Quale clima ed energia dopo le elezioni europee?

Le politiche energetiche e climatiche saranno temi divisivi nella prossima tornata elettorale Ue. Le strategie industriali sono in forte ritardo rispetto a Cina e Usa, ma la transizione è partita e sarà difficile arrestarla, a prescindere dalla prossima Commissione.

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Quali scenari per le politiche climatiche si delineeranno dopo le elezioni europee di giugno?

Per il 77% dei cittadini del Continente i rischi legati al riscaldamento globale sono elevati, eppure è molto probabile che i partiti scettici aumenteranno il loro peso.

Le crisi climatiche e migratorie, che peraltro sono spesso collegate, saranno in effetti, tra i temi più divisivi di queste elezioni.

Una contraddizione spiegabile con il contesto molto differente rispetto a quello delle elezioni europee del 2019, precedute da due enormi manifestazioni sul clima con la partecipazione di centinaia di migliaia di giovani in decine di paesi.

Oggi invece si assiste alla reazione di alcuni strati della popolazione ad alcuni provvedimenti ambientali della Commissione, dall’agricoltura, all’edilizia, alle auto elettriche.

Si dovrà tenere la barra dritta sulle politiche climatiche, ma occorrerà un maggiore lavoro di condivisione. E, forse, sarà necessaria un po’ di autocritica sul limitato coinvolgimento dei cittadini in scelte con importanti ricadute sociali ed economiche.

Ma non dimentichiamo lo scenario complessivo in cui ci troviamo.

Prendiamo la transizione, ineluttabile, verso la mobilità elettrica e le rinnovabili nel contesto internazionale.

La Cina ha capito da una ventina di anni che la transizione verde avrebbe trasformato le economie del pianeta, e ha anticipato i tempi; adesso si trova in una posizione di leadership in molti settori, dalle rinnovabili alle batterie, dalla mobilità ai materiali critici.

Gli Usa si stanno difendendo efficacemente, per ora, con l’Inflation Reduction Act che pone anche barriere fiscali alle importazioni, mentre l’Europa ha giocato in difesa con provvedimenti importanti, ma parziali (pensiamo alla Battery Alliance, al recente Net-Zero Industry Act, ecc.).

Nel senso che, con l’eccezione dei provvedimenti adottati per comprare i vaccini per il Covid, non è in grado di mettere in campo misure finanziariamente molto impegnative come hanno fatto gli Usa con i 360 miliardi $ dell’IRA approvati nell’agosto del 2022.

A marzo 2024 risultavano investiti negli Stati Uniti 86 miliardi $ in trecento nuovi progetti di fabbriche di sistemi di accumulo, fotovoltaico, eolico, mobilità elettrica con la creazione di 170mila posti di lavoro diretti.

Torniamo alle auto elettriche per sfatare la critica che l’aver fissato l’obbiettivo al 2035 per la vendita di sole auto elettriche rappresenti un pericolo per le nostre case automobilistiche. Anzi è stato uno stimolo a correre in questa direzione. Inoltre, si consideri che altre realtà hanno fatto proprio il target 2035, come California e altri Stati Usa, il Canada…

E poi c’è la Cina che ha fatto un enorme sforzo in questa direzione sfornando veicoli di ottima fattura a basso costo e punta ai mercati mondiali.

La tariffa sulle importazioni nella Ue è attualmente al 10% e sarà probabilmente innalzata, ma la risposta cinese sarà quella di costruire stabilimenti in Europa. Alleanze tra case europee e cinesi sono già in atto e si allargheranno.

L’espansione di Pechino preoccupa gli Usa. “Secondo gli Stati Uniti e altri paesi, la Cina ha una capacità industriale in eccesso che potrebbe portare a conseguenze globali”, ha dichiarato recentemente il segretario al Tesoro americano Yellen. In sostanza chiede ai cinesi di rallentare, altrimenti le aziende americane non riusciranno a tenere il passo.

Una posizione di grande debolezza. In maniera efficace David Fickling, commentatore di Bloomberg, ha scritto: “con la retorica della ‘sovracapacità’ attribuita alla Cina, Janet Yellen e, per estensione, l’America, stanno rifiutando quello che è stato uno dei principi fondamentali dell’economia per più di 200 anni: il vantaggio comparativo”.

Passando alle rinnovabili, la situazione è ancora più chiara.

Secondo la Iea la potenza globale di energia rinnovabile salirà a 7.300 GW tra il 2023 e il 2028, con il 95% della crescita coperto dal fotovoltaico e dall’eolico.

Le rinnovabili sorpasseranno il carbone diventando la principale fonte di generazione elettrica globale già nel 2025. E ancora una volta il dominio della Cina è netto. Si consideri che nel solo 2023 ha installato 216 GW fotovoltaici.

Ma anche l’Unione europea non si è comportata male. Lo scorso anno il 44% dell’elettricità è stato fornito dalle rinnovabili e in 13 paesi, fra cui la Germania, la percentuale verde ha superato la metà della generazione.

Questi flash sulla mobilità e sulle rinnovabili ci fanno capire che la transizione è partita e sarà difficile arrestarla, a prescindere dal profilo della prossima Commissione.

Una probabile posizione più cauta rischierebbe, anzi, di provocare dei seri autogoal con il resto del mondo lanciato nella transizione industriale e con un’Europa in difficoltà, timida e sulla difensiva.

Paradossalmente, una delle prime iniziative che dovrà gestire il prossimo esecutivo riguarderà la proposta di riduzione del 90% le emissioni di gas serra entro il 2040 rispetto al 1990, presentata dall’attuale Commissione lo scorso febbraio.

Un rilancio climatico necessario per rendere possibile l’obbiettivo della neutralità climatica a metà secolo.

L’articolo è tratto dall’editoriale del n.2/2024 della rivista bimestrale QualEnergia, di prossima uscita.

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