Shell e la maxi-svalutazione causa Covid. E poi c’è lo scandalo tangenti in Nigeria con ENI

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Il gigante petrolifero anglo-olandese ha registrato una perdita storica di oltre 18 mld di $ nel secondo trimestre.

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Royal Dutch Shell ha annunciato una perdita netta di 18,13 miliardi di dollari nel secondo trimestre, causata da una svalutazione di 16,8 mld $ delle sue attività.

Su tale risultato ha pesato soprattutto la riduzione delle previsioni dei prezzi petroliferi e del gas, determinata dal calo della domanda legato ad un’economia mondiale ancora alle prese con gli effetti della pandemia.

Le svalutazioni del secondo trimestre includono però anche quella per la licenza OPL 245, relativa ad un giacimento petrolifero offshore in Nigeria, di cui Shell è titolare insieme ad ENI e che è al centro di un processo per corruzione in Italia.

Tutte le principali compagnie petrolifere del mondo sono state duramente colpite dalla pandemia di coronavirus, che ha determinato un brusco rallentamento di moltissime attività economiche, prosciugando la domanda di carburanti.

Per quanto riguarda il terzo trimestre, Shell ha messo in guardia gli investitori da potenziali tagli alla produzione.

“A causa della domanda o dei requisiti normativi e/o dei vincoli infrastrutturali, Shell potrebbe dover adottare misure per ridurre la produzione di petrolio e/o gas, la liquefazione del GNL, nonché l’utilizzo di impianti di raffinazione e chimici e, analogamente, i volumi di vendita potrebbero risentirne“, ha reso noto la maggiore compagnia petrolifera europea in una nota.

La pandemia ha anche aumentato la consapevolezza dei problemi ambientali generati dal settore petrolifero e sembra avere accelerato la transizione dai combustibili fossili verso alternative più sostenibili.

In questo senso, la Shell è una delle grandi compagnie petrolifere, tra cui la francese Total e la britannica BP, che si sono impegnate a raggiungere zero emissioni nette entro il 2050, in un percorso a metà strada fra il greenwashing e una più reale sostenibilità di cui vi abbiamo parlato in questo articolo.

Shell ha precisato che una svalutazione al netto di imposte di 4,658 miliardi di dollari è “principalmente legata a beni non convenzionali in Nord America, a beni offshore in Brasile e in Europa, a un progetto in Nigeria (OPL245) e a un bene nel Golfo del Messico”

I “beni non convenzionali” menzionati da Shell si riferiscono alle attività nordamericane legate al petrolio di scisto – un settore profondamente indebitato, in cui molte aziende sono tecnicamente insolventi, di cui vi abbiamo raccontato in questo articolo.

Per quanto riguarda appunto la maxi-tangente che sarebbe stata pagata in Nigeria per la licenza OPL 245, i pubblici ministeri italiani hanno chiesto che ENI e Shell paghino sanzioni pecuniarie per 1 miliardo di dollari e che alcuni dei loro attuali ed ex dirigenti, tra cui l’Amministratore Delegato di ENI, Claudio Descalzi, siano condannati ad 8 anni.

Tutti gli imputati hanno negato gli addebiti, definendo le accuse “prive di qualsiasi fondamento”.

Escludendo le svalutazioni, Shell ha conseguito un utile di 638 milioni di $ nel secondo trimestre, in calo dell’82% rispetto ai 3,46 miliardi di dollari dell’anno precedente.

Si tratta comunque di un risultato superiore alle attese degli analisti, che avevano previsto una perdita rettificata di 674 milioni di $.

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