

Cosa è successo di così disperante in questo anno non c’è neanche bisogno di dirlo: sul mercato delle emissioni incombe innanzitutto l’ombra del flop di Copenhagen. Se il 59% di chi lavora nel mercato delle emissioni l’anno scorso credeva che alla Cop 15 nella capitale danese si sarebbe raggiunto un accordo, ora solo il 37% pensa che lo si raggiunga nell’incontro messicano di fine 2010.

A questo, come detto, si aggiungono le difficoltà interne degli Usa, che vedono il Climate Bill, che dovrebbe dare il via al mercato nazionale delle emissioni, fermo al Senato e sempre più lontano dall’approvazione. È di questi giorni la notizia che dalla versione di compromesso cui si sta lavorando pare scomparirà o sarà fortemente ridimensionato il sistema di scambio delle emissioni che avrebbe dato vita al mercato Usa della CO2. Senza gli Stati Uniti (che pure contano alcuni mercati della CO2 in alcuni Stati) difficilmente il mercato globale delle emissioni, partendo dai 136 miliardi di dollari attuali, raggiungerà i 2mila miliardi che si erano ipotizzati in caso di accordo sul clima.

A risollevare le speranze ci sono però nazioni come il Giappone, che secondo l’80% degli operatori metterà in piedi il proprio ETS entro il 2015 (solo il 61% ci credeva un anno fa. Qualenergia.it –  “Le intenzioni verdi del Giappone”).

Bene starebbe andando anche il sistema europeo, che pure sta registrando prezzi della CO2 dimezzati rispetto all’anno scorso (Qualenergia.it – Mercati). Secondo Point Carbon le riduzioni di CO2 ottenute sono sostanziose e anche il prezzo della tonnellata di anidride carbonica sarebbe in fase di ripresa dato che molti attori si stanno accaparrando permessi in vista della nuova fase dello schema (partirà dal 2012 e vedrà ridursi le quote assegnate gratis).

Dalla ricerca di Point Carbome emerge tra gli operatoti un dato preoccupante che fa capire come sia urgente la necessità di una riforma del sistema dei meccanismi flessibili CDM e i JI (i progetti del clean development mechanism e del sistema di joint implementation, che fanno ottenere crediti spendibili sul mercato della CO2 da interventi che riducono le emissioni nei paesi in via di svilupppo). In questo ambito il 15% degli operatori intervistati ha dichiarato di aver assistito ad episodi di corruzione, appropriazione indebita o frode legati a progetti CDM o JI, percentuale che sale al 28% per chi lavora in Cina.

GM

5 marzo 2010

 

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