Ci sono circa 5mila miliardi di tonnellate di idrogeno naturale immagazzinato nel sottosuolo del pianeta.
Estrarne anche solo una piccola percentuale potrebbe soddisfare per centinaia di anni la domanda mondiale, che nel 2021 era di circa 94 milioni di tonnellate/anno e che secondo lo scenario Net Zero della International Energy Agency, entro il 2030 salirà a quasi 180 milioni di tonnellate/anno.
Il dato arriva da uno studio inedito dell’US Geological Survey ed è riportato dal Financial Times, in un articolo pubblicato domenica 18 ottobre, che cita la presentazione del lavoro avvenuta al meeting annuale dell’American Association for the Advancement of Science a Denver.
Anche se “la maggior parte” dell’idrogeno geologico che lo studio stima “è probabilmente inaccessibile”, come spiegano gli autori, citati dal FT, si tratta di un dato sbalorditivo per il mondo della geologia e che potrebbe cambiare gli scenari per quello dell’energia.
L’idrogeno naturale, detto “bianco” o “oro”, è infatti competitivo a livello di costi rispetto a tutti gli altri “colori” di questo gas: il costo dell’H2 naturale, secondo un documento pubblicato a febbraio 2023 su richiesta della Commissione europea dall’iniziativa Earth2, potrebbe aggirarsi intorno a 1 euro al chilo, cioè a livelli equivalenti all’idrogeno grigio, derivato da gas metano, mentre l’idrogeno verde, da rinnovabili, ha costi in genere superiori a 6 euro/kg.
Nuove scoperte
Fino a tempi relativamente recenti, si pensava che l’idrogeno allo stato puro fosse estremamente raro vicino alla superficie terrestre, perché consumato dai microbi sotterranei o distrutto nei processi geochimici.
La visione però sta cambiando, come mostrato dalla scoperta fatta l’estate scorsa in una miniera in Francia, che ha portato a stimare che il bacino della Lorena contenga 46 milioni di tonnellate di idrogeno naturale.
I geologi ora credono che l’idrogeno venga generato in grandi quantità, quando alcuni minerali ricchi di ferro reagiscono con l’acqua, ha detto Alexis Templeton dell’Università del Colorado, Boulder, alla conferenza AAAS citata dal Financial Times. Ora si stanno trovando riserve naturali di idrogeno in tutto il mondo, come quella nella miniera di cromite di Bulqizë in Albania, oggetto di una pubblicazione uscita questo mese, che produrrà più di 200 tonnellate di idrogeno all’anno.
Insomma potrebbe aprirsi un mondo, anche se ad oggi l’unico sito in cui si estrae idrogeno bianco è il villaggio di Bourakébougou nel Mali, dove dal 2012 l’idrogeno quasi puro scorre da un pozzo senza alcuna diminuzione di pressione.
Anche in Italia si sta cercando H2 bianco in due aree, in Liguria e nel Lazio, con il progetto NHEAT (Natural Hydrogen for Energy trAnsiTion), finanziato dal Pnrr e che coinvolge Cnr, Università La Sapienza di Roma e ING.
Aziende all’opera
Di pari passo cresce l’interesse degli investitori: la start-up statunitense Koloma ha raccolto 91 milioni di dollari lo scorso anno, da vari fondi tra cui Breakthrough Energy Ventures di Bill Gates.
Natural Hydrogen Energy, impresa che ha perforato un pozzo esplorativo nel Nebraska, citata dal FT, afferma che “ci vorranno un paio d’anni per passare alla produzione commerciale”.
Tra le varie aziende attive in questa “nuova corsa all’oro”, il Journal of Petroleum Technology cita le australiane HyTerra e Gold Hydrogen, la britannica Earth Source Hydrogen, la canadese Hydroma e la spagnola Helios Aragon.
Una rivoluzione?
Come sappiamo, l’idrogeno oggi è usato quasi solo come agente chimico, nella produzione, per esempio, di ammoniaca e fertilizzanti, o per la raffinazione dei carburanti fossili, e viene in gran parte da fonti fossili.
Ci sono poi molte aspettative per il suo uso come vettore energetico, cioè nella veste di gas a emissioni zero prodotto dalle Fer o dal nucleare, in sostituzione, per esempio, del metano.
L’idrogeno naturale, a differenza dell’idrogeno prodotto dal gas naturale o dall’elettrolisi, impiegherebbe meno energia per essere estratto, non richiederebbe acqua e occuperebbe poco suolo, rispetto ad altre tecnologie rinnovabili.
Inoltre, la sua produzione potrebbe essere anche rinnovabile, a patto che si adatti il tasso di estrazione a quello di generazione, come si fa con il vapore acqueo caldo nell’energia geotermica.
Dunque si tratta di una strada interessante, anche se è d’obbligo la prudenza: “le cifre che vengono date sono ancora tutte da dimostrare”, ci spiegava a luglio Nicola Armaroli, direttore di ricerca presso il Cnr, facendo notare che resta da vedere l’effettivo costo di estrazione e la purezza dell’H2 estratto, essenziale per certi usi come quello nelle celle a combustibile.