La proposta del governo Meloni di espandere la produzione nazionale di gas, con la possibilità di autorizzare nuove concessioni nel Mare Adriatico già a 9 miglia dalla costa, ha creato i primi malumori dentro la maggioranza che potrebbero sfociare in uno scontro politico più vasto.
Capofila delle critiche alla norma sulla gas release, entrata nel decreto Aiuti-quater dopo essere stata annunciata al termine del Consiglio dei ministri di venerdì scorso, 4 novembre, è il presidente leghista del Veneto Luca Zaia.
Il timore, per come è scritto il provvedimento, è che le nuove estrazioni offshore di idrocarburi possano arrivare anche in Alto Adriatico, nella zona del Polesine, dove è molto forte il rischio della subsidenza, un abbassamento di fondali e terreni costieri causato dai prelievi di gas.
Zaia, in riferimento alle trivelle in Adriatico, afferma su Twitter: “Dobbiamo tutelare il nostro territorio. Un gioiello, delicato, che va protetto per consegnarlo alle generazioni future: per questo sono contrario a tornare al passato, a trivellare in Adriatico per estrarre gas, a poca distanza dalle nostre coste” (neretti nostri nelle citazioni).
La crisi energetica in questo momento “ci porta a fare anche questi ragionamenti, ed è corretto sondare tutte le possibilità, ma è pur vero che le perforazioni nel nostro Polesine hanno dato vita ad una subsidenza, cioè un calo dei terreni, fino a 4 metri”, scrive poi Zaia, precisando che “le garanzie sono veramente minimali perché questo non accada ancora. Piuttosto siamo disponibili, sin da ora, a potenziare le attività del rigassificatore“.
Lo stesso ministro leghista per gli Affari regionali, Roberto Calderoli, ha poi dichiarato di condividere “pienamente” questa opposizione contro nuovi giacimenti di gas.
Resta da vedere se il fronte del “no” alle nuove concessioni offshore si allargherà ad altri esponenti della Lega e anche a Forza Italia, magari a livello locale.
Con la nuova norma sulle estrazioni inserita nella bozza del decreto Aiuti-quater (art. 4), il governo Meloni prevede di rilasciare nuove concessioni anche tra le 9 e le 12 miglia dalla costa, in deroga al decreto legislativo 152/2006 (art. 6, comma 17).
La deroga vale solo per le aree marine con un elevato potenziale minerario; in sostanza, ogni giacimento deve avere una capacità superiore a 500 milioni di metri cubi di gas.
Si punta così a sfruttare fino a 15 miliardi di metri cubi aggiuntivi in dieci anni.
In cambio, già da gennaio 2023 (quindi molto prima che eventuali nuove concessioni inizino effettivamente a produrre), i concessionari dovranno fornire gas a prezzo calmierato, tra 50-100 euro per MWh, da destinare alle imprese più energivore.
Il Gse stipulerà con i concessionari di coltivazione di idrocarburi, contratti di acquisto di diritti a lungo termine sul gas di produzione nazionale, derivante dal previsto incremento di offerta.
I contratti potranno avere una durata massima di dieci anni e saranno in forma di contratti finanziari per differenza rispetto al PSV (Punto di scambio virtuale) con prezzi che dovranno essere compresi nel citato range di 50-100 euro/MWh.
Inoltre, nelle more della conclusione delle procedure autorizzative per le nuove concessioni, i concessionari dovranno mettere a disposizione del Gse, per i primi due anni (2023-2024), almeno il 75% dei nuovi volumi produttivi attesi e poi almeno il 50% dei volumi per gli anni successivi.