Ondate di calore, siccità, alluvioni, incendi, frane, perdita di raccolti agricoli, morti premature, migrazioni: il cambiamento climatico aumenta la frequenza e intensità di molti eventi “estremi” e delle relative conseguenze, che spesso comportano ingenti danni sociali ed economici per i Paesi colpiti.
Ma come si fa a dare un valore in termini finanziari ai danni provocati dal surriscaldamento terrestre? Quanto costa alle nostre società ogni singola tonnellata di CO2 emessa dalle automobili, dalle industrie, dalle centrali a carbone o gas?
Molto di più di quanto si è stimato finora: più del triplo ad esempio del valore preso attualmente come riferimento dalla Casa Bianca per definire le sue politiche su energia e clima (51 $/ton).
Il numero corretto è 185 $ per tonnellata di CO2, considerando una media globale, secondo una recente ricerca pubblicata su Nature dal titolo “Comprehensive Evidence Implies a Higher Social Cost of CO2” (link in basso).
Si parla del costo sociale della CO2: è il peso economico che si porta dietro ogni nuova tonnellata di anidride carbonica, rilasciata in atmosfera dalle attività umane, perché contribuisce ad aumentare le temperature e quindi ad accelerare il climate change con i suoi effetti devastanti.
Per arrivare alla cifra di 185 $/ton, gli autori della ricerca hanno considerato tutti gli aggiornamenti scientifici più recenti in vari settori: modelli climatici, proiezioni demografiche, scenari socioeconomici e così via.
In questo modo sono riusciti a calcolare il reale impatto finanziario, per la società nel suo complesso, dato dalle emissioni di CO2, pur ammettendo che rimane un ampio margine di incertezza.
Sembrerebbe un esercizio puramente teorico ma non lo è affatto: il costo sociale della CO2 è un parametro di fondamentale importanza per stimare i rapporti costi-benefici delle misure volte a ridurre le emissioni.
È sempre stato difficile tradurre le emissioni in termini monetari, come conferma la scarsa diffusione a livello mondiale delle politiche di carbon pricing, con poche eccezioni, tra cui il mercato europeo ETS (Emissions Trading Scheme).
Peraltro lo stesso ETS rischia di essere temporaneamente sospeso o ridimensionato nel quadro delle misure contro il caro energia al vaglio della Commissione europea. Molte aziende, infatti, temono di perdere competitività sui mercati anche a causa del prezzo troppo alto che devono pagare per le loro emissioni di CO2.
Il mercato in queste settimane, come prevedibile, è stato molto volatile e con tendenze ribassiste, tanto che i valori minimi sono scesi ben sotto 70 euro/ton nella settimana tra il 5 e 9 settembre (oggi a 69,75 €/ton).
Il punto, sottolineato dalle analisi pubblicate su Nature, è che dovremmo pagare la CO2 molto di più rispetto a oggi; certo è ancora più difficile far accettare a politici e cittadini un concetto del genere nel pieno della crisi energetica, dove i prezzi di elettricità e gas sono già alle stelle e aumenta considerevolmente la povertà energetica di famiglie e imprese.
Non a caso, gli interventi dei governi Ue finora hanno privilegiato le sovvenzioni generalizzate al consumo di energia, ad esempio con le riduzioni delle accise sui carburanti, anziché puntare maggiormente su efficienza e risparmio energetico e su cospicui investimenti nelle tecnologie pulite.
Ed è stato un errore secondo il think tank Bruegel; che chiede di accelerare gli sforzi comuni per ridurre la domanda di energia e focalizzare le sovvenzioni sui consumatori vulnerabili (si veda anche Quali sono i possibili esiti del price cap Ue sul gas?).
Ecco perché è così importante il costo sociale della CO2: esso riflette i reali danni economici inflitti dal mix economico-energetico incentrato sui combustibili fossili e dovrebbe fornire un chiaro incentivo, tramite politiche di carbon pricing, a ridurre il loro utilizzo.
Sul lungo termine, la transizione energetica verso le rinnovabili e gli obiettivi climatici net-zero (azzeramento delle emissioni nette), sarà tanto più conveniente quanto prima si sarà cominciato a tagliare gli investimenti in gas, petrolio e carbone, dirottandoli sulle energie green.
Per seguire questa rotta però servono i giusti segnali di prezzo: significa, semplificando al massimo, applicare su vasta scala il principio “chi inquina di più paga” imponendo un determinato costo, progressivamente più alto, alla CO2.