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Rinnovabili e clima, cosa deve fare l’Italia per non perdere il treno del Recovery Fund

  • 2 Dicembre 2020

Opportunità e rischi con i nuovi fondi europei. Il dibattito nella prima sessione del Forum QualEnergia.

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L’Italia deve imparare in fretta a utilizzare bene i fondi europei, altrimenti rischia di perdere il treno del Recovery Fund e con esso l’occasione di finanziare grandi progetti per contrastare la crisi climatica.

Poi deve accelerare moltissimo gli investimenti nelle energie rinnovabili, semplificando le procedure per il rilascio delle autorizzazioni ai nuovi impianti.

Questi i temi fondamentali su cui si è discusso oggi, mercoledì 2 dicembre, nella prima sessione del Forum QualEnergia, dedicata a come investire le risorse europee del Recovery Fund (video in basso).

Sul piatto per l’Italia ci sono 210 miliardi di euro, ha ricordato Agostino Re Rebaudengo, presidente di Elettricità Futura, ma negli anni passati il nostro Paese ha sfruttato solo una parte (il 40% circa) dei fondi Ue che aveva a disposizione.

Nel periodo 2014-2020, ha spiegato Re Rebaudengo, “su 72 miliardi di euro di risorse Ue potenzialmente utilizzabili, l’Italia ha speso 29 miliardi, con una percentuale [40%] tra le più basse nei vari Paesi europei”.

Un errore da non ripetere, perché la posta in gioco è molto alta.

Quei soldi, infatti, dovranno finanziare molti progetti – che ricordiamo devono essere cantierabili entro il 2023 e completati entro il 2026 – nell’ambito delle tecnologie pulite.

Il governo punta anche a usare i fondi Ue per prorogare il Superbonus del 110% in edilizia.

Ma lo sviluppo attuale delle fonti rinnovabili in Italia non è compatibile con gli obiettivi al 2030 fissati dal Pniec (Piano nazionale integrato per energia e clima); tra l’altro, lo stesso Pniec va rivisto alla luce del nuovo obiettivo proposto dall’Ue sulla riduzione delle emissioni al 2030.

Si parla di tagliare le emissioni del 55-60% e ciò richiederà di realizzare una quota più elevata di energie rinnovabili.

Di fatto, ha affermato il presidente di Elettricità Futura, se l’Italia andrà avanti col passo attuale, installando circa 1 GW/anno di rinnovabili, “raggiungerà l’obiettivo del 2030 nel 2085” (si veda QualEnergia.it, Con il nuovo target Ue, in Italia rischiano di mancare all’appello 47 GW di rinnovabili nel 2030.)

La stima di Elettricità Futura è che ridurre le emissioni del 55% comporterebbe, per il solo settore elettrico italiano, investimenti per 100 miliardi di euro e l’installazione di 65 nuovi GW di rinnovabili.

In sostanza, oltre ai soldi servono delle riforme profonde.

Come ha dichiarato Gianni Girotto, presidente della X Commissione Industria del Senato, “servono regole chiare e certe” soprattutto per quanto riguarda le autorizzazioni agli impianti.

Oggi in Italia, ha evidenziato Re Rebaudengo, per ottenere tutte le autorizzazioni a costruire un nuovo impianto eolico servono in media cinque anni, e due anni per costruire un impianto fotovoltaico, mentre la direttiva europea RED II sulle rinnovabili prevede di norma un solo anno, due in certi casi eccezionali.

Un altro filone su cui lavorare, secondo il presidente di Elettricità Futura, è la semplificazione per gli interventi di potenziamento degli impianti esistenti (repowering), senza dimenticare la necessità di una normativa volta a promuovere la diffusione dei contratti PPA per le rinnovabili (Power Purchase Agreement: contratti di lungo termine con cui acquistare energia 100% verde per enti pubblici e aziende).

Mentre Girotto ha spiegato che le norme su autoconsumo collettivo e comunità energetiche – ricordiamo che l’Italia è impegnata a completare il recepimento delle due direttive Ue in materia – dato che mettono i cittadini al centro della gestione degli impianti, aiuteranno ad accelerare l’installazione delle rinnovabili e superare la sindrome Nimby (not in my backyard, vale a dire, non nel mio cortile).

A proposito di Nimby: l’eolico offshore, molto contestato a Rimini in queste settimane, secondo il presidente di Legambiente, Stefano Ciafani, è una tecnologia che invece può contribuire alla rivoluzione energetica italiana, grazie in particolare ai progetti su piattaforme galleggianti (un esempio è il progetto appena proposto da Toto-Renexia per 2,8 GW nel Canale di Sicilia).

Un’altra tecnologia su cui puntare, ha detto Ciafani, è l’agro-fotovoltaico.

“Si possono fare parchi fotovoltaici a terra senza consumare suolo agricolo – ha precisato Ciafani – perché nell’agro-fotovoltaico la destinazione dei terreni rimane la stessa, per allevamenti e colture”, grazie alle particolari configurazioni degli impianti FV, con moduli più alti dal suolo e in filari distanziati.

Infine Gianni Silvestrini, direttore scientifico di QualEnergia e Kyoto Club, ha indicato altri settori su cui indirizzare la quota italiana del Recovery Fund: mobilità elettrica, con particolare attenzione ai piani per sostituire gli autobus del trasporto pubblico locale con mezzi elettrici, filiera dell’idrogeno verde (elettrolizzatori), filiera delle batterie, compreso il recupero/riciclo di accumulatori.

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