Ricarica domestica dell’auto elettrica: cosa bisogna sapere

Per ricaricare il proprio veicolo elettrico a casa ci sono aspetti che non possono essere trascurati: dispositivi per la ricarica, wallbox, costi, problemi da evitare. Ne parliamo con Alessandro Giubilo.

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Abbiamo più volte affrontato il problema della scarsità di colonnine di ricarica per le auto elettriche in Italia (Ricaricare l’auto elettrica: dove, come e quanto costa) e dei costi delle ricariche presso queste infrastrutture (Auto elettrica, quel salasso della ricarica in strada).

Ma cosa accade a coloro che possono avvalersi di un punto di ricarica domestico? Per loro ogni problema è risolto?

Non proprio. Il mondo della ricarica dei veicoli elettrici a casa è piuttosto complesso, con alcune sorprese decisamente inaspettate, come le difficoltà extra che incontrano i romani in questo ambito.

Per capirci qualcosa abbiamo chiesto lumi a un esperto del settore, Alessandro Giubilo, proprietario della Flexinergy, distributore per l’Italia di sistemi elettronici per le energie rinnovabili, fra cui una wallbox, l’impianto a parete per la ricarica di auto elettriche.

«Ovviamente il primo, più economico e più ovvio sistema per ricaricare un’auto a casa, è quello di attaccarla, tramite un carica batteria mobile in dotazione all’auto o acquistabile a parte, a una comune presa domestica, come si fa comunemente per mezzi piccoli come biciclette o scooter elettrici», ci dice Giubilo.

«In questo caso il trasformatore del sistema assorbe elettricità a una potenza compresa fra 1,8 e 2,3 kW, così da lasciare spazio ad altri consumi anche a chi ha solo 3,3 kW di potenza elettrica massima domestica».

Semplicissimo, ma non senza problemi?

«Il primo problema è che se la potenza disponibile è solo 3,3 kW, basta attaccare un phon o un forno, e il contatore salta. Il secondo è che con quelle potenze, per ricaricare completamente le batterie che hanno dai 30 a 100 kWh di capacità, servono giorni. Il terzo, e più grave, è che le prese, le spine, o persino i cavi nel muro, potrebbero non reggere i kW assorbiti dalla ricarica. In particolare, la spina tedesca Shuco, regge fino a 2 kW, poi fonde e prende fuoco: ci sono già stati diversi incendi nel mondo causati dalla “ricarica volante” delle auto elettriche. Alcuni modelli, più costosi, hanno sensori di temperatura nella spina, per bloccare l’erogazione in caso di surriscaldamento, ma comunque non possono controllare cosa accade nell’impianto».

Quindi anche in viaggio bisogna stare attenti?

«Sì, attaccandosi con questi sistemi mobili alle prese di alberghi, amici o gentili abitanti del posto, è bene informarsi sullo stato dell’impianto elettrico, per evitare di causargli danni non da poco».

Quindi ricariche volanti solo se si ha tanto tempo a disposizione, e impianti elettrici a prova di bomba. Altrimenti meglio le wallbox

«Queste – spiega Giubilo – sono dispositivi attaccati a un muro, dotati di una presa universale di tipo T2, ormai collegabile a tutte le auto elettriche, tranne i modelli più vecchi. Attenzione però a non comprare modelli con una potenza di ricarica fissa, che magari sono più economiche, ma possono dare molti guai. Queste inadeguate ricariche fisse, che definirei “stupide”, hanno infatti potenze costanti di 3,6 kW o di 7,3 kW, mentre in Italia la potenza elettrica domestica al contatore normalmente è di 3,3, 4,5 oppure 6 kW: si vede bene allora che si rischia di far saltare spesso o sempre il contatore».

E le wallbox più smart come evitano il problema?

«Queste hanno invece potenze variabili, fino a un massimo di 7 kW usando la normale corrente monofase, e fino a un massimo di 22 kW con corrente trifase, che richiede però un suo contatore speciale di potenza adeguata. Ma non vanno sempre al massimo: autoregolano la propria potenza per non superare quella ancora disponibile, cioè la potenza massima al contatore, meno tutti gli altri consumi domestici, evitando così di far restare al buio l’utente».

E se uno ha un impianto fotovoltaico o sistema di accumulo?

«Il fotovoltaico aggiunge la sua potenza istantanea a quella del contatore, allontanando il rischio di distacco o aumentando la potenza disponibile per la ricarica. Ma le wallbox molto smart possono anche essere istruite perché prelevino solo la potenza in arrivo dall’impianto FV, ottenendo così il massimo risparmio economico. In caso vi sia un sistema di accumulo è lo stesso: si può programmare il sistema, affinché dia priorità alla ricarica tramite FV alla batteria di casa oppure all’auto, o anche di trasferire energia dalla batteria domestica a quella dell’auto, quando il solare non è disponibile».

E se volessimo usare la batteria dell’auto per alimentare la casa, al posto della batteria domestica?

«No, è proibito dalle norme attuali, e penso che sarà difficile che sia mai permesso, per motivi tecnici e di sicurezza. Discorso diverso se la casa è isolata dalla rete: allora potrebbe essere possibile usare l’auto elettrica per alimentare, per un breve periodo, i consumi domestici».

Ma le auto elettriche non serviranno come “sistema di accumulo diffuso per la rete”?

«Quella è una cosa diversa: in quel caso sarà il gestore della rete, pagando il servizio ai proprietari delle auto, a coordinare l’assorbimento o il rilascio in rete dell’elettricità contenuta in migliaia di auto elettriche, collegate alla rete con dispositivi che riconvertano in alternata la corrente continua delle batterie. Si chiama Vehicle to Grid o V2G e su questo si stanno facendo test in varie parti del mondo».

Parliamo di sicurezza: le wallbox non fanno correre rischi all’impianto elettrico di casa?

«No, una volta applicate a un muro, sia esso al chiuso o all’aperto, vengono connesse da un installatore con un nuovo cavo al contatore, tarato sulla loro potenza massima. Attenzione, però, a due altre complicazioni».

Quali?

«Se una wallbox viene installata in un box posto sotto a un condominio, serve un certificato antincendio; documento che ben pochi condomini ancora hanno, e che lo includa nello schema dell’impianto elettrico. Vanno poi anche dotate di un interruttore esterno per la disattivazione da parte dei pompieri. Altra complicazione è che queste wallbox devono essere dotate di un interruttore differenziale di tipo B, che le disattivi se si verificano perdite sia lungo la linea verso il contatore, che in quella verso le batterie: è importantissimo perché queste ultime hanno tensioni da 300 a 800 volt in corrente continua, che uccidono all’istante. Se il differenziale non è già incluso nella wallbox, va comprato a parte».

A proposito di acquisto, quanto si va a spendere per questo impianto?

«Dai 500-600 euro per una ricarica fissa, quella “stupide” diciamo, ai 2000 euro di certe wallbox “di marca famosa”, che a volte però non meritano quel prezzo. In media potremmo stare sui 1000-1200 euro. A questo va aggiunto il costo di installazione, dai 300 euro in su. Se tutto è fatto in regola, lo Stato restituisce come detrazione fiscale il 50% della spesa, o anche l’intero importo, se è inserita in un intervento col superbonus 110%».

Anche con le wallbox in corrente alternata più potenti, però, servono alcune ore per fare “un pieno” a casa: non esistono modelli domestici in corrente continua, per la ricarica veloce?

«No, perché richiederebbero costosissime linee elettriche da decine di kW, e non avrebbero comunque molto senso: le ricariche veloci servono per non perdere tempo durante i viaggi lunghi, ma a casa si resta in genere alcune ore, più che sufficienti per ricaricare completamente o quasi la batteria. Inoltre, meglio ricaricare le batterie lentamente, se si può: gli si allunga la vita».

Per concludere veniamo allo strano caso di Roma.

«Roma, unica città in Italia, ha la corrente bifase, fin dal 1946: sono decenni che si dice che si ripristinerà anche nella capitale la normale monofase, ma il 90% della città resta con quella anomalia. Ciò comporta che alcune marche di auto elettriche, in particolare le Renault e le Smart dalla seconda serie, che hanno un sistema di ricarica integrato particolare, non possano usare quella di casa per ricaricarsi, a meno di non dotare l’impianto di un costoso trasformatore, che ha un prezzo di 300-500 euro. Persino alcune colonnine stradali non funzionano con quei modelli di auto, per lo stesso motivo. E beffa nella beffa, Smart, Twingo e Zoe sono proprio i modelli elettrici più venduti nell’Urbe, anche perché i concessionari si guardano bene dall’avvertire i compratori di questo… inconveniente».

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