Un Sud hub delle rinnovabili, un’opportunità che non dobbiamo perdere

Serve un piano industriale che punti su rinnovabili, reti e accumuli anche per esportare il surplus di energia prodotta nel meridione verso il nord Italia e l'Europa centrale. Ne parliamo con il prof. Santolo Meo dell'Università Federico II di Napoli.

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Per chi si occupa di transizione energetica in Italia la doccia scozzese è continua.

Non si fa in tempo a gioire per la ripresa delle installazioni di rinnovabili in Italia, circa 6 GW nel 2023 dopo anni di stasi, che arrivano deprimenti e grottesche notizie, come quelle della regione Basilicata che vuole limitare l’installazione di rinnovabili per fare spazio alle industrie (che notoriamente evitano il sud per la mancanza di siti dove aprire stabilimenti!).

Dopo decenni di discussioni e dopo quanto è accaduto in questi ultimi anni, dagli eventi meteo estremi all’impazzimento del mercato dell’energia causato da dittature mantenute dai combustibili fossili, è ancora possibile che non si sia capito che la transizione energetica è uno strumento indispensabile per sopravvivere non solo fisicamente, ma anche economicamente?

Questo è vero soprattutto per regioni come quelle meridionali, che potrebbero trovare nello sfruttamento di importanti risorse di sole e vento un trampolino per rilanciarsi.

Per parlare di questo paradosso abbiamo intervistato Santolo Meo, professore di ingegneria elettrica all’Università Federico II di Napoli, che ha collaborato a vari progetti di ricerca sulle rinnovabili.

Il professor Meo ci ha detto: “Il paradosso si sintetizza in un numero: 315 GW di impianti di rinnovabili in attesa di autorizzazione nel 2023, di cui l’81% dovrebbe sorgere nel Meridione. Basterebbe approvarne meno di un quarto per arrivare a quei 70 GW di rinnovabili da raggiungere entro il 2030, e per trasformare il Mezzogiorno nell’hub delle rinnovabili d’Italia e d’Europa. Invece è tutto bloccato. In quest’ottica i circa 6 GW di nuovi impianti nel 2023, non solo sono insufficienti per il percorso verso il target 2030, ma sono probabilmente destinati a calare già nel 2024, con la sparizione del traino del superbonus”.

Professor Meo, parte di quei 315 GW, in realtà sono solo ‘di carta’, cioè frutto di richieste di autorizzazioni all’allaccio, che qualcuno accumula per poi rivenderle in futuro…

Non so se corrisponde al vero, ma anche se le richieste ‘reali’ fossero la metà, il discorso non cambierebbe: in Italia, al di là dei buoni propositi, si continua di fatto a ostacolare la diffusione delle rinnovabili, con una politica intempestiva e contraddittoria. Basti pensare alle ultime norme sulla doppia tassazione sui kWh da rinnovabili, ai ritardi sulla delimitazione delle aree idonee, ai continui cambi sulle norme per la cessione del credito, ai ritardi nell’emanazione dei decreti attuativi del RED2 quando l’Europa ha già emanato il RED3, al modello delle commissioni VIA-VAS del tutto inidoneo e già al collasso, e via elencando.

Sembra che non ci si renda conto che la transizione energetica non è più solo un ‘regalo agli ambientalisti’, ma una via obbligata per ridurre i costi dell’energia.

I costi sociali e ambientali dovuti ai danni delle emissioni prodotte dai combustibili fossili sono enormi. Il regalo della transizione lo facciamo semmai a tutti noi e ai nostri figli. Inoltre, l’Europa punta alle rinnovabili anche per liberarsi dal gas nella produzione elettrica, perché è diventato un fattore di rischio e instabilità economica. L’Italia, invece, a giudicare dal tasso di installazione, non ha una strategia alternativa efficace nel settore delle rinnovabili e nel contempo continua a usare il gas andandolo a cercare nei luoghi più lontani.

Ogni tanto il governo annuncia di voler risolvere la situazione energetica puntando sul nucleare. Un’arma di distrazione di massa?

Il nucleare di quarta generazione per ora non esiste e quello modulare non risolve nessuno dei problemi di questa fonte. Per non parlare degli alti costi dell’energia prodotta e dei tempi biblici necessari per le installazioni. Inoltre, in Italia da anni non si riesce neanche a costruire il deposito per immagazzinare in sicurezza le scorie del nucleare dismesso. L’unica soluzione realistica ai problemi energetici al momento è da cercare nelle rinnovabili.

Quali saranno le conseguenze di questa continua perdita di tempo?

Oltre ai citati costi sociali e ambientali abbiamo costi maggiori per tutti gli italiani e una perdita di competitività per le aziende. Basterebbe guardare il prezzo in borsa elettrica dei grandi paesi europei: noi che dipendiamo ancora fortemente dal gas stiamo pagando l’elettricità sempre più cara, mentre chi se ne sta liberando, almeno per la generazione elettrica, grazie alle rinnovabili, come Germania, Spagna, Olanda o Portogallo, la paga molto meno.

Sono i politici ad essere ciechi di fronte a fatti così evidenti? Al momento al governo non ci sono i sovranisti che vorrebbero aiutare il Made in Italy?

Aiutare il Made in Italy? Mentre tutte le previsioni confermano per i prossimi anni una crescita dei profitti nel fotovoltaico i nuovi vertici dell’Enel nominati dal governo cedono ad aziende straniere il 50% della più grande gigafactory di produzione di pannelli fotovoltaici europea in fase di realizzazione anche con fondi PNRR, la 3Sun di Catania. Segno evidente della mancanza di una chiara strategia industriale. Poi c’è anche tutto un mondo economico-tecnologico-industriale ancora legato ai fossili che ha interessi economici enormi a livello planetario e che tende a fare lobbying per difendere il proprio core business. Per loro le rinnovabili sono ormai una minaccia esistenziale. Pensiamo al caso italiano: 70 nuovi GW di rinnovabili previsti al 2030 quasi azzereranno l’uso del metano per la produzione elettrica nazionale.

In un mondo ideale, l’Italia cosa dovrebbe fare?

Beh, prima di tutto dotarsi di una strategia unica coordinata e integrata per energia, clima, idrogeno, biomasse, geotermia, materie critiche per le nuove tecnologie ed economia circolare. Poi puntare le risorse del PNRR destinate alla transizione energetica su grandi infrastrutture strategiche in grado di assicurare una ricaduta positiva in termini di sviluppo economico e di recuperare gli squilibri territoriali. Si sarebbe dovuto maggiormente spingere sul miglioramento delle reti di distribuzione elettrica, sugli impianti di accumulo, sulla produzione e distribuzione di idrogeno e sulle tecnologie come l’eolico offshore di cui l’Italia potrebbe diventare un apripista nel Mediterraneo, oltre che sulle biomasse e sul geotermico.

Un piano industriale, insomma?

Sì, e per sostenere queste azioni occorre attuare una politica industriale che incentivi la cooperazione e gli investimenti internazionali e che avvii una serie di misure chiare ed efficaci tese a sostenere i grandi investimenti e ad abbattere il peso frenante della burocrazia. Questo avrebbe posto le basi per favorire l’installazione rapida e diffusa di decine di gigawatt di Fer ogni anno, soprattutto nel Mezzogiorno, che avrebbe trovato così il suo ‘petrolio’.

Realizzare al sud un hub europeo delle rinnovabili, invece che del metano, quello che sembra volere tanto l’attuale governo?

Un hub del metano che non si capisce a chi potrebbe servire, visto che gli altri Paesi se ne stanno liberando. Nuove reti per il trasporto dell’elettricità rinnovabile e dell’idrogeno potrebbero invece consentire di esportare il surplus di energia pulita prodotta nel meridione e nel nord Africa, non solo verso il nord Italia, ma anche verso l’Europa centrale. Ciò determinerebbe un’enorme occasione di rilancio del sud, anche per il lavoro di installazione degli impianti e di costruzione dei componenti e concorrerebbe a ridurre gli squilibri economici esistenti, dando più slancio all’intero Paese. Ma, al netto dei proclami, pare che questo interessi poco al governo.

Lei sembra credere molto nell’uso di idrogeno, che in tanti criticano invece per la sua inefficienza.

Ci sono ancora problemi tecnologici, economici e normativi, ma l’Europa punta ad arrivare a una quota del 13% nel mix energetico entro il 2050. L’idrogeno verde, realizzato con l’eccesso di produzione elettrica da sole e vento, è un valido vettore energetico che può essere accumulato dove serve e contribuire a non intasare gli elettrodotti oltre a risolvere il problema degli impianti hard-to-abate, come acciaierie e cementifici. A esso è anche legato tutto il mercato della tecnologia dell’idrogeno, ad esempio gli elettrolizzatori, che in Italia potrebbe far crescere un settore industriale dove si prevedono grandi profitti. Ma bisogna dare certezza alle aziende. Ad oggi, invece, si è ancora in attesa della strategia nazionale sull’idrogeno.

Questa Italia ‘hub delle rinnovabili’ rimarrà solo un sogno?

Andando di questo passo potrebbe accadere. Speriamo che l’Europa ci obblighi ad accelerare, soprattutto ora che vorrebbe abbattere le emissioni con un’industria delle rinnovabili da riportare ‘in patria’. Dovrà però essere un’industria sostenibile, che usi il più possibile materiale riciclato.

Produrre pannelli fotovoltaici con silicio riciclato e con energia solare ci basterà?

Lo sfruttamento crescente delle risorse è predatorio nei confronti dell’ambiente e converte i problemi di dipendenza dai combustibili fossili in problemi di dipendenza dalle materie critiche, come litio, rame, disprosio e altre terre rare. Un’economia circolare non è sufficiente per realizzare la transizione ecologica. Occorre indurre le aziende, anche grazie a leve fiscali, incentivi e norme adeguate, a riconfigurarsi impedendo che siano i primi a favorire la logica ‘estrai dall’ambiente-produci-consuma-getta-estrai dall’ambiente’. È fondamentale per esempio pretendere una eco-progettazione dei prodotti, cioè, pensarli già per il recupero a fine vita, così da risolvere le criticità che affliggono il riciclo di alcune materie critiche, come gli elevati costi e il notevole loro notevole impatto ambientale.

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