Se pandemia e guerra del petrolio segneranno il tramonto delle fossili dipenderà anche da noi

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Le fossili barcollano sotto i colpi del coronavirus e dei bassi prezzi petroliferi. Ma cadranno al tappeto? E cosa potrebbero fare i governi se ciò accadesse?

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La pandemia di coronavirus e la guerra del petrolio lanciata da Arabia Saudita e Russia segneranno il tramonto delle energie fossili?

Oppure il settore petrolio & gas si risolleverà da questa crisi senza precedenti, e i prezzi del greggio ai minimi storici serviranno solo a rallentare la transizione verso l’energia verde?

Le opinioni sono molte e diversificate, ma nella sostanza altalenano fra questi due opposti.

Chi ha ragione dipenderà da come interagiranno le misure di salvataggio aziendale dei governi, i programmi di sostegno pubblico all’economia, le strategie che le aziende attueranno in base alle proprie inclinazioni e ai vincoli posti loro, l’umore degli investitori, le scelte dei consumatori/elettori e la tenuta o potenziamento degli obiettivi di zero emissioni nette degli Stati.

Senza dimenticare che questo set di variabili dipenderà a sua volta, almeno nel breve periodo, dall’andamento della pandemia e dalla rapidità con cui si riuscirà a trovare un vaccino al Covid19, a produrlo e a somministrarlo a miliardi di persone.

Si tratta di un mix complesso tanto quanto il comportamento fluidodinamico di un fiume in piena. Molto difficile fare previsioni a tavolino.

Si noterà però che, di tutti i macro-fattori principali di questo fiume in piena, la maggioranza rientra nella sfera d’azione e nelle capacità decisionali e di fuoco finanziario degli Stati: salvataggi aziendali, pacchetti di stimolo all’economia, vincoli posti alle aziende per essere salvate, conferma o rafforzamento dei programmi di decarbonizzazione, sono tutti ambiti della politica.

Ciò potrà sembrare una cosa ovvia, ma le sue implicazioni sono enormi: in una prolungata fase di incertezza e fluidità come quella attuale, si possono creare nuovi spazi d’azione e nuovi margini di cambiamento.

Sarà essenziale che il settore delle energie rinnovabili, dell’efficienza energetica, della società civile favorevole ad una transizione energetica la più ambientalmente e climaticamente sostenibile e la più socialmente ed economicamente equa, aumentino la propria capacità di persuasione, fondendo le ragioni della transizione energetica con quelle della ricostruzione economica.

Decarbonizzazione dell’economia e ricostruzione dell’economia devono diventare una cosa sola, due facce della stessa medaglia.

Dentro questo scenario, il prezzo del petrolio sta scendendo ai livelli più bassi da quasi due decenni. Almeno due terzi degli investimenti annuali programmati – 130 miliardi di dollari – sono stati accantonati e decine di migliaia di posti di lavoro sono andati persi.

La guerra dei prezzi condotta dall’Arabia Saudita e dalla Russia ha provocato un aumento della produzione proprio quando la pandemia ha fatto collassare la domanda.

Tale dinamica è vista dagli analisti come un tentativo di conquistare quote di mercato ai danni dei produttori americani di greggio da scisto e dei produttori canadesi di greggio da sabbie bituminose, entrambi ad alto costo.

L’impatto di medio-lungo termine della guerra dei prezzi dipenderà da quanto tempo ancora l’Arabia Saudita e la Russia potranno continuare a pompare petrolio a basso costo. Sebbene, infatti, i loro costi di produzione siano molto bassi, entrambi i paesi dipendono moltissimo dalle entrate petrolifere per i rispettivi bilanci nazionali.

Secondo Michael Liebreich, analista di Bloomberg New Energy Finance, il pareggio di bilancio per l’Arabia Saudita è a circa 80 dollari al barile, il che significa che le sue riserve di valuta estera potrebbero consentirle di far fronte ai bassi prezzi del petrolio per soli due o tre anni. Non sono pochi, ma neanche tanti, in un panorama internazionale caratterizzato da grandi incertezze.

“La Russia, con un break-even di bilancio di 40 dollari al barile e un’economia molto più diversificata, può sopravvivere ai bassi prezzi del petrolio per un decennio“, ha detto Liebreich a The Guardian.

Sul fronte degli attori non sovrani, Wood Mackenzie la scorsa settimana ha analizzato l’impatto di un prezzo del petrolio di 35 dollari sui piani di investimento delle aziende per il 2020.

“Con 35 dollari al barile, il 75% dei progetti non copre nemmeno il costo del capitale,” ha indicato Valentina Kretzschmar, Direttore per la ricerca aziendale di Wood Mackenzie.

La cosa più sorprendente è che i tassi di rendimento dei progetti petroliferi e del gas sono scesi da circa il 20% al 6%, ha detto Kretzschmar in una nota. “Sono in linea con quanto si può ottenere dai progetti fotovoltaici ed eolici“.

Seppure un po’ a macchia di leopardo, dunque, la “autonomia di marcia” del greggio e dei suoi principali attori sovrani e aziendali non sembra più così a lungo raggio, mentre sembra aumentare sempre di più il raggio d’azione delle rinnovabili.

Le attività petrolifere upstream – esplorazione, trivellazione ed estrazione – rendono tanto quanto le attività rinnovabili, come abbiamo evidenziato in questo articolo, mentre la generazione elettrica da fotovoltaico ed eolico è ormai spesso più redditizia della generazione termoelettrica in molti paesi.

“Il settore del petrolio e del gas è già un settore molto poco amato dagli investitori e, in questo tipo di contesto dei prezzi petroliferi, è ad alto rischio, ad alto contenuto di carbonio e a basso rendimento”, ha detto Kretzschmar. “Non è più una proposta molto attraente“.

Come oggi, anche dopo la crisi finanziaria globale del 2008 c’erano grandi speranze che i miliardi di dollari di aiuti a banche e imprese avrebbero reso l’economia più verde. Ciò nonostante, all’epoca, il settore dei combustibili fossili e le loro emissioni ripresero a crescere, sempre di più, fino ad oggi.

“La grande differenza rispetto al 2008 è che il costo delle rinnovabili è ora inferiore a quello dei combustibili fossili. Non ha senso cercare di supportare gli insostenibili beni fossili ad alto costo in ogni caso. Sarebbe profondamente paradossale per dei sostenitori del neoliberismo chiedere un salvataggio da parte del governo”, ha detto Kingsmill Bond, analista presso Carbon Tracker.

Ciò nonostante, il pacchetto di aiuti degli Stati Uniti per fronteggiare il coronavirus, del valore di oltre 2.000 miliardi di dollari, offre prestiti a basso interesse anche ai produttori di combustibili fossili, senza richiedere in cambio alcuna azione per arginare l’emergenza climatica.

Secondo Adrienne Buller, un’economista del centro studi Common Wealth, i governi di paesi come il Regno Unito, gli Stati Uniti e il Canada dovrebbero ora prendere in considerazione la nazionalizzazione delle principali compagnie petrolifere. “Le compagnie petrolifere fossili non potranno fallire in massa”, ha detto.

Il governo canadese, da parte sua, ha reso noto che concederà prestiti alle compagnie petrolifere del paese, dopo aver già nazionalizzato nei mesi scorsi, seppur in via a suo dire temporanea, il più importante nuovo oleodotto sul proprio territorio, che dovrebbe portare dalle praterie alla costa ovest il greggio estratto dalle sabbie bituminose.

Questi ultimi segnali potrebbero offrire una chiave di lettura e un abbozzo di programma per come cogliere l’opportunità offerta dalla crisi attuale, accelerando la transizione energetica e ricostruendo nel contempo l’economia.

Qualsiasi piano di salvataggio dovrebbe, cioè, essere accompagnato da una partecipazione pubblica equivalente nelle aziende, da forti condizioni per la protezione dell’ambiente e del clima, da una transizione dalla produzione di combustibili fossili e da un travaso del lavoro dai settori fossili a quelli rinnovabili.

“Tuttavia, dato che l’intento di acquisire queste partecipazioni dovrebbe essere quello di ridurre la produzione il più rapidamente possibile, garantendo nel contempo una transizione giusta per i lavoratori e la sicurezza dell’approvvigionamento energetico, la nazionalizzazione può essere più appropriata e pragmatica”, ha aggiunto Buller.

Lo Stato potrebbe assumere, direttamente o indirettamente, un ruolo a metà strada fra l’amministratore fallimentare, il coordinatore di ammortizzatori sociali e il curatore di nuove politiche attive del lavoro, incaricato di dismettere attività fossili non più finanziariamente e ambientalmente sostenibili.

In questa veste, i governi sarebbero chiamati, fra le altre cose, a salvaguardare i più deboli, a lasciare ai comparti economicamente più sani e sostenibili del mercato energetico il compito di riempire gli spazi che via via le fossili lasceranno vuoti, riconvertendo dove possibile gli impianti ad altri usi e negoziando con creditori e investitori nelle fossili un programma accelerato di dismissioni e chiusure.

Le economie di scala di vettori come l’idrogeno verde, per esempio, come detto in questo articolo, non consentono di soppiantare nel breve termine i combustibili fossili per attività energivore quali la produzione di cemento, la siderurgia o i traffici marittimi.

Ma il settore delle rinnovabili, i consumatori e la società civile che si ispirano ai valori della sostenibilità dovranno spingere affinché i governi creino condizioni regolatorie e diano segnali di mercato tali che le fossili abbiano il ruolo più limitato possibile, da relegarsi sempre più ai consumi marginali più difficili da soddisfare in altri modi, finché anche questi non saranno coperti da fonti rinnovabili.

Qualunque cosa accada, l’industria petrolifera probabilmente non sarà più la stessa dopo “l’uno-due” infertole dalla pandemia e dalla guerra dei prezzi.

“Le aziende che usciranno dalla crisi non saranno come quelle che ci sono entrate”, ha detto Bond di Carbon Tracker. “Vedremo svalutazioni, ristrutturazioni e cambiamenti radicali”.

Per quanto sia impossibile prevedere quale sarà il risultato del complesso mix di azioni che governi, aziende e consumatori/elettori attueranno, sembra plausibile affermare che mai come adesso ci sono le premesse affinché la mitigazione della crisi climatica e la transizione energetica possano vivere un’accelerazione.

Sta a chi ci crede spingere in questa direzione.

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