Se tutto quello che sapessimo della transizione energetica arrivasse dall’Italia, e in particolare da certi protagonisti della campagna elettorale, che sembrano bloccati da una maledizione negli anni ‘80, ci sarebbe da mettersi le mani nei capelli.
Per fortuna dall’estero arrivano notizie che ci fanno capire come fuori dai nostri confini la difficilissima situazione energetica peggiorata dall’aggressione russa all’Ucraina, è uno stimolo ulteriore per proseguire con la conversione del sistema al 100% di rinnovabili.
E non una scusa per cacciarci ancora di più nelle energie fossili, con nuovi rigassificatori e gasdotti, o addirittura infognarci fuori tempo massimo nel nucleare, straparlando di sue inesistenti versioni di “quarta generazione”, “modulare” o “pulito”, che sono poi solo armi di distrazione di massa per farci restare ancora qualche tempo prigionieri dei ricatti dei fornitori di metano e di chi glielo compra.
L’ultima di queste notizie rassicuranti è che in Svizzera, dal primo luglio, ha iniziato ad operare il più capace impianto di storage idroelettrico d’Europa, dotato di una potenza di 0,9 GW e una capacità di stoccaggio di 20 GWh, otto mesi dopo che era stato aperto a Fengning, nell’Hubei cinese, il più grande del mondo: 3,6 GW di potenza e una capacità di 6,6 TWh.
Il colossale impianto cinese, che ha trasformato un’intera valle montana in un susseguirsi di nuovi bacini idroelettrici, è fuori scala per il nostro più delicato continente, ed ecco quindi che per le nostre esigenze sembra più utile l’esempio svizzero.
Gli elvetici hanno iniziato a costruire la stazione di pompaggio di Nant de Drance, quasi al confine con la Francia, nel 2008, completandola adesso, dopo una spesa di circa 2 mld di euro.
Il progetto è consistito prima di tutto nell’innalzamento di 20 metri della diga, costruita nel 1955, che forma il bacino idroelettrico del Vieux Emosson, a 2225 metri di altitudine, così che raddoppiasse la sua capacità a 25milioni di metri cubi di acqua.
Secondariamente è stata realizzata una grande caverna artificiale nella montagna fra il bacino superiore e quello inferiore, costituito dal lago artificiale da 227 milioni di metri cubi di acqua di Emosson, a 1900 metri di quota, per ospitare 6 pompe-turbine da 150 MW l’una, che possono movimentare 360 mc d’acqua al secondo, circa tre volte la portata media del Po a Torino.
Si tratta di 19 chilometri di gallerie che collegano il bacino superiore alle turbine e queste al bacino inferiore (nel disegno lo schema dell’impianto).
Come funziona?
Il funzionamento del sistema è semplice: quando c’è un eccesso di produzione elettrica da fonti rinnovabili, in Svizzera o nei paesi ad essa collegati, questa può essere usata per pompare acqua dal lago di Emosson al Vieux Emosson, sfruttando il volume ulteriore aggiunto a quest’ultimo.
L’acqua pompata in alto può restare lì fino a che non ci sia una carenza di elettricità sulla rete, visto che è una aggiunta extra, dedicata solo allo storage, al volume operativo del Vieux Emosson, che dipende invece dal bilancio fra i flussi in arrivo di pioggia e neve, e da quelli in uscita attraverso il vecchio impianto idroelettrico.
Quando la richiesta di elettricità arriva, viene attivato il flusso dell’acqua verso il basso attraverso le sei nuove turbine, producendo ciò che manca anche per un tempo lunghissimo, poiché il massimo volume stoccabile in alto è sufficiente a far funzionare le turbine a piena potenza per oltre 20 ore.
Visto che l’impianto può passare dal massimo pompaggio al massimo turbinaggio (produzione elettrica) in appena 5 minuti, rispondendo così quasi in tempo reale alle richieste della rete, Nant de Drance rappresenta lo stato dell’arte nel campo dello stoccaggio idroelettrico, e un esempio di come tanti paesi europei, e non solo, potrebbero risolvere parte, se non tutti, dei loro problemi di accoglienza delle rinnovabili intermittenti nella rete.
Chiediamo all’ingegner Alex Sorokin, che nella sua carriera di esperto di sistemi energetici si è occupato molto anche di questo tipo di stoccaggi, se un Nant de Drance sarebbe possibile anche da noi.
“Molto probabilmente sì. Anche in Italia non mancano bacini idroelettrici a diverse altezze, posti nella stessa valle o in valli contigue e non troppo distanti fra loro. Bisognerebbe però ovviamente valutare caso per caso se l’allargamento del bacino e l’innalzamento della diga, sia tecnicamente possibile”.
“Del resto – spiega Sorokin – alcune di queste coppie di bacini sono già usati come sistemi di accumulo, parte di quei non pochi 7,8 GW di potenza da pompaggio idroelettrico di cui siamo dotati. Purtroppo li usiamo molto poco, nel 2021 hanno prodotto solo 2 TWh, come dire che li abbiamo fatti funzionare in turbinaggio per sole 256 ore in un anno, anche perché il blocco dell’installazione delle rinnovabili dal 2013 in poi, ha fatto sì che non ci sia tanto da stoccare dalle nostre parti”.
Però quegli impianti sono normali bacini idroelettrici, riadattati per l’accumulo, e che quindi sono soggetti ai problemi di mancanza d’acqua che hanno ridotto del 40% la produzione idroelettrica nel 2022, mentre quello svizzero, così come il precedente impianto di Linth–Limmern da 1,5 GW, completato nel 2017, ha una extracapacità dedicata solo allo stoccaggio.
“In effetti – spiega Sorokin – l’acqua usata per l’accumulo in questi nuovi impianti in pratica si sposta solo su e giù, senza mai essere scaricata a valle, e, in teoria, dovrebbe essere al sicuro dai problemi di siccità Bisognerà però vedere se in caso di emergenza idrica, gli svizzeri si accontenteranno di attingere solo al flusso naturale dell’acqua, oppure intaccheranno anche le riserve per lo storage”.
Ingener Sorokin, ma quanto storage potremmo ottenere in Italia con impianti di questo tipo, fra quelli già esistenti e quelli potenziali?
“La capacità massima annua in TWh degli impianti di storage idroelettrico esistenti in Italia non è nota. Ma uno studio dell’RSE del 2012, che prevedeva otto nuovi collegamenti fra bacini esistenti al fine di usarli per il pompaggio idroelettrico, indicava la potenza di quel nuovo accumulo in 2,1 GW, e la capacità annua di 6,6 TWh. A questi poi aggiungevano 4 impianti innovativi, e molto interessanti per il sud e le isole del nostro paese, dove c’è poco idroelettrico convenzionale, che usavano l’acqua di mare per riempire bacini posti su alture vicino alle coste: la loro potenza sarebbe di 0,8 GW e la capacità annua di 2,4 TWh”.
Insomma, secondo l’RSE ogni GW di potenza darebbe circa 3 TWh di capacità di accumulo annua.
“Esatto. Quindi gli attuali impianti, se usati appieno, dovrebbero garantire circa 20 TWh annui di produzione elettrica, arrivando quasi a 30 TWh con i 12 del piano RSE. E siamo già al 10% della produzione elettrica italiana. Estendendo questo piano minimale dell’RSE, peraltro rimasto inascoltato, con altri impianti distribuiti lungo la penisola anche a scopo di accumulo idrico in vista di future siccità, probabilmente potremmo raggiungere 100% o quasi dello storage di medio e lungo periodo di cui l’Italia avrebbe bisogno per funzionare con un sistema 100% a rinnovabili”.
Sfruttando il vantaggio di avere un territorio con molti dislivelli e ricco d’acqua, dolce o salata che sia, potremmo implementare, quindi, con molti meno problemi di altri paesi un sistema di stoccaggio elettrico per rendere programmabili l’energia eolica e solare.
“Proprio così, e usando tecnologie semplici, ad alta efficienza, realizzabili dalle nostre industrie e con una spesa relativamente limitata, certo molto minore di quella richiesta per impianti complessi come idrogeno o batterie”.
Ma secondo lei i politici che stanno facendo campagna elettorale, straparlando di indispensabile necessità di gas, carbone o nucleare, per supportare le rinnovabili intermittenti, conoscono questi studi e dati?
“Secondo me non sanno neanche cosa sia lo storage idroelettrico”.