Più ricchezza ai ricchi e povertà ai poveri: così “funziona” il surriscaldamento globale

Una ricerca della Stanford University analizza le relazioni tra l’aumento delle temperature medie terrestri e l’evoluzione del Pil pro-capite. Ecco chi ha vinto e chi ha perso, almeno fino a questo momento.

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Il surriscaldamento globale ha già stabilito una lista di paesi vincitori e perdenti: Norvegia, Canada, Svezia tra i primi e Sudan, India, Nigeria tra i secondi.

Le prime sono nazioni ricche e sviluppate che finora hanno tratto un vantaggio dall’aumento delle temperature medie terrestri, mentre le seconde sono nazioni povere che hanno visto diminuire la loro forza economica anche a causa dei cambiamenti climatici.

Una recente ricerca della Stanford University, Global warming has increased global economic inquality (allegata in basso) ha combinato una serie di dati per stimare gli effetti del surriscaldamento planetario sulla crescita economica.

In particolare ha esaminato l’evoluzione delle temperature e del prodotto interno lordo in 165 paesi dal 1961 al 2010, oltre a una ventina di modelli climatici che evidenziano quanto ogni area geografica si sia già scaldata negli ultimi decenni per via della maggiore concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera.

Che gli stati più poveri siano anche quelli più esposti alle devastazioni ambientali non è una novità: ricordiamo, ad esempio, i recenti impatti catastrofici del ciclone Idai in Mozambico.

Parecchi studi scientifici affermano che il mutamento climatico antropogenico, cioè innescato e alimentato dalle emissioni di gas serra delle attività umane, ha aumentato l’intensità e la frequenza degli eventi meteorologici estremi come tifoni, inondazioni, siccità, ondate di calore.

Il documento di Stanford chiarisce che il surriscaldamento globale ha esacerbato le disuguaglianze sociali, riducendo del 17-30% il benessere economico individuale nelle nazioni più arretrate.

In altre parole, i ricercatori sostengono che è quasi certo (la probabilità è superiore al 90%) che oggi la maggior parte dei paesi più poveri abbia un Pil pro-capite inferiore a quello che avrebbe raggiunto senza le conseguenze disastrose dei cambiamenti climatici.

Tra l’altro, questi paesi, che spesso si trovano nelle fasce tropicali, sono anche quelli che finora hanno dato il contributo minore in termini di emissioni inquinanti, proprio perché le loro economie si sono sviluppate di meno o perché le loro risorse sono state sfruttate dalle industrie di altri continenti.

In definitiva, le nazioni più avanzate e ricche sono quelle che hanno inquinato, e inquinano, più di tutte le altre, e che in alcuni casi si sono perfino avvantaggiate grazie all’incremento delle temperature.

Rese agricole più elevate e maggiore produttività delle persone sul lavoro, si legge nella ricerca (qui una nota divulgativa), sono alcuni dei benefici di un clima un po’ più caldo rispetto al passato.

Ecco perché in cima alla lista dei vincitori troviamo i paesi nordici: il Pil pro-capite della Norvegia oggi è più “corposo” di un buon 34% proprio grazie ai cambiamenti climatici (Canada +32%, Svezia +25%).

Più difficile, invece, segnala Stanford, è stimare gli effetti del surriscaldamento globale sulle nazioni che si trovano nelle medie latitudini più temperate, come Cina, Giappone, Stati Uniti. Tuttavia, è assai probabile che il progressivo aumento delle temperature spingerà questi e molti altri paesi fuori della “comfort zone” climatica rischiando di danneggiare sensibilmente le rispettive economie.

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