Con i nuovi obiettivi annunciati da Usa, Europa e altri paesi, si è ridotto il divario tra gli impegni presi e quanto dovremmo fare per fermare a livelli non catastrofici il riscaldamento globale, ma siamo ancora lontani dalla svolta che servirebbe.
I nuovi target presentati all’ultimo summit sul clima ospitato negli Stati Uniti da Joe Biden, infatti, frenerebbero di 0,2 °C l’aumento delle temperature a fine secolo, rispetto al previsto, ma anche se gli impegni presi venissero rispettati, la febbre del pianeta salirebbe comunque di 2,4 °C, ben oltre l’aumento massimo di 1,5 °C su cui la comunità internazionale si è accordata a Parigi.
La stima, corredata di ovvia incertezza, arriva da Climate Action Tracker, think tank specializzato nel valutare l’efficacia delle politiche contro il global warming.
Il limite dei 2 °C di riscaldamento a fine secolo verrebbe rispettato solo nello “scenario ottimistico”, che ipotizza che tutti coloro che hanno annunciato di puntare alla neutralità climatica la raggiungeranno.
Sono oggi 131 i paesi che si sono impegnati a raggiungere, o stanno considerando di raggiungere, la carbon neutrality: assieme pesano per il 73% delle emissioni globali di gas serra.
Ma sono soprattutto i nuovi obiettivi 2030 ad aver fatto rivedere al ribasso la stima sull’aumento delle temperature, e soprattutto quelli di Usa, Ue, Cina e Giappone (sebbene Cina e Giappone non abbiano ancora formalmente presentato i loro piani per il 2030 alle Nazioni Unite).
“È chiaro che l’accordo di Parigi sta trainando il cambiamento, spingendo i governi ad adottare obiettivi più forti, ma c’è ancora molta strada da fare, soprattutto perché la maggior parte dei governi non ha ancora politiche in atto per mantenere gli impegni”, ha detto Bill Hare, amministratore delegato di Climate Analytics, una delle organizzazioni partner di Climate Action Tracker.
“La nostra stima del riscaldamento dalle politiche attuali è di 2,9 °C, ancora quasi il doppio di quello che dovrebbe essere, i governi devono intensificare con urgenza la loro azione”, spiega Hare.
Anche il Canada, ricordiamo, ha presentato un nuovo obiettivo, il Sudafrica ha un nuovo target in fase di consultazione pubblica, l’Argentina ha annunciato un ulteriore rafforzamento dell’obiettivo presentato lo scorso dicembre e il Regno Unito ha annunciato un traguardo 2035 più ambizioso.
Incide sul possibile aumento della temperatura che non abbiano adottato obiettivi più ambiziosi potenze quali India, Indonesia, Messico, Russia, Arabia Saudita e Turchia.
Gli Stati Uniti, ricordiamo, hanno annunciato un taglio del 50-52% delle emissioni entro il 2030, rispetto al 2005: per Climate Action Tracker, però, la riduzione dovrebbe essere almeno del 57-63% per essere compatibile con il limite di temperatura di 1,5 °C concordato a Parigi.
Inadeguato anche l’obiettivo giapponese del meno 46% sui livelli del 2013: Tokyo dovrebbe tagliare del 60% le emissioni per rispettare gli impegni della CoP 21. Quanto al target del Canada (meno 40-45% rispetto ai livelli del 2005), per Climate Action Tracker sarebbe adeguata solo la riduzione più alta nella forchetta prospettata.
“Significativo”, per Climate Action Tracker, l’annuncio della Cina di un calo della produzione energetica da carbone dal 2025, anche se non c’è un limite sul quanto possa aumentare da qui a quella data.
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