Clima, iniziato il processo contro Eni dopo la denuncia di Greenpeace e ReCommon

Venerdì scorso la prima udienza: le due associazioni accusano l'azienda di essersi difesa avvalendosi di relazioni tecniche di due consulenti non indipendenti.

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La prima litigation sul clima in Italia entra nel vivo: venerdì scorso, 16 febbraio, c’è stata la prima udienza della causa civile che vede contrapposti da un lato Greenpeace Italia, ReCommon e 12 cittadine e cittadini, e dall’altro Eni, Cassa depositi e prestiti (Cdp) e il ministero dell’Economia.

L’azione – chiamata dai promotori “La Giusta Causa” – è stata intentata lo scorso 9 maggio dalle associazioni ambientaliste, che contestavano al colosso energetico di essere una delle aziende più impattanti al mondo per quanto riguarda le emissioni di gas serra, nonostante conosca da decenni i danni che lo sfruttamento delle fonti fossili causa al clima del pianeta.

“Eni è in assoluto il maggior emettitore italiano di gas serra a livello mondiale”, ha spiegato alla vigilia del processo Antonio Tricarico, direttore dei programmi di ReCommon. “È tra i 30 più grandi inquinatori al mondo – ha aggiunto – e solo nel 2021 ha emesso 456 milioni di tonnellate di CO2. Il sistema energetico italiano nel suo complesso ne ha emesse poco meno di 400. Quindi deve assumersi le sue responsabilità”. Gli ambientalisti coinvolti nella causa non chiedono una quantificazione dei danni, ma “un riconoscimento della responsabilità di Eni nel provocarli”. Un altro obiettivo dell’azione legale è la condanna di Eni a rivedere la propria strategia industriale e a modificarla, così che possa ridurre le proprie emissioni di gas serra del 45% entro il 2030, rispetto ai livelli del 2022.

Fonti da ReCommon affermano a QualEnergia.it che l’udienza di venerdì scorso ha visto soltanto uno scambio di documenti, e che ora il giudice civile potrà prendersi qualche settimana di tempo per decidere come procedere. Potrebbe arrivare già una sentenza, oppure si potrebbe passare attraverso una fase dibattimentale.

Nel tentativo di difendersi, l’azienda leader in Italia nel settore dell’oil&gas ha rilasciato una nota dal titolo “La Falsa Causa”, che storpia il nome mediatico scelto dagli accusanti, nella quale denuncia una “narrazione falsa” che “sconta un evidente approccio strumentale volto alla demonizzazione della grande impresa”. Per Eni quelle rivoltele sono accuse “che si fondano su un pregiudizio smentito nei fatti secondo cui l’utilizzo di fonti fossili sarebbe funzionale solo agli interessi privati ed economici di quella che gli attori definiscono la grande lobby delle compagnie petrolifere”. Per questo motivo, nel luglio scorso il colosso energetico ha anche deciso di intentare una causa di risarcimento danni per diffamazione contro le due associazioni.

Nelle sue memorie difensive, l’azienda si è avvalsa di due relazioni tecniche redatte da consulenti presentati come indipendenti ma che in realtà, secondo quanto denunciano Greenpeace e ReCommon, non lo sono affatto: Carlo Stagnaro, direttore ricerche e studi dell’Istituto Bruno Leoni, e Stefano Consonni, professore ordinario di Sistemi per l’energia e l’ambiente del Dipartimento di energia del Politecnico di Milano.

Le due associazioni hanno pubblicato un report che ne ripercorre i curricula e le dichiarazioni pubbliche in materia di clima e transizione energetica, accusandoli di aver “negato i cambiamenti climatici” e di collaborare con le aziende fossili. Emergono, ad esempio, approfondimenti scritti da Stagnaro sul Protocollo di Kyoto, definito “la risposta sbagliata a un problema che non c’è”, oppure accuse di “disonestà” all’Ipcc. Consonni invece, secondo gli accusanti, da oltre vent’anni compare come ricercatore principale o partecipante a ricerche finanziate da Eni ma anche da aziende leader a livello mondiale come Exxon Mobil Corporation, una delle principali compagnie petrolifere statunitensi che opera sul mercato europeo coi marchi Esso e Mobil, oppure BP, società del Regno Unito operante soprattutto nei settori del petrolio e del gas naturale.

“Si può ritenere attendibile, nell’ambito di un contenzioso climatico, la consulenza di chi ha spesso sposato in prima persona e diffuso posizioni negazioniste in fatto di cambiamenti climatici?”, si chiedono le due associazioni, che si augurano “che il giudice rigetti le numerose e pretestuose obiezioni mosse da Eni e dalle altre parti e istruisca invece il processo, permettendo un ampio confronto che porti a un radicale cambiamento nelle strategie industriali dell’azienda, facendone un protagonista nel contrasto alla crisi climatica anziché uno dei principali responsabili”.

Dai consulenti scelti, pare evidente che Eni voglia affrontare la causa da un punto di vista energetico-economico, mentre le associazioni puntano sulla “climate attribution”, la scienza che lega gli effetti del cambiamento climatico alle sue cause.

Lo scorso 10 maggio, in vista dell’assemblea degli azionisti della multinazionale, l’organizzazione Oil Change International ha pubblicato un report dal titolo “Big Oil Reality Check 2023, Eni – Italian major uses record profits to fuel more climate change”, secondo il quale Eni prevederebbe di aumentare l’estrazione del 3-4% all’anno fino al 2026, per poi sostenere questo livello di produzione fino al 2030, diventando la terza azienda nel mondo per ricerca ed estrazione di gas e petrolio, dietro solo a QatarEnergy e Petrobras. Inoltre, secondo gli analisti, nel 2022 la multinazionale ha investito nel settore dei combustibili fossili 15 volte di più rispetto al segmento Plenitude, dedicato alle energie rinnovabili.

Eni ha replicato ricordando il proprio “forte e costante impegno per la transizione energetica tramite una strategia di decarbonizzazione ideata per far fronte ad una sfida globale, complessa e che richiede il coinvolgimento di tutti gli attori della società, dagli Stati alle aziende passando per i singoli cittadini”. Una “sfida intergenerazionale” che secondo l’azienda “non può essere affrontata, né tantomeno semplificata, con approcci ideologici e superficiali”.

Contenziosi come quello in atto contro Eni sono sempre più frequenti. Secondo un rapporto del Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (Unep) e del Sabin Center for Climate Change Law dell’Università di Columbia, nel 2022 le cause in materia di cambiamento climatico erano 2.180, contro le 884 del 2017. Sebbene la maggior parte delle azioni legali siano state avviate negli Stati Uniti, i contenziosi si stanno diffondendo in tutto il mondo, con circa il 17% dei casi attualmente segnalati nei Paesi in via di sviluppo.

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