A prima vista non sembra tutto questa grande rivoluzione: i ricercatori del Politecnico di Zurigo hanno annunciato una nuova batteria allo zinco (vedi link in basso).
Zinco e batterie, infatti, sono compagni di strada fin dall’inizio della loro storia: la pila di Volta, il capostipite degli accumulatori, era fatta di una pila (da cui il nome) di dischetti di rame e zinco alternati a spugne imbevute di acido solforico.
E tutti hanno già usato nella loro vita batterie allo zinco, visto che questo è presente nelle pile più comuni ed economiche, dove quel metallo reagisce con l’ossido di manganese per produrre elettricità.
Ma quelle sono batterie primarie, cioè “usa e getta” mentre, per uno strano scherzo della chimica, realizzare batterie a zinco secondarie, cioè ricaricabili, si è dimostrato molto più difficile del previsto, tanto che finora, nonostante tanti annunci, non si sono ancora visti sul mercato accumulatori che usino questo metallo e che si avvicinino alle sue potenzialità teoriche.
Infatti, una batteria dove lo zinco metallico reagisse con l’ossigeno dell’aria, potrebbe realisticamente avere una capacità per unità di peso circa doppia rispetto a quella delle migliori batterie al litio (lo ione zinco porta due cariche elettriche alla volta, contro l’unica del litio), mentre se consideriamo la pura capacità teorica, potrebbero raggiungere i 9,8 kWh/kg, circa 20 volte in più dei performanti accumulatori in commercio E il tutto utilizzando materiali molto più comuni ed economici di quelli presenti nelle batterie al litio.
Inoltre, una batteria allo zinco sarebbe anche più sicura perché l’elettrolita, la sostanza posta fra catodo e anodo in cui possono circolare gli ioni, ma non gli elettroni, può essere a base d’acqua, senza cioè quei solventi organici estremamente infiammabili, che rendono gli incendi di batterie al litio così pericolosi.
Infine, un accumulatore allo zinco lavora sia in carica che in scarica in un intervallo di temperature molto ampio, mentre quelli al litio è meglio tenerli intorno ai 20 °C; quindi non ha quasi mai bisogno di essere raffreddato, per evitare incendi, o riscaldato, per favorire la ricarica. Sono batterie così “placide”, che la loro vita, si stima, arriverà ad almeno 30 anni, con una minima perdita di potenza e capacità.
Visti i vantaggi potenziali dello zinco e il fatto che è già in uso nelle pile primarie in molti si sono gettati nell’impresa di realizzare accumulatori con quel metallo.
Per esempio l’australiana Gelion, ha aperto da pochi mesi una fabbrica di batterie zinco-bromo in Australia per lo storage statico, mentre la startup canadese Zinc8, ha creato una versione delle zinco-aria molto originale, in cui lo zinco è aggiunto dall’esterno sotto forma di piccoli granuli, reagisce con l’aria nella cella per rilasciare elettricità, e poi è riottenuto elettroliticamente dalla soluzione di ioni di zinco.
Una sorta di mix fra batteria a stato solido e reattore chimico che non sembra proprio praticissimo, ma con sufficienti vantaggi da spingere la New York Port Authority a provare nel 2021 un accumulatore Zinc8 da 100 kW/1 MWh (quindi con 10 ore di carica).
Siamo vicini all’impresa? Meglio essere calmi. Una cosa sono gli annunci delle aziende, volti a dimostrare che tutto funziona perfettamente per attirare investimenti, e altra cosa la dura realtà.
Per esempio, scavando nella rete si trova nel 2014 un entusiastico annuncio da parte della Eos Energy, che annunciava la sperimentazione delle sue rivoluzionarie batterie zinco-aria.
A 9 anni di distanza, la Eos vende sì una batteria allo zinco per lo storage di rete ma non più ad aria, sostituita nell’anodo da un “alide”, probabilmente bromo. E questo si riflette nel calo di densità energetica: nello spazio di un container entrano batterie Eos allo zinco per 125 kWh, contro il MWh circa di un equivalente sistema al litio.
Ma cos’è che rende tanto complicato usare questo elemento, per fare batterie che siano una vera sfida per quelle al litio?
Essenzialmente sono due problemi: prima di tutto l’elettrolita acquoso delle batterie allo zinco, quando attraversato da cariche elettriche tende ad elettrolizzarsi, producendo idrogeno gassoso. Il gas si accumula nella batteria riducendone l’efficienza e aumentandone la pressione interna, con il rischio di esplosioni.
La seconda ragione è meno drammatica: quando la batteria viene caricata, lo zinco metallico che si riforma non si distribuisce omogeneamente nell’anodo, ma forma degli aghi che se lasciati crescere arrivano a toccare il catodo, mettendo la batteria in cortocircuito, dopo di che può anche essere buttata via.
Finora, evidentemente, questi due fattori hanno impedito di sfruttare a fondo i vantaggi dello zinco, ripiegando su soluzioni di compromesso che però diminuiscono le performance dell’accumulatore.
E qui entrano in gioco gli scienziati del Politecnico di Zurigo diretti dalla professoressa di sistemi elettrochimici per l’energia Maria Lukatskaya.
“Grazie anche a simulazioni del comportamento delle sostanze chimiche al computer, abbiamo potuto ricostruire cosa accada nell’elettrolita e nel catodo di una batteria zinco-aria, durante il funzionamento”, spiega Lukatskaya.
“Abbiamo così scoperto che la strategia usata finora per contrastare la formazione di idrogeno e di aghi metallici, cioè arricchire l’elettrolita di alte concentrazioni di cloruri e fluoruri di zinco e altri elementi, così da rendere il liquido denso e con meno acqua dentro, è controproducente, e va a peggiorare di molto le performance dell’accumulatore. Molto meglio trovare altri tipi di sali”.
Applicando quanto il computer gli aveva suggerito, i ricercatori svizzeri hanno così realizzato una batteria zinco-aria che contiene nell’elettrolita una bassa concentrazione di acetati di zinco e litio, che al tempo stesso ostacolano l’elettrolisi dell’acqua, impediscono la formazione di aghi di zinco e permettono il rapido movimento degli ioni all’interno della batteria. Insomma, una situazione ideale.
“Per ora l’abbiamo provata su piccola scala e per breve tempo, ma sembra che questa soluzione porti la batteria zinco-aria più vicina ai suoi limiti teorici, eliminando i suoi problemi classici e rendendola anche molto più veloce nella carica e nella scarica”, conclude Lukatskaya.
Vedremo se l’esperimento reggerà alla prova suprema del passare da una piccola cella a una vera batteria pronta per l’industria.
Quello che è certo è che il mondo della ricerca si è ormai gettato a capofitto nella progettazione della “batteria perfetta”, e non passa giorno che non arrivino notizie di passi avanti in questo settore tecnologico e sulle chimiche adottate, il che fa ben sperare per la transizione energetica (ad esempio vedi In arrivo una super batteria al litio da 500 Wh/kg).
Tutto ciò è certo motivato dalla necessità di salvarci dal cambiamento climatico e dagli sconvolgimenti geopolitici alimentati dai combustibili fossili, ma c’entra anche il più prosaico fatto che entro il 2026 il mercato delle batterie al litio potrà raggiungere i 100 miliardi di dollari l’anno.
E chi si dovesse presentare con un vero “game changer”, se ne assicurerebbe la fetta più grossa.