L’Unione europea punta al primo reattore nucleare SMR “entro dieci anni”

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Le dichiarazioni della commissaria Ue all'Energia, Kadri Simson, al Forum nucleare di Bratislava. Le associazioni ambientaliste respingono con forza questa strada: costa troppo, non risolve i problemi del nucleare convenzionale e ci allontana dai traguardi climatici.

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Il primo reattore nucleare modulare di piccole dimensioni – Small Modular Reactor (SMR) – operativo in Europa “entro dieci anni al più tardi”.

È l’obiettivo rilanciato dalla commissaria Ue per l’Energia, l’estone Kadri Simson, intervenuta al sedicesimo Forum europeo dell’energia nucleare che si è chiuso ieri, martedì 7 novembre, a Bratislava in Slovacchia.

Simson punta anche a realizzare un’alleanza industriale europea per la tecnologia SMR “all’inizio del prossimo anno”.

Affermazioni che hanno destato forti critiche del mondo ecologista: investire oggi nel nucleare, si legge in una nota congiunta dell’European Environmental Bureau e di varie associazioni ambientaliste, allontanerà l’Europa dai suoi traguardi climatici, a causa soprattutto dei costi elevatissimi e dei ritardi nel completare i progetti.

Occorre invece aumentare gli investimenti in fonti rinnovabili, sistemi di accumulo energetico e potenziamenti delle reti elettriche.

La tecnologia SMR, sulla carta, vorrebbe superare gli ostacoli del nucleare convenzionale, consentendo una fabbricazione più economica, sicura e veloce dei reattori direttamente in fabbrica.

“È chiaro – ha precisato Simson – che per raggiungere obiettivi ambiziosi di riduzione delle emissioni nel prossimo decennio, saranno necessarie tutte le fonti energetiche rinnovabili e a basse emissioni di carbonio”.

Difatti, ha aggiunto, “stiamo assistendo nell’Ue a un rinnovato interesse per l’energia nucleare e per il suo potenziale nell’affrontare tutte le principali sfide a portata di mano: decarbonizzazione, sicurezza dell’approvvigionamento energetico e autonomia strategica dell’Ue”.

“La nostra massima priorità è un’implementazione sicura degli SMR”, ha proseguito Simson, proponendo anche di rafforzare la collaborazione della Commissione Ue con i regolatori della sicurezza nucleare sulla concessione delle licenze, oltre che per assicurare la gestione sicura del combustibile esaurito e dei rifiuti radioattivi dei reattori”.

Anche il governo italiano è intenzionato a rilanciare la filiera nucleare.

Lo scorso settembre, al Forum Ambrosetti di Cernobbio, il vicepremier e ministro delle Infrastrutture, Matteo Salvini, aveva dichiarato che l’attuale esecutivo (ipotizzando quindi che il centro destra continui a governare) potrà inaugurare “la prima produzione di energia da nucleare nell’arco di dieci anni”.

Gli SMR, ricordiamo, sono però ancora lontani da possibili applicazioni commerciali e hanno diversi problemi, analoghi a quelli dei reattori tradizionali più grandi, legati soprattutto ai costi, agli approvvigionamenti di combustibile ad alto arricchimento di uranio e alle diseconomie di scala (Rinascita nucleare, alimentata da ideologia e soldi facili (per alcuni).

G.B. Zorzoli, fisico nucleare di formazione e presidente onorario del Coordinamento FREE, su questo punto sugli SMR ha spiegato a QualEnergia.it che l’eventuale “riduzione dei costi, perché fai tutto in fabbrica, non riesce mai a compensare le diseconomie di scala legate al fatto di dover realizzare tanti sistemi di piccola dimensione”.

Gli SMR sono una tecnologia del tutto convenzionale, ma su scala ridotta rispetto ai reattori di grande taglia. Giuseppe Onufrio, direttore di Greenpeace Italia, ha spiegato che si tratta anche di una tecnologia controintuitiva: “i primi reattori della storia sono stati costruiti per la propulsione navale militare e poi tutta la storia della tecnologia è stata nel senso di ampliare la taglia della potenza per ridurre i costi con l’economia di scala. Che oggi si possa pretendere di fare il percorso inverso è piuttosto bislacco”.

Insomma, per le associazioni ambientaliste la scommessa nucleare è destinata a essere perdente. E le ragioni sono diverse.

Secondo Luke Haywood dell’EEB, “ogni euro investito nel nucleare potrebbe contribuire a sostituire i combustibili fossili in modo più rapido ed economico, se indirizzato verso le energie rinnovabili, le reti e lo stoccaggio dell’energia”.

Haywood è tra gli autori di uno studio pubblicato lo scorso luglio su Joule, intitolato “Why investing in new nuclear plants is bad for the climate”, dove si spiega che investire in nuovi impianti nucleari è una pessima scelta a causa dei costi elevati e dei lunghi tempi di realizzazione, incompatibili con il raggiungimento dei target climatici europei al 2030.

La stessa costruzione dei nuovi reattori EPR di progettazione francese ha incontrato enormi inconvenienti.

Il reattore di Olkiluoto, in Finlandia, avrebbe dovuto costare 3 miliardi di euro ed essere operativo nel 2009, ma ha iniziato a produrre elettricità solo nel 2023, con un costo lievitato a 11 miliardi di euro.

In Francia, l’EPR di Flamanville avrebbe dovuto entrare in funzione nel 2012 con un budget di 3,5 miliardi di euro: il cantiere non è ancora chiuso e l’investimento è balzato a 12,4 miliardi di euro.

Tra gli altri problemi segnalati dall’EEB, il fatto che l’industria nucleare cerca di trasferire gli extra costi dei progetti sui contribuenti e sulle famiglie, attraverso sussidi statali e dell’Ue.

Senza dimenticare gli interessi geostrategici: ad esempio, l’energia nucleare di diversi stati europei fa affidamento sull’azienda nucleare russa di proprietà statale Rosatom, che importa uranio da paesi instabili al di fuori dell’Ue.

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