Le emissioni di CO2 in Italia nel corso del 2022 sono calate di un solo punto percentuale se confrontate con il 2019, ossia escludendo la parentesi pandemica, portando le riduzioni totali ad appena il 30% dal 2005.
Di questo passo, è evidente che la strada per raggiungere l’obiettivo del 55% di emissioni in meno entro il 2030 è sempre più impervia e richiede di procedere con una diminuzione di quasi il 4% l’anno, cioè ben 8 volte ciò che è stato fatto nell’ultimo trentennio.
Il gap da colmare per l’Italia da qui a otto anni resta quindi enorme, pari a 125 milioni di tonnellate di CO2 equivalente – ben 15 milioni di tonnellate in più rispetto alle stime dello scorso anno – sul target prefissato, e i settori che dovrebbero contribuire maggiormente sono proprio quelli più in difficoltà: i trasporti e l’edilizia residenziale, commerciale e dei servizi pubblici sono infatti i comparti più lontani in termini assoluti dai target al 2030, data entro cui dovrebbero calare rispettivamente del 33% e del 23%, al ritmo del 4% e del 3% l’anno, mentre quelli più vicini al raggiungimento degli obiettivi sono l’industria e la gestione dei rifiuti, dove il nostro Paese eccelle.
Sono alcuni dati contenuti nello Zero Carbon Policy Agenda 2023, realizzato dall’Energy&Strategy della School of Management del Politecnico di Milano e presentato e discusso questa mattina a Milano insieme alle aziende partner della ricerca.
Serve un cambio di marcia
Complici il perdurare delle tensioni geo-politiche, la situazione economica non incoraggiante e un certo scetticismo circa l’efficacia delle azioni messe in campo per accelerare il passo della decarbonizzazione (a partire dalle misure per l’efficientamento energetico nell’edilizia, ora accusate di avere distratto fondi da problemi economici e sociali ritenuti più pressanti), anche l’Italia ha decisamente frenato su queste politiche, con la revisione al ribasso del Pnrr e i ritardi nell’implementazione di quanto previsto, per ora ancora contenuti ma destinati ad aumentare.
Anche sui brevetti tecnologici legati alla decarbonizzazione, il nostro Paese è fanalino di cosa dopo Germania, Francia e Spagna.
“Invece, per colmare il gap e ripartire con il piede giusto è necessario un deciso cambio di marcia normativo, che acceleri lo sviluppo simultaneo di tutti i pillar della decarbonizzazione in un’ottica sinergica”, commenta Davide Chiaroni, vicedirettore di Energy&Strategy e responsabile dell’Osservatorio.
“Va proprio in questa direzione – prosegue – la principale proposta che emerge nel Rapporto, frutto del confronto con gli operatori del settore e i partner della ricerca: lo sviluppo di una roadmap integrata per la decarbonizzazione, con orizzonte di lungo periodo, obiettivi intermedi chiari, regole certe per la misurazione di tutte le emissioni, attuazione delle riforme rimaste al palo, semplificazioni burocratiche e strumenti a supporto adeguati”.
“Oggi – continua Chiaroni – ci sono più difficoltà a trovare spazio per la transizione ecologica nell’agenda politica, ma questo rischia di disperdere il patrimonio di asset, competenze e imprese che nel nostro Paese si è via via costituito e rafforzato dal 2011, e a cui ci siamo rivolti per elaborare una Zero Carbon Policy”.
Mercato delle tecnologie low carbon in crescita del 12,6%
Gli investimenti e la diffusione delle tecnologie che abilitano gli otto pilastri (pillar) della decarbonizzazione – cioè, secondo il Report, le otto aree di intervento principali: energie rinnovabili, infrastrutture di rete, efficienza energetica, mobilità sostenibile, comunità energetiche, circular economy e, da quest’anno, cattura della CO2 e carbon in/offsetting – hanno tutti registrato una crescita rispetto al 2021, tranne le immatricolazioni di veicoli elettrici, calate dell’8,9%.
Complessivamente, infatti, il mercato legato alla decarbonizzazione nel 2022 è aumentato del 12,6% rispetto all’anno precedente, passando da 30,5 miliardi di euro a 34,4 miliardi. In particolare, hanno performato bene le installazioni da rinnovabili, cresciute di 3 GW e, secondo i primi dati di Terna, in ulteriore aumento di circa 2,5 GW di capacità installata nel primo semestre 2023.
Tuttavia, negli anni che ci separano dal 2030 si renderanno necessari sforzi ancora più consistenti, se si vuole mantenere l’incremento della temperatura media globale entro gli 1,5°C rispetto ai livelli preindustriali.
Le novità normative e lo stato di avanzamento del Pnrr
Nonostante la presenza di missioni dedicate alla transizione ecologica e alla mobilità sostenibile, le riforme e gli investimenti del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza vengono valutati dagli operatori del settore come di medio impatto sulla decarbonizzazione e, soprattutto, di importo decisamente non sufficiente allo sviluppo dei pillar necessari.
Inoltre, l’erogazione di questi fondi è in ritardo, seppure di poco (-15% rispetto a quanto previsto dal Piano per settembre 2023), per la metà dei pillar, che hanno quindi subito un rallentamento nell’implementazione.
L’area di intervento che conta più misure e maggiori investimenti all’interno del Pnrr è la mobilità sostenibile, che tuttavia si posiziona al quarto posto per il potenziale di riduzione delle emissioni percepito dagli operatori di mercato. Seguono, in termini di fondi stanziati, l’efficienza energetica e le rinnovabili, mentre non sono presenti misure dedicate alla cattura della CO2 e al carbon offsetting/insetting.
Brilla di luce propria invece la circular economy, che nonostante i ritardi mostra il più alto grado di avanzamento medio tra riforme e investimenti.
Più brevetti, ma non abbastanza
Partendo dal database ENV-TECH dell’OCSE, pubblicato nel 2015 per misurare l’innovazione nelle tecnologie legate all’ambiente (Brevetti Ambientali), il Rapporto si è focalizzato sulle invenzioni a più alto potenziale per la decarbonizzazione.
Osservando l’andamento nei quattro principali Paesi europei per brevetti depositati – che sono Germania (310.000), Francia (75.000), Italia (38.000) e Spagna (34.000) – si nota un leggero aumento di registrazioni brevettuali legate alla decarbonizzazione, che tuttavia rappresentano solamente il 10-20% del totale nel quinquennio 2015-19 (l’ultimo con dati a disposizione), in particolare nel campo dell’efficientamento energetico e della generazione di energia pulita.
L’Italia soffre il confronto internazionale, perché anche se totalizza in generale un maggior numero di brevetti rispetto alla Spagna, in campo ambientale ne registra il 35% in meno: il nostro Paese infatti dimostra un minor interesse verso nuove soluzioni per la decarbonizzazione tramite l’infrastruttura energetica e l’impiego dell’idrogeno, mentre detiene il primato nelle tecnologie per la gestione dei rifiuti (purtroppo, la parte “meno nobile” della circular economy) e l’abbattimento di inquinamento atmosferico.
Rispetto all’idrogeno, tra il 2015 e il 2019 sono stati totalizzati tra i quattro Paesi oltre 6.000 brevetti, per l’85% di derivazione tedesca e per il 75% focalizzati nei trasporti.