Tempesta Daniel in Libia: senza riscaldamento globale sarebbe stata 10 volte meno probabile

Il surriscaldamento globale indotto dalle attività umane aumenta di molto anche l'intensità dei fenomeni meteorologici. È urgente adeguare le infrastrutture e i protocolli di allarme, per ridurre e gestire i rischi. Le analisi del World Weather Attribution.

ADV
image_pdfimage_print

Le piogge estreme che all’inizio di settembre hanno colpito Grecia e Bulgaria e poi la Libia (nella foto del titolo le devastazioni lasciate dalla improvvisa inondazione nella città libica di Derna), con ogni probabilità, hanno un forte legame con il cambiamento climatico indotto dalle attività umane.

È quanto emerge dalle analisi compiute dal World Weather Attribution, iniziativa lanciata nel 2015 che comprende ricercatori e scienziati di diverse istituzioni europee e internazionali. Il loro obiettivo è approfondire le relazioni tra singoli fenomeni meteo e le tendenze più generali dei cambiamenti climatici.

Attenzione: non si dice che il cambiamento climatico sia la causa principale o unica di singoli eventi meteorologici estremi, come la recente tempesta “Daniel” che ha imperversato in alcune zone del Mediterraneo.

I dati mostrano che il cambiamento climatico ha reso molto più probabili e più intensi gli eventi di questo tipo.

Più precisamente, si legge in una nota, per quanto riguarda le piogge e inondazioni che hanno interessato la Grecia e parti di Bulgaria e Turchia, “il cambiamento climatico indotto dall’uomo ha reso un evento estremo quanto quello osservato fino a 10 volte più probabile e fino al 40% più intenso”.

Mentre un evento estremo come quello osservato in Libia “è diventato fino a 50 volte più probabile e fino al 50% più intenso in confronto a un clima più fresco di 1,2 °C”.

I ricercatori poi avvertono che “l’incertezza in queste stime è elevata”, ma ci sono “molteplici ragioni per cui possiamo essere certi che il cambiamento climatico abbia reso gli eventi più probabili”.

In particolare, secondo gli studi focalizzati sulle precipitazioni estreme negli scenari di futuro riscaldamento, è probabile che l’aumento osservato delle forti piogge “sia effettivamente una tendenza dovuta al cambiamento climatico”.

L’inondazione in Libia del 10 settembre, stando alle stime diffuse il 18 settembre dall’Organizzazione mondiale della sanità, ha causato quasi 4mila morti con circa 9mila persone ancora disperse.

Con le eccezionali piogge della tempesta Daniel, due dighe (Al-Bilad e Abu Mansour) non hanno tenuto e l’acqua si è riversata nella città costiera di Derna, provocando immense devastazioni.

La tragedia libica riporta l’attenzione su altri due aspetti molto importanti, legati alla sempre maggiore intensità e frequenza degli eventi meteorologici estremi come inondazioni, siccità, ondate di calore, incendi: la manutenzione delle infrastrutture e il monitoraggio in tempo reale dei rischi climatici con sistemi avanzati di allarme.

Nel caso specifico, le dighe in Libia, costruite negli anni ’70, potrebbero non essere state progettate per resistere a un evento climatico di una portata così forte e vasta.

Per non parlare della mancanza di manutenzione, esacerbata dal fragile scenario geopolitico della zona.

Più in generale, quindi, il caso libico conferma l’urgenza di adeguare impianti e infrastrutture ai potenziali effetti devastanti degli eventi meteo estremi (intensificando controlli e manutenzioni e realizzando nuove opere), oltre a migliorare i protocolli di riduzione del rischio, fornendo indicazioni tempestive alle popolazioni su come comportarsi e come gestire eventuali evacuazioni.

ADV
×