Nonostante il Green Deal per l’Europa il gas è ancora una priorità

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La Commissione per l’energia dell’Europarlamento ha respinto la mozione che chiedeva di respingere la quarta lista di progetti comuni che include molte iniziative nelle infrastrutture per le fonti fossili. Intanto uno studio afferma che il nuovo gas è inutile.

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Il ruolo futuro del gas in Europa continua a tenere banco nelle votazioni europee, lasciando più di un dubbio sulla reale possibilità di ridurre in tempi brevi la dipendenza di molti paesi dai combustibili fossili.

La Commissione per l’industria, la ricerca e l’energia (ITRE) dell’Europarlamento, infatti, con 54 voti favorevoli, 17 contrari e due astensioni, si legge sul servizio stampa della stessa commissione, ha dato via libera alla quarta lista dei progetti d’interesse comune (PCI: Projects of Common Interest).

E in questa lista ci sono anche i progetti prioritari in nuove infrastrutture per l’energia, da realizzare con procedure accelerate e la possibilità di ottenere finanziamenti Ue dal fondo Connecting Europe Facility (CEF).

Il via libera è arrivato perché la Commissione ITRE ha votato contro a larga maggioranza la mozione presentata da 19 europarlamentari che chiedevano di respingere l’intero “pacchetto” di progetti d’interesse comune; secondo loro, la lista è incompatibile con l’obiettivo di ridurre le emissioni inquinanti e con la nuova strategia Ue per il 2050 esposta nel Green Deal.

Nell’elenco, adottato dalla Commissione Ue lo scorso anno (ottobre 2029), figurano decine di progetti per investimenti nelle fonti fossili, tra cui parecchi nuovi gasdotti, alcuni dei quali interessano anche l’Italia, come le varie tratte del corridoio Sud del gas tra cui figura la linea TAP (Trans Adriatic Pipeline).

Il punto, osservano gli ambientalisti in una nota di Friends of the Earth Europe, è che le regole che governano l’adozione dei progetti energetici prioritari sono ormai datate: in particolare, non prevedono alcuna valutazione sull’impatto ambientale delle infrastrutture.

Il rischio, insomma, è che si continuino a finanziare infrastrutture inconciliabili con le più recenti politiche europee, volte a incrementare le energie rinnovabili e diminuire le emissioni di CO2 associate alla produzione e all’uso di risorse fossili.

Tra l’altro, una recente analisi svolta dalla società di consulenza indipendente Artelys sui 32 progetti per il gas inclusi nella quarta lista dei PCI, ha concluso che le infrastrutture esistenti bastano a garantire la sicurezza delle forniture energetiche per l’Europa, alla luce degli obiettivi energia-clima al 2030 in cui si prevede una riduzione del 29% per la domanda complessiva di gas.

In altre parole, si legge nel rapporto, la maggior parte dei nuovi progetti è inutile sotto il profilo della sicurezza degli approvvigionamenti, e rappresenta un potenziale sovra-investimento per decine di miliardi di euro supportati da fondi pubblici Ue.

Così queste infrastrutture-gas rischiano di diventare stranded asset, precisa la sintesi del rapporto, cioè impianti inutilizzati e non remunerativi perché messi fuori mercato dalla concorrenza delle tecnologie rinnovabili, dalle misure di efficienza energetica e dalle politiche per il clima.

Vedremo come si evolverà la questione: a febbraio ci sarà una sessione plenaria dell’Europarlamento, dove probabilmente sarà presentata una mozione analoga a quella respinta dall’ITRE, ma è poco probabile che si arrivi a un voto molto diverso.

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