La Cop 29 in corso a Baku, in Azerbaijan, ha tra i suoi principali obiettivi la definizione della nuova cifra per la “finanza climatica”.
È il cosiddetto “New Collective Quantified Goal” (NCQG), il target collettivo di supporto finanziario da destinare ai Paesi emergenti e in via di sviluppo dal 2025, per aiutarli a investire in misure di adattamento ai cambiamenti climatici.
Quanti soldi servono?
Siamo nell’ordine dei trilioni di dollari (migliaia di miliardi di $), secondo il terzo rapporto sulla finanza climatica stilato da un gruppo indipendente di esperti di alto livello guidato dagli economisti Amar Bhattacharya, Vera Songwe e Nicholas Stern e pubblicato ieri, 14 novembre, con il titolo “Raising ambition and accelerating delivery of climate finance” (link in basso).
Sarà un compito molto difficile, in una Conferenza Onu sul clima che ha visto il presidente azero Ilham Aliyev definire i combustibili fossili “un dono di Dio”, mentre gli Stati Uniti con Donald Trump vogliono nuovamente uscire dagli Accordi di Parigi e anche l’Argentina del presidente negazionista Javier Milei sta pensando di fare altrettanto, dopo che la sua delegazione ha già abbandonato i colloqui di Baku.
Per non parlare delle difficoltà ad attuare pienamente il precedente impegno finanziario green stabilito alla Cop 15 di Copenaghen del 2009: 100 miliardi di $ l’anno per sostenere le economie emergenti – bruscolini se paragonati ai numeri prospettati da Stern e colleghi – che i Paesi ricchi hanno raggiunto solo nel 2022.
L’Italia, come ha rimarcato la premier Giorgia Meloni, non si schioda dalla sua visione di “neutralità tecnologica” che diventa una scusa per continuare a promuovere progetti e investimenti nel gas e nel petrolio, in particolare attraverso il Piano Mattei per l’Africa.
Nell’ambito dello stesso Piano, da segnalare che Italia e Kenya hanno firmato ieri un accordo da 150 milioni di euro a valere sulle risorse del Fondo Italiano Clima, con cui finanziare iniziative di mitigazione climatica nel Paese africano; si parla di trasporti urbani sostenibili, misure di riforestazione, sviluppo di strumenti finanziari green, ad esempio creare un mercato dei crediti di CO2.
Tornando al rapporto, gli economisti hanno stimato che i finanziamenti esterni ai Paesi emergenti e in via di sviluppo (Cina esclusa) da tutte le fonti, pubbliche e private internazionali e di altro tipo (come le Banche multilaterali di sviluppo), devono arrivare a mille miliardi di dollari l’anno entro il 2030 e circa 1.300 miliardi entro il 2035.
Lo schema sotto riassume le cifre potenzialmente in ballo e i diversi canali di finanziamento; come si vede, il totale della finanza climatica ammonta a oltre 2.400 miliardi di $ l’anno tra risorse “domestiche” e risorse esterne come quelle citate prima (External financing).
Il prossimo grafico invece mostra come dovrebbe essere ripartita la spesa globale per l’azione climatica (come detto, oltre 2.400 miliardi di $ totali): transizione energetica (la fetta maggiore, che comprende ad esempio le energie rinnovabili), adattamento e resilienza, perdite e danni, capitale naturale, transizione equa.
Per “perdite e danni”, ricordiamo, si intendono le conseguenze negative imputabili agli eventi meteorologici estremi e ai disastri naturali, come le inondazioni che hanno devastato Valencia.
Intanto ieri il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione non legislativa – con 429 voti favorevoli, 183 contrari e 24 astenuti – che invita “tutti i paesi a concordare un nuovo obiettivo collettivo post-2025 sui finanziamenti per il clima che sia socialmente equo, in linea con il principio ‘chi inquina paga’ e basato su una varietà di fonti di finanziamento pubbliche, private e innovative”.
I deputati, riassume una nota del Parlamento Ue, “vogliono che tutte le principali economie emergenti con emissioni elevate e Pil elevato contribuiscano finanziariamente all’azione globale per il clima” e invitano l’Ue “a intensificare la sua diplomazia verde per contribuire a creare condizioni di parità a livello internazionale” ed “evitare la delocalizzazione delle emissioni di CO2”.
Altra richiesta è mandare un “segnale inequivocabile” sull’impegno di abbandonare i combustibili fossili, compresa l’eliminazione graduale di tutte le sovvenzioni dirette e indirette a gas, carbone e petrolio il prima possibile e la riallocazione di tali risorse a misure pro-clima.