Nucleare, perché non c’è futuro per i piccoli reattori modulari

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La storia della tecnologia SMR è costellata di fallimenti, a causa dei costi elevati e dei problemi costruttivi. Un riepilogo dei punti più critici.

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In questi mesi in Europa si è tornati a parlare di piccoli reattori modulari (anche noti con la sigla SMR, Small Modular Reactors), come ipotetica soluzione per affiancare le rinnovabili in un mix elettrico a zero emissioni.

A novembre la commissaria Ue per l’energia, Kadri Simson, aveva dichiarato di aspettarsi il primo SMR europeo “entro dieci anni al più tardi”.

Anche il governo Meloni ha fatto diverse aperture al nucleare di prossima generazione, pensando soprattutto ai reattori modulari di piccole dimensioni come strada maestra su cui investire.

Proprio in questi giorni un emendamento al decreto Energia, in fase di conversione alla Camera, punta a creare un’Autorità nazionale per il nucleare che avrebbe anche il compito di autorizzare, certificare e realizzare nuovi impianti.

Ma tutto questo “hype” è destinato a scontrarsi con la realtà.

Non ha dubbi Jim Green, attivista nucleare di Friends of the Earth Australia, in un articolo intitolato “Small modular reactors: a history of failure”, pubblicato su Climate & Capital Media.

Green è membro del Nuclear Consulting Group, ex redattore della newsletter Nuclear Monitor del World Information Service on Energy, oltre che autore di un dettagliato documento informativo sulla tecnologia SMR pubblicato a giugno 2023 (link in basso).

La tecnologia SMR prevede la costruzione di piccoli reattori di potenza non superiore a 300 MW, detti appunto modulari perché assemblati con diversi componenti (moduli) direttamente in fabbrica, anziché in situ con cantieri di grandi dimensioni.

Tuttavia, scrive Green, “nessun SMR è mai stato costruito, nessuno è in costruzione e con ogni probabilità nessuno sarà mai costruito a causa dei costi proibitivi”.

L’entusiasmo verso la possibilità di realizzare piccoli reattori modulari, osserva l’esperto, “è in gran parte il risultato dello straordinario fallimento dei progetti di costruzione di reattori convenzionali”.

Si citano, in particolare, gli infiniti e costosissimi cantieri per i reattori EPR 2 di Hinkley Point C in Gran Bretagna e Flamanville in Francia, i cui budget sono lievitati rispettivamente a circa 32 miliardi di sterline e 19 miliardi di euro, cioè 6-8 volte più dei costi complessivi stimati inizialmente.

Ora si pensa che gli SMR potranno risollevare le sorti del comparto nucleare, grazie alla presunta maggiore flessibilità costruttiva e ai minori costi.

Invece, afferma Green, quasi tutti i piccoli reattori costruiti negli ultimi decenni sono stati chiusi (e, si badi bene, nessuno è un vero e proprio SMR sviluppato con produzione in serie di componenti, presupposto fondamentale di questa definizione).

A novembre, proprio quando la commissaria Simson annunciava il primo SMR europeo “entro dieci anni”, era arrivato un brutto colpo per i sostenitori del “nuovo” nucleare.

NuScale, la prima società ad aver ottenuto l’approvazione del Dipartimento dell’Energia americano per un progetto SMR, aveva cancellato i piani per costruire la prima centrale commerciale per una utility elettrica dello Utah.

La cancellazione era dovuta all’aumento dei costi, a loro volta spinti dai balzi dell’inflazione e dei tassi d’interesse, per non parlare dei prezzi stimati per la futura energia elettrica generata dall’impianto, saliti a 89 $/MWh, +53% rispetto ai 58 $/MWh valutati inizialmente.

Altra vicenda fallimentare citata da Green è quella di Generation mPower, una joint venture di Babcock & Wilcox e Bechtelche, che nel 2017 ha abbandonato il suo progetto per un SMR da 195 MW a dispetto dei finanziamenti per 111 milioni di dollari dal Doe americano.

“Decine di progetti SMR vengono promossi in tutto il mondo, per lo più da start-up con nient’altro che una presentazione Powerpoint”, conclude l’autore.

Pochissimi progetti “raggiungeranno la fase di costruzione e la probabilità che gli SMR siano costruiti in gran numero è trascurabile”, precisa Green.

“Le sfide tecniche e i costi estremi degli SMR sono noti e ampiamente riportati da anni, sollevando la questione del perché l’hype continui a crescere e, soprattutto, perché i governi continuino a sovvenzionare questa tecnologia fallita quando gli investitori, giustamente, si rifiutano di farlo”.

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