Rinnovabili, accumuli e prosumer per i servizi di rete, nuovi piani nel “laboratorio Hawaii”

L’arcipelago statunitense è il primo Stato americano ad aver voluto una legge per il 100% di fonti pulite entro metà secolo (2045). Vediamo con quali misure intende raggiungere l'obiettivo.

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Arrivare al 100% di energie rinnovabili entro metà secolo è un obiettivo che alcuni Stati americani stanno prendendo molto sul serio. Un fatto che rimarca l’enorme distanza che separa le loro politiche da quelle di Donald Trump (vedi qui le sue ultime fake-news contro l’eolico).

Nei giorni scorsi il principale fornitore di elettricità delle Hawaii ha lanciato un nuovo piano per espandere la potenza installata nelle tecnologie pulite e modernizzare la rete elettrica dell’arcipelago.

Ricordiamo che le Hawaii hanno dato il via alle leggi Usa che puntano a de-carbonizzare totalmente il mix energetico: il provvedimento è del 2015. Negli anni seguenti si sono aggiunti diversi altri Stati, tra cui soprattutto  California e Illinois con misure ambiziose per abbandonare i combustibili fossili.

Siamo ancora lontani dall’ipotesi di un Green New Deal sostenuto da una parte dei democratici, ma sono segnali evidenti di come, anche in America, gli investimenti nelle fonti “verdi” stiano guadagnando attenzione crescente a livello politico-economico.

Più in dettaglio, il programma di Hawaiian Electric prevede di realizzare numerosi progetti nel campo delle risorse rinnovabili e dell’accumulo energetico, senza dimenticare i servizi di flessibilità per la rete.

Si punta a una produzione aggiuntiva da rinnovabili nell’ordine di 295 GWh/anno nel 2022 che corrisponde, precisa una nota della compagnia elettrica, a circa 135 MW di nuova potenza installata nel fotovoltaico; inoltre, si punta a una capacità aggiuntiva nello storage elettrochimico (batterie) di circa 503 GWh/anno, sempre nel 2022.

Il programma include diverse configurazioni tecnologiche: impianti eolici e solari con sistemi di accumulo integrati, singole installazioni di batterie stand-alone per la rete, allo scopo di sostituire la generazione con fonti fossili che verrà a mancare nei prossimi anni.

Nel 2022, infatti, chiuderà una centrale a carbone da 180 MW sull’isola di Oauh, mentre nel 2024 sarà fermato un vecchio impianto a olio combustibile sull’isola di Maui.

Quindi le Hawaii sono chiamate a trasformare abbastanza velocemente il sistema elettrico dell’arcipelago, in modo da garantire la continuità e sicurezza delle forniture attraverso una rete sempre più flessibile con le rinnovabili abbinate alle batterie.

Di recente, sempre alle Hawaii, sono stati proposti diversi progetti di fotovoltaico con storage a prezzi super-concorrenziali rispetto alla generazione tradizionale con carburanti fossili (vedi qui: si parla di 8-12 centesimi di dollaro per kWh).

E il piano non si ferma qui: l’utility locale vuole anche puntare sui cosiddetti “aggregati” di utenti che mettono a disposizione della società elettrica le rispettive tecnologie (batterie domestiche, colonnine di ricarica dei veicoli, impianti solari residenziali e così via) per farle partecipare alle dinamiche del mercato energetico tramite la fornitura di determinati servizi, come la regolazione rapida di frequenza e il load-shifting, cioè la possibilità di posticipare i consumi per evitare sovraccarichi sulla rete.

Servizi che poi andranno remunerati in vario modo, ad esempio con crediti e sconti in bolletta, favorendo così la partecipazione al mercato di un numero crescente di prosumer, gli utenti attivi che autoproducono l’energia con FV e l’uso di batterie nell’ambito di una generazione sempre più distribuita.

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