“Via Eni da scuole e università”: l’appello di Greenpeace e ReCommon

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I due gruppi ambientalisti presentano un approfondimento sull'influenza del colosso del fossile sul sistema educativo italiano.

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Formazione di docenti e studenti con alcuni focus sul cambiamento climatico, tirocini curriculari, accordi con gli istituti universitari, career days, finanziamento e acquisto di ricerche e brevetti, partenariati nell’organizzazione di master e corsi di laurea.

È così che il gigante fossile Eni, sfruttando la cronica carenza di finanziamenti pubblici a istruzione, università e ricerca, estende la sua influenza anche sulle scuole secondarie superiori e sulle università pubbliche italiane. Lo denuncia l’approfondimento “Le sei zampe di Eni sulle scuole e le università italiane”, pubblicato oggi da Greenpeace Italia e ReCommon.

Come spiega il rapporto, si tratta di una strategia ormai consolidata della principale azienda fossile italiana, utile a trasmettere una buona immagine di sé soprattutto tra le nuove generazioni in tantissimi atenei italiani oppure nelle aree in cui opera, come Gela o la Basilicata.

Per Greenpeace Italia e ReCommon le scuole e le università sono luoghi di conoscenza e di ricerca fondamentali per il futuro della nostra società, e se alcune delle loro attività vengono promosse o finanziate da aziende che hanno conflitti di interesse come Eni, allora queste istituzioni da presidio culturale e formativo rischiano di diventare un mero strumento di greenwashing.

“In ambito accademico, quando un’azienda interferisce nell’erogazione della didattica di un corso di laurea, viola lo scopo formativo dell’università. Se i finanziamenti arrivano da realtà che hanno un impatto importante e dannoso sul clima del pianeta, è ancora più grave. Per questo chiediamo che realtà come Eni la smettano di strumentalizzare scuole e università”, dichiarano Greenpeace Italia e ReCommon.

Si tratta di una richiesta simile a quella di campagne come “End Fossil“, portata avanti da mesi da movimenti e organizzazioni a livello internazionale, tramite proteste e manifestazioni nelle università di diversi Paesi, Italia inclusa, per chiedere un mondo accademico libero dall’influenza delle grandi compagnie del fossile.

“In Italia abbiamo subito constatato la distanza fra le nostre università e quelle di molti Paesi esteri”, spiega Matteo Spicciarelli della campagna End Fossil. “Se in molte città estere dopo una iniziale resistenza gli atenei hanno convenuto sulla necessità di mettere in discussione le loro collaborazioni e la loro dipendenza economica dai soggetti privati responsabili della crisi climatica, in Italia invece abbiamo trovato un muro di gomma. Le nostre università cercano attivamente collaborazioni con le aziende ecocide e così promuovono la loro legittimazione sociale. Per questo continueremo a mobilitarci in sempre più università”.

Per permettere a studentesse e studenti di avere più trasparenza sui legami tra Eni e gli atenei, Greenpeace Italia mette da oggi a disposizione un kit di mobilitazione, con un modello già precompilato e consigli pratici per avanzare richieste di accesso agli atti e scoprire quali sono gli accordi di collaborazione tra le università e le aziende maggiormente responsabili della crisi climatica come Eni.

Proprio per costringere il Cane a sei zampe a rivedere la sua strategia industriale e a ridurre le sue emissioni del 45% entro il 2030 rispetto ai livelli del 2020, come raccomandato dalla comunità scientifica internazionale per rispettare gli obiettivi dell’Accordo di Parigi, lo scorso 9 maggio Greenpeace Italia, ReCommon e dodici cittadine e cittadini italiani hanno presentato una causa civile nei confronti di Eni, allargata anche al Ministero dell’Economia e delle Finanze e a Cassa Depositi e Prestiti, in quanto azionisti rilevanti dell’azienda.

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