Quanto è davvero utile compensare le emissioni dei voli aerei?

  • 24 Febbraio 2020

Il punto della situazione da Transport & Environment su una pratica che si sta diffondendo in risposta al senso di colpa per le emissioni clima-alteranti di chi viaggia in aereo.

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Dovrei compensare le emissioni clima-alteranti del mio volo, e se sì, quale compensazione dovrei usare?” è la domanda che più spesso viene posta da chi si sente in colpa per i molti o pochi aerei che prende – visto che volare è di gran lunga l’attività a più alta intensità di carbonio che si possa fare.

Collettivamente, voliamo sempre di più. A fronte di ciò, talune persone, in numero crescente, hanno deciso di volare di meno e prendere il treno più spesso, ove possibile; altre persone hanno invece rinunciato del tutto a volare.

Ma, che sia per lavoro o per visitare la famiglia all’estero, volare, per molti, è inevitabile. Altrettanto inevitabile è l’impatto climatico di questi voli.

Che si tratti di auto elettriche, energie rinnovabili, diete vegetariane o case ben coibentate, abbiamo la fortuna di poter trovare l’opzione più ecologica in un numero crescente delle nostre scelte come consumatori.

Ma per i voli, purtroppo, non esiste al momento un’opzione verde. Si è quindi cercato un modo per compensare, almeno indirettamente, i danni climatici che gli aerei causano.

La soluzione più gettonata è quella di compensare – pagare cioè per qualcosa che contribuisca a ridurre le emissioni in modo proporzionale a quelle rilasciate dai voli che via via si prendono – per esempio, investendo in energie rinnovabili o nella coltivazione di alberi in qualche parte del mondo.

Ma le compensazioni di carbonio funzionano davvero? Una risposta interessante arriva da Andrew Murphy, responsabile per l’aviazione di Transport & Environment, think tank ambientalista in prima linea nella riduzione dell’impatto climatico dei trasporti.

Alcuni – sottolinea –  definiscono le compensazioni come moderne indulgenze papali, sulla falsa riga della pratica medievale di pagare la Chiesa per ottenere dei “certificati” che assolvessero le persone dai loro peccati e garantissero loro il Paradiso.

Secondo Murphy, così come era discutibile che le indulgenze purificassero l’anima – tanto da innescare la Riforma di Martin Lutero – altrettanto discutibile è l’idea che le compensazioni aeree siano veramente utili a purificare l’aria, oltre che le nostre coscienze.

Anzi, a essere onesti, dice Murphy, è possibile affermare che, dopo decenni di tentativi di farle funzionare, le compensazioni non cancelleranno i nostri “peccati” di volo.

Le ragioni sono abbastanza complesse ma, in breve, l’organizzazione non governativa di cui Murphy fa parte ritiene che ci siano un motivo pratico e uno teorico perché le compensazioni non funzionano.

Il motivo pratico è più facile da spiegare.

Quando si effettua una compensazione, non si può essere sicuri che l’attività di riduzione delle emissioni di carbonio per cui si paga abbia effettivamente luogo, o che non avrebbe avuto luogo indipendentemente dal pagamento.

Per esempio, non si sa se quegli alberi piantati non bruceranno, o se quell’impianto fotovoltaico sarebbe stato costruito comunque. È quella che in letteratura si chiama “addizionalità”, che si riferisce agli effetti quantitativi aggiuntivi di un’azione – e la ricerca ha dimostrato che la maggior parte delle compensazioni non ha un effetto addizionale.

Il problema teorico è invece radicato nel modo in cui è stato concepito l’Accordo di Parigi sul clima.

L’accordo pone obiettivi di temperatura ed emissioni, ma permette a ciascuna paese di fissare il proprio livello di riduzione di gas clima-alteranti. Ciò lascia aperta la possibilità che le parti si pongano obiettivi deboli di per sé, e che ci vendano qualsiasi superamento di soglie molto basse come compensazioni efficaci.

Il risultato è che non si riducono le emissioni extra, e si è portati a credere di poter volare in modo sostenibile.

A quattro anni dalla firma dell’Accordo di Parigi, gli Stati non sono ancora riusciti a trovare un accordo su come rendere operative le disposizioni sulla compensazione. E alla fine dell’anno scorso, alla conferenza sul clima di Madrid, le trattative sono di nuovo fallite.

È l’unica sezione dell’accordo che i negoziatori non sono riusciti a rendere operativa. E i negoziati sul tema probabilmente continueranno a fallire, perché inserire le compensazioni nell’accordo di Parigi è come cercare di inserire un palo quadrato in un foro rotondo.

Per Transport & Environment, insomma, la compensazione dovrebbe essere vista come un difetto, non come una caratteristica utile dell’accordo.

Come curare allora il senso di colpa per il clima? Cosa può fare una persona “normale” per contribuire a neutralizzare in modo efficace il proprio impatto aeronautico sul clima?

Si può, per esempio, compensare facendo del proprio meglio per trovare i fornitori più affidabili.

Anche i trasferimenti di denaro dalle persone benestanti –  e le persone che volano di più sono benestanti – alle persone più colpite dal cambiamento climatico – e sono sempre i più poveri del pianeta i più colpiti – sono sicuramente utili.

La realtà è che i limitati benefici della compensazione non saranno mai sufficienti a compensare i danni al clima provocati dai voli aerei.

Ciò nonostante, ci sono iniziative in corso per realizzare un sistema globale che consentirebbe alle compagnie aeree di compensare una parte delle loro emissioni; si chiama CORSIA, il Carbon Offsetting and Reduction Scheme for International Aviation, e le compagnie aeree stanno spingendo perché questa sia l’unica misura messa in atto.

Cosa dovrebbero fare invece i governi?

Secondo Murphy, i governi devono fare una scelta. Perché, a differenza degli individui, che hanno una scelta limitata e un potere limitato, le opzioni per i governi sono praticamente infinite.

Possono tassare, investire, vietare, limitare, ordinare e comandare. Se oggi abbiamo energie rinnovabili su vasta scala o i veicoli elettrici è perché lo Stato ha usato i suoi poteri per indirizzare e anche piegare i mercati a guidarne lo sviluppo.

La compensazione da parte degli individui è, nel peggiore dei casi, inefficace. I governi che attuano schemi di compensazione fanno qualcosa di peggiore: distraggono risorse e attenzione da politiche effettivamente efficaci che possono realmente ridurre le emissioni dell’aviazione.

La presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen e i nuovi Commissari sembrano averlo capIto. Il Green Deal europeo non fa riferimento alla compensazione del trasporto aereo, ma si concentra invece su politiche come la tassazione del cherosene, lo scambio di emissioni e i nuovi carburanti.

Tutte queste sono soluzioni vere con un potenziale concreto per ridurre davvero le emissioni. La sfida è mantenere queste grandi promesse.

Secondo Murphy, alcuni continueranno a distrarre l’attenzione, spingendo per le compensazioni, ma Ursula von der Leyen deve resistere alle sirene delle soluzioni apparentemente facili, ma in realtà futili.

Ha il capitale politico per farlo e le persone chiedono misure concrete per ridurre veramente le emissioni degli aerei o almeno il loro impatto, conclude Murphy.

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