Per la Cina “non è realistico” uscire del tutto dai combustibili fossili

I paletti messi da Pechino in vista della CoP28 di Dubai. Le dichiarazioni di Xie Zhenhua, inviato speciale cinese per il clima, sulla transizione energetica e sulla cooperazione internazionale in tema di rinnovabili.

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La Cina ha messo dei paletti ben chiari in vista della prossima conferenza mondiale sul clima, la CoP28 che partirà a fine novembre a Dubai.

“Eliminare del tutto l’energia fossile non è realistico”, ha detto l’inviato speciale cinese per il clima, Xie Zhenhua, parlando al China and Globalization Forum che si è tenuto a Pechino giovedì scorso, 21 settembre.

All’evento, organizzato dal think tank cinese Center for China and Globalization (CCG), Zhenhua ha gelato le aspettative di chi sperava in una maggiore apertura della Cina verso una politica più decisa di graduale uscita da carbone, gas e petrolio.

“Data l’intermittenza delle rinnovabili, i combustibili fossili dovrebbero servire come fonte energetica flessibile e di backup, quando tecnologie come gli accumuli su vasta scala […] le reti intelligenti e le micro reti non sono ancora del tutto mature”, ha aggiunto.

Secondo il rappresentante cinese, “ciò è essenziale per garantire la stabilità della rete, salvaguardare la sicurezza dell’approvvigionamento energetico e sostenere lo sviluppo socioeconomico”.

Per ridurre le emissioni di CO2 delle fonti fossili, ha poi evidenziato Zhenhua, si può ricorrere allo sviluppo della tecnologia CCUS (Carbon Capture, Usage and Storage), per catturare e stoccare l’anidride carbonica.

In tema di rinnovabili, la Cina “rimane aperta” verso la definizione di un obiettivo globale per lo sviluppo delle energie green alla CoP28, che sia però “accettabile per tutte le parti, considerando le diverse circostanze nazionali”.

Il focus del discorso poi si è spostato sulla necessità di migliorare la cooperazione internazionale, al fine di accelerare la transizione energetica e l’innovazione tecnologica.

La Cina, ha affermato Zhenhua, “è disposta a collaborare con gli Stati Uniti e l’Europa” per assistere altri Paesi emergenti nello sviluppo di energie rinnovabili e nel rafforzamento della resilienza climatica.

Una collaborazione che secondo il rappresentante cinese deve passare anche da un maggiore impegno dei Paesi sviluppati a supportare gli investimenti delle economie emergenti, mobilitando quei 100 miliardi di $ all’anno di finanza climatica che finora non sono ancora arrivati.

È quindi necessario “costruire un sistema economico e commerciale aperto, aderire al multilateralismo e alla globalizzazione, opporsi al protezionismo commerciale e alle azioni unilaterali”.

Secondo Pechino, infatti, “se il protezionismo commerciale continuerà, si prevede che i prezzi dei moduli fotovoltaici aumenteranno del 20-25% entro il 2030 rispetto a uno scenario di globalizzazione” senza dazi antidumping (il riferimento sembra chiaramente alla politica Usa dei dazi contro i prodotti FV asiatici).

La Cina poi è contraria all’applicazione da parte Ue della nuova tassa alle frontiere sulla CO2, la cui fase transitoria scatterà il primo ottobre (fino al 2025) con l’obbligo di comunicare la quantità di CO2 “incorporata” in determinati prodotti importati nell’Unione europea, come acciaio, cemento, alluminio.

Dal 2026 è poi previsto che gli importatori debbano acquistare dei certificati di emissione per i beni importati.

Ci auguriamo, ha dichiarato Zhenhua, “che i paesi interessati si astengano dal ricorrere a misure unilaterali, come meccanismi di adeguamento del carbonio alle frontiere, e collaborino con altre parti per affrontare le questioni relative all’integrità ambientale e alla delocalizzazione delle emissioni di carbonio”.

Senza dimenticare che Bruxelles ha aperto in questi giorni un nuovo terreno di scontro, annunciando un’indagine sulle distorsioni di mercato create dalle sovvenzioni cinesi ai produttori di auto elettriche (si veda Auto elettrica, cosa può guadagnare o perdere l’Ue nel suo braccio di ferro con la Cina).

Una mossa politica che Pechino ha già bollato come “puro atto protezionistico” che avrà effetti negativi sulle relazioni economiche tra Cina e Ue.

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