Quale sarà la risposta europea alla crisi del gas?
La situazione, dopo il Consiglio Ue sui temi energetici della scorsa settimana, è ancora molto incerta, soprattutto sulla possibilità di applicare un tetto ai prezzi del combustibile fossile.
Proprio oggi, martedì 13 settembre, la Commissione europea dovrebbe presentare le sue proposte dettagliate contro il caro energia, in base alle indicazioni emerse dalla riunione straordinaria dei ministri competenti.
I punti da affrontare sono quattro:
- riduzione coordinata della domanda elettrica a livello Ue;
- tetto ai ricavi per i produttori di energia elettrica con impianti infra-marginali che hanno bassi costi operativi (tra cui rinnovabili e nucleare);
- contributo di solidarietà a carico delle compagnie oil&gas per finanziare interventi di sostegno ai consumatori vulnerabili;
- strumenti di emergenza a supporto della liquidità delle utility, messe in difficoltà dalla volatilità dei prezzi sui mercati energetici.
Sul price cap al gas ci sono invece parecchie divisioni. Tanto che la palla, con ogni probabilità, passerà nelle mani dei capi di Stato e di governo nei prossimi vertici europei a ottobre.
Il governo italiano è il principale sostenitore di un tetto generalizzato Ue a tutte le importazioni di gas; la proposta secondo il ministro Cingolani conta una quindicina di Paesi favorevoli, ma il quadro è molto sfumato e aperto a differenti opzioni.
Alcuni Paesi, infatti, sono contrari. Alcuni governi vorrebbero un cap solo sul gas russo, altri pensano che il tetto al prezzo dovrebbe essere accompagnato da ulteriori verifiche sulla sostenibilità economica della misura.
In sintesi, dal Consiglio Ue è emerso che la proposta italiana è appoggiata senza riserve da Belgio, Grecia, Croazia, Lituania, Malta, Svezia, Slovacchia, Polonia e Romania. Francia, Lettonia, Cipro e Lussemburgo si sono dichiarati aperti a considerare questa possibilità.
Invece il tetto al solo gas russo ha incontrato il favore di Croazia, Danimarca, Estonia, Francia e Irlanda, mentre Austria, Ungheria, Lussemburgo, Slovacchia e Svezia hanno bocciato tale idea.
Insomma, è ancora difficile stilare una mappa definita delle posizioni in campo. Tra gli Stati membri più titubanti o contrari ci sono quelli orientali, che temono ripercussioni della Russia con un taglio totale delle sue forniture.
Ma anche i Paesi Bassi potrebbero perdere qualcosa in termini finanziari, dal momento che in Olanda si trova il Ttf (Title Transfer Facility), uno dei principali mercati europei del gas, che fissa il prezzo di buona parte del combustibile in arrivo nella Ue. I Paesi Bassi, infatti, sembrano aperti a un price cap ristretto al gas russo, senza però colpire anche le altre importazioni.
Intanto Francia e Germania hanno stretto un accordo bilaterale di solidarietà reciproca, che prevede maggiori interscambi di gas ed energia elettrica per fronteggiare eventuali emergenze.
La commissaria Ue Kadri Simson (Energia) è rimasta finora molto prudente sulla questione, affermando che un price cap generalizzato potrebbe comportare dei rischi per le forniture di gas, soprattutto quelle di Gnl importato via nave, che potrebbero essere dirottate su altri mercati. La presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, ha sposato la tesi del price cap sul gas russo nel suo discorso prima del Consiglio Ue.
Interessante, a questo punto, vedere come sono cambiati i flussi di gas verso la Ue da quando è scoppiata la guerra in Ucraina (primi sei mesi 2022 vs stesso periodo del 2021), grazie alla mappa pubblicata da un recente Policy brief di Bruegel, istituto indipendente di ricerca su temi politici-economici, basato a Bruxelles.
Si osserva il netto incremento dei volumi di Gnl dai mercati internazionali (Usa e Qatar in primis), oltre ai maggiori flussi da Norvegia e Azerbaijan, mentre le esportazioni russe si sono fortemente ridotte, anche se ciò non ha impedito a Mosca di realizzare enormi profitti, grazie alle impennate dei prezzi (i flussi di gas verso l’Italia a fine luglio).
Il punto, si legge nel documento, è che la risposta politica europea “finora è stata eccessivamente focalizzata a livello nazionale e potrebbe minare gli obiettivi di tranquillizzare i mercati energetici nei prossimi 18 mesi e di raggiungere gli ambiziosi traguardi di decarbonizzazione” (neretti nostri nelle traduzioni).
La domanda di energia, si spiega, in particolare quella di combustibili fossili, è tornata rapidamente a crescere dopo la pandemia, ma si è registrato uno squilibrio lato offerta, poi accentuato da una serie di fattori: la manipolazione russa del mercato europeo del gas (soprattutto in seguito al conflitto ucraino, ma iniziata già prima), la siccità estiva e il crollo della produzione idroelettrica, le fragilità del nucleare francese tra guasti, manutenzioni e stop dovuti alle ondate di calore.
Secondo Bruegel, ora più che mai è necessario un patto energetico europeo basato su quattro pilastri generali:
- sforzi comuni di tutti i Paesi per ridurre la domanda
- offrire tutti i meccanismi di flessibilità disponibili sul lato delle forniture
- impegno politico a mantenere i flussi transfrontalieri di energia
- compensazioni finanziarie per i consumatori vulnerabili.
In particolare, gli analisti evidenziano che “sovvenzionare il consumo di energia invece della riduzione della domanda è stato un approccio comune e fuorviante“, tanto che i governi corrono il rischio che tali sovvenzioni “diventino insostenibili, erodendo la fiducia nei mercati energetici, rallentando le misure per sanzionare la Russia e aumentando il costo della transizione verso il traguardo net zero“.
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