Perché l’Europa rischia di perdere competitività su innovazione e tecnologie pulite

Mentre le aziende italiane investono meno in azioni per il clima e l'efficienza energetica, rispetto alla media Ue. Dati e analisi della Banca europea per gli investimenti.

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L’Europa deve investire di più nell’innovazione digitale e nelle tecnologie verdi, altrimenti la sua competitività internazionale è a rischio, soprattutto nei confronti degli Stati Uniti.

In particolare, per centrare gli obiettivi del pacchetto Fit for 55 (ridurre di almeno il 55% le emissioni di gas serra al 2030), servono investimenti complessivi di circa mille miliardi di euro l’anno, 356 miliardi/anno in più rispetto al periodo 2010-2020.

Intanto in Italia le imprese che hanno già iniziato a investire per adattarsi ai cambiamenti climatici e per la riduzione delle emissioni sono il 36% del totale, un dato inferiore alla media europea (53%). In generale, come vedremo, le nostre aziende sono meno propense, rispetto alla media Ue, a intraprendere azioni per tagliare le emissioni di gas serra.

Dati e tendenze arrivano dalla Banca europea per gli investimenti (Bei), che venerdì scorso, 21 luglio, ha presentato a Roma al ministero dell’Economia i risultati del suo Rapporto sugli investimenti 2022-2023, con un focus sul nostro Paese.

L’indagine ha riguardato più di 13.500 imprese nei 27 Stati membri Ue con un campione anche di aziende Usa e del Regno Unito.

Emergono diverse considerazioni interessanti, proprio mentre la Ue attraversa una fase politica delicata, con ripetuti attacchi delle destre al Green Deal voluto dalla Commissione guidata da Ursula von der Leyen.

Bruxelles è anche impegnata a definire il suo piano per le industrie net-zero, con diverse misure finalizzate ad aumentare gli investimenti europei nelle tecnologie della transizione energetica, come eolico, solare, batterie, veicoli elettrici, materie prime critiche.

Tuttavia, osserva la Bei, “nel lungo termine la competitività dell’Europa rischia di essere compromessa dai livelli relativamente contenuti degli investimenti nell’innovazione, nonché in macchinari e attrezzature”.

Gli investimenti si sono ripresi nel 2021-2022 tornando ai livelli di prima della pandemia, “ma questo successo in realtà maschera una persistente debolezza in termini di investimenti produttivi”, con un divario tra Europa e Usa di 1,5-2 punti percentuali rispetto al Pil (escludendo gli investimenti nell’edilizia abitativa).

Anche gli investimenti Ue contro il cambiamento climatico sono in crescita, si spiega, “ma il loro livello rimane comunque di gran lunga inferiore a quello necessario per raggiungere l’obiettivo di azzerare le emissioni nette entro il 2050”.

Come detto, il livello della spesa deve salire a mille miliardi di euro l’anno, 356 miliardi in più rispetto al periodo 2010-2020.

Per rimanere competitivi, sarà fondamentale avere una leadership nelle tecnologie verdi, come appunto l’eolico, il fotovoltaico e le batterie, ma “il ruolo di primo piano dell’Ue in questo campo è a rischio” (si veda anche L’industria eolica europea attacca il Net-Zero Industry Act: “così rischiamo di consegnarci alla Cina”).

Le tecnologie verdi finora “si sono distinte come settore in cui l’Unione europea primeggia”, in particolare nella mobilità sostenibile, nell’eolico e nelle reti elettriche intelligenti.

L’Europa, secondo la Bei, “dovrà consolidare la propria posizione e impegnarsi maggiormente sul fronte delle innovazioni più rivoluzionarie, come ad esempio le tecnologie legate all’idrogeno”.

Occorre, infatti, rispondere all’Inflation Reduction Act americano (Ira), che fornirà 369 miliardi di $ per progetti nelle energie rinnovabili e “potrebbe costituire un incentivo per le imprese internazionali a trasferire le proprie attività green e innovative negli Stati Uniti”.

Come si sta comportando l’Italia

Guardando poi a come le imprese italiane affrontano i temi del cambiamento climatico e dell’efficienza energetica, la Bei evidenzia che solo un quarto (26%) ha sviluppato misure volte a rafforzare la resilienza ai rischi fisici dovuti al surriscaldamento globale, o ha già investito in questa direzione (media Ue: 33%).

Inoltre, le aziende italiane sono meno propense ad agire per ridurre le emissioni di gas serra (75% vs 88% della media europea); le singole azioni più diffuse in Italia sono quelle per ridurre/riciclare i rifiuti e migliorare l’efficienza energetica.

Poco più di un terzo (36%) delle imprese italiane, con una prevalenza delle grandi imprese rispetto alle Pmi, ha già realizzato investimenti per contrastare gli effetti degli eventi atmosferici estremi e per affrontare il processo di riduzione delle emissioni di CO2. Una proporzione simile (39%) intende investire nei prossimi tre anni.

Entrambi i dati sono inferiori alla media Ue, rispettivamente pari al 53% e al 51%.

Anche la quota di imprese italiane che hanno investito nel miglioramento dell’efficienza energetica nel 2021 (34%), è inferiore alla media dei 27 Stati membri (41%).

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