Povertà energetica, cos’è e come mitigarla con interventi più strutturali

In Italia la povertà energetica è affrontata principalmente con il sostegno al reddito, attraverso bonus sociali o, al momento solo nella narrazione, con la realizzazione di Comunità Energetiche (solidali). Studi e progetti europei propongono altri strumenti.

ADV
image_pdfimage_print

Il misuratore della povertà energetica in Italia continua a rimanere il reddito ISEE, un indicatore di povertà tout court, con buona pace di una definizione più specifica, di cui si scrive e si parla ma che non trova attuazione concreta.

Scarso seguito hanno avuto le iniziative volte a introdurre il reddito energetico attraverso la concessione di contributi regionali per l’acquisto e l’installazione di impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili

Ci sono poi i progetti europei, i cui beneficiari sono spesso famiglie o persone in condizione di generale vulnerabilità, che in qualche misura puntano su informazione e formazione (vedi Sun4All, progetto Ue per un modello integrato di mitigazione della povertà energetica).

Con Lorenzo De Vidovich, sociologo del territorio, ricercatore presso il Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell’Università di Trieste, proviamo a definire il concetto di povertà energetica, a capire perché la distinguiamo dalla povertà in senso lato, se e quali altri strumenti oltre al supporto economico possiamo mettere in campo per prevenirla in modo strutturale.

De Vidovich è autore dell’articolo scientifico “Le dimensioni sociali della povertà energetica. Una rassegna sullo stato dell’arte e i possibili sviluppi, per la ricerca sociale”, pubblicato sulla rivista Rassegna Italiana di Sociologia (link in fondo all’articolo)

Lorenzo De Vidovich, intanto perché distinguiamo la povertà energetica dall’accezione più ampia di povertà?

La condizione di povertà energetica è rilevabile sulla base di criteri specifici, che hanno a che fare con elementi contestuali. Ad esempio, dove vive un nucleo familiare e se agisce in un’ottica di efficienza energetica con le pratiche che mette in atto. Ci sono poi delle cause contingenti, che riguardano l’improvviso ed elevato aumento del costo dell’energia, come quello sperimentato di recente, che possono far cadere in condizione di povertà energetica persone che non definiremmo vulnerabili in senso lato.

Definiamo normalmente la povertà energetica come l’impossibilità di accedere a un paniere di beni e servizi energetici nella propria abitazione senza che questo implichi la rinuncia al soddisfacimento di altri bisogni. Normalmente fissiamo al 10% del reddito la soglia massima per la spesa di energia dell’abitazione, al di sopra della quale parliamo di povertà energetica. Questi metodi di misurazione sono sufficientementi?

Si possono utilizzare metodi soggettivi di misurazione, che attengono alla percezione delle persone rispetto alla loro situazione di vulnerabilità energetica, e metodi oggettivi, come quelli che ha citato. Naturalmente bisogna poi adottare anche criteri di contesto: la misurazione oggettiva della povertà energetica nei paesi occidentali differisce da quella di certe aree di alcuni paesi dell’Africa e del Sud del mondo. La soglia del 10% è un indicatore utile, ma va letto insieme al livello di reddito, che posiziona una persona o una famiglia rispetto alla soglia di povertà. Anche parlare di misurazione oggettiva è insidioso perché le variabili e gli indicatori sono tanti anche a livello europeo, al punto che si sta consolidando un approccio multidimensionale alla povertà energetica.

In Italia il contrasto alla povertà energetica avviene per lo più attraverso strumenti di sostegno al reddito, a volte direttamente nella bolletta elettrica. Se agissimo sulle cause anziché sugli effetti?

Il sostegno ai consumi non risolve il problema della povertà energetica, ma è una soluzione tampone che, peraltro, va nella direzione di confermare le pratiche energetiche che già vengono adottate dagli utenti. Possiamo identificare quattro dimensioni che concorrono a determinare o aggravare una condizione di vulnerabilità. Abbiamo già citato il livello di efficienza energetica dell’abitazione, a cui possiamo aggiungere quello degli elettrodomestici. Ci sono poi forme di sostegno al reddito che puntano a fare investimenti che migliorino l’efficienza energetica.

Un recente bando europeo, come altri in passato, invita a lavorare sulle competenze…

La questione delle competenze è uno dei quattro fattori che determinano la povertà energetica identificati da Giovanni Carrosio. Si riferisce alle conoscenze degli individui su cosa possono fare per uscire dal contesto di povertà energetica, che si interseca con la dimensione economica; include anche la capacità di accedere ai bonus o, semplicemente, di saper scegliere un fornitore con un prezzo più favorevole. Abbiamo poi i fattori istituzionali-strutturali, cioè a come agiscono le politiche di contrasto alla povertà energetica, anche tenendo in considerazione gli aspetti comportamentali dei cittadini.

Per sradicare la povertà energetica l’Ue ha lanciato l’Energy Poverty Advisory Hub, un’iniziativa che crea spazi di collaborazione e condivisione per enti locali e regionali che chiedono supporto per affrontare il problema, documentando buone pratiche che puntano a limitare la povertà energetica a livello locale. Sulla base delle sue ricerche, anche sul campo, una amministrazione locale che volesse meglio allocare le risorse per il sostegno all’efficientamento energetico e al cambiamento comportamentale, come potrebbe procedere?

Anzitutto suggerirei un confronto costante con l’Agenzia territoriale per l’edilizia residenziale pubblica, per affrontare in maniera integrata situazioni di morosità, fragilità o povertà energetica, traducendo questo sforzo congiunto in un osservatorio locale che possa coinvolgere anche ricercatori ed esperti.

In secondo luogo, ritengo siano utili piani di transizione energetica locale, su scala regionale e locale. A mio parere, l’efficientamento energetico degli edifici è sempre dterminante per migliorare i consumi energetici domestici.

Infine, occorrono programmi che lavorino sulla dimensione comportamentale dei consumi energetici, sulle “pratiche energetiche”, poiché i consumatori finali non sono soggetti passivi, come erroneamente si crede. Chi deve guardare con attenzione al proprio portafoglio adotta già alcuni comportamenti per tentare di ridurre i consumi, che forse non sono sempre sostenibili, ma di sicuro sono utili come leva per migliorare il risparmio. Sono aspetti che abbiamo visto in alcune ricerche a Trieste. Qui serve un’attività di ricerca e ascolto, realizzabili con gli One-Stop Shop e punti di incontro sui temi energetici (un caso virtuoso portoghese e un caso spagnolo, finanziato tramite UIA – Urban Innovative Actions, ndr).

Tutta la narrazione, la ricerca e gli interventi partono dalla targettizzazione dei poveri energetici che, come abbiamo visto, vivono una condizione di povertà tout court. Lei però ha introdotto anche l’elemento di contingenza, l’improvviso e consistente aumento del costo dell’energia. Come si interviene su chi si trova per un periodo circoscritto in una situazione di povertà energetica, aspetti stanno riguardando anche i mutui, l’elevato prezzo del cibo, il difficile accesso all’abitazione.

Sicuramente non serve stabilire un ordine gerarchico delle diverse forme di povertà e vulnerabilità che emergono in momenti di crisi, di inflazioni e di shock dei mercati. Ci sono però gli obiettivi di neutralità climatica e di decarbonizzazione da raggiungere: il percorso di transizione energetica e di aumento della produzione e consumo di energia da rinnovabili ha un peso. Quindi combattere la povertà energetica significa anche adoperarsi per quella transizione energetica “giusta” ed equa di cui si parla spesso, una sfida che comporta un ridimensionamento dei consumi energetici domestici per tutti, anche per le classi medie colpite da una crescente vulnerabilità socio-economica.

Rispetto alle altre forme di povertà menzionate, come quella abitativa, alimentare, finanziaria, gli interventi più incisivi prevederebbero un intervento pubblico sui prezzi, sul potere d’acquisto delle famiglie, con una logica che ha alcune differenze rispetto ad un percorso di transizione che invece richiede il contributo di tutti, fornitori energetici, consumatori e decisori pubblici nei diversi livelli di governo.

Dobbiamo anche applicare la ricetta di Stefano Besseghini, presidente di Arera, che a proposito dell’aggiornamento in aumento delle tariffe sulle bollette elettriche, ha invitato le famiglie a prestare maggiore attenzione ai consumi, non guardare al passato ma a pensare a una nuova normalità, che significa consumare meglio ma meno, forse anche mangiare meno e, infine, abitare… ma dove?

Anche io ho intrapreso un cambio di postura rispetto ai miei consumi energetici quando gli effetti della crisi energetica si sono scaricati sulla mia bolletta. Tuttavia, il tema dell’abitare è cruciale, e se non ho una risposta alla domanda “abitare dove?” è perché a mio parere manca ancora un approccio critico, ma al contempo operativo, al “dove abitare”. Le popolazioni continuano a spostarsi in città, che però sono sempre meno sostenibili sotto diversi punti di vista. Intanto, le mitizzazioni post-pandemiche dei piccoli comuni non aiutano a restituire dignità a quei luoghi che invece avrebbero prerequisiti favorevoli per una vita più sostenibile dal punto di vista socio-ambientale.

Le dimensioni sociali della povertà energetica. Una rassegna sullo stato dell’arte e i possibili sviluppi, per la ricerca sociale Lorenzo de Vidovich, Rassegna Italiana di Sociologia,.

ADV
×