Miti, realtà e speranze sull’idrogeno bianco

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L’analisi di un geo-scienziato olandese con oltre 30 anni di esperienza nel settore petrolifero e del gas sul potenziale energetico pulito di questo elemento e il punto di vista di due ricercatrici italiane.

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L’idrogeno rinvenuto nel sottosuolo e generato da processi geochimici naturali della Terra, meglio noto come idrogeno geologico, naturale o bianco, affiora sempre più spesso nei media.

Anche noi ce ne siamo occupati recentemente con alcuni articoli (Idrogeno bianco, “nel sottosuolo più di quanto ce ne serve” e Idrogeno naturale, promesse e limiti della scoperta di un grande giacimento in Francia)

Ritrovamenti di alto profilo, come in Francia o in Albania, hanno suscitato molto interesse su questa possibile risorsa. Almeno sulla carta, sarebbe più semplice poter sfruttare l’idrogeno allo stato naturale, invece di doverlo scindere dalle molecole di metano, carbone o dell’acqua con costosi processi.

Ricordiamo infatti che questa rappresenterebbe l’unica fonte sulla terra di idrogeno allo stato “puro”, cioè molecolare, non legato dunque ad altri atomi, di ossigeno per formare acqua o di carbonio per formare idrocarburi.

L’idrogeno geologico rimane però un tema poco sviluppato e compreso, ha scritto Arnout Everts, un geo-scienziato e consulente energetico olandese con oltre 30 anni di esperienza nel settore petrolifero e del gas, in un post pubblicato dalla Hydrogen Science Coalition (Hsc).

Hsc è un’organizzazione senza scopi di lucro composta da accademici, scienziati e ingegneri indipendenti che operano su base volontaria sforzandosi di fornire al dibattito sull’idrogeno punti di vista basati sulle evidenze.

Secondo Everts, in estrema sintesi, l’idrogeno bianco difficilmente sarà sfruttabile su larga scala e pertanto non riuscirà a diventare un fattore abilitante rilevante per la transizione energetica. Tale giudizio, ancorché basato su evidenze scientifiche, non è però condiviso universalmente.

Secondo alcuni, come Chiara Boschi, prima ricercatrice dell’Istituto di Geoscienza e Georisorse del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr) e responsabile del Progetto NHEAT (Natural Hydrogen for Energy trAnsiTion), Everts fotografa accuratamente la situazione di un comparto nascente, ma finisce per dare troppo peso alle difficoltà del presente a discapito dei possibili progressi nella comprensione del fenomeno che i ricercatori si stanno sforzando di raggiungere. E che in futuro potrebbero rendere più rosee le prospettive dell’idrogeno naturale.

Cerchiamo di spiegare qui le maggiori criticità legate all’idrogeno bianco evidenziate dalla Hydrogen Science Coalition. Sintetizzeremo poi il punto di vista della responsabile del Progetto NHEAT, che studierà per i prossimi due anni le potenzialità di formazione dell’idrogeno naturale in Italia, e quello di Giulia Monteleone, direttrice del Dipartimento tecnologie energetiche di Enea, cui afferisce il laboratorio accumulo di energia, batterie e tecnologie per la produzione e l’uso dell’Idrogeno dell’ente.

Meno energia di una turbina eolica

Nonostante le recenti scoperte, l’unico esempio documentato al mondo di un pozzo di idrogeno naturale è quello della società canadese Hydroma, nel villaggio di Bourakébougou, in Mali, ha sottolineato Everts.

L’impianto pilota, raffigurato nell’immagine di copertina, produce idrogeno quasi puro da un giacimento poco profondo, con un flusso molto basso di circa 5-50 tonnellate all’anno, pari a 0,3-3 barili di petrolio al giorno, con una potenza inferiore a un decimo di una turbina eolica di medie dimensioni.

Nessun altro ritrovamento di idrogeno geologico è stato finora accompagnato da test di flusso sul tasso di estrazione dal sottosuolo, necessario per dimostrare che l’idrogeno sia sfruttabile commercialmente.

Solo il ritrovamento in Mali può essere considerato con certezza una “scoperta“. Tutti gli altri sono ancora mere deduzioni o ipotesi, secondo Everts.

Scarso potenziale di decarbonizzazione

Con circa 200 tonnellate di idrogeno all’anno, il flusso stimato del giacimento rinvenuto in Albania, considerato il più elevato mai riscontrato, è appena lo 0,2% di quello richiesto da una acciaieria media che consuma 70mila tonnellate di idrogeno all’anno.

Nel migliore dei casi, si stima che l’intero giacimento albanese contenga fra le 5mila e le 50mila tonnellate di idrogeno, pari allo 0,05% del consumo annuale globale di idrogeno.

Inaccessibile o difficile da recuperare

Nonostante nel sottosuolo potrebbero esserci fino a 5mila miliardi di tonnellate di idrogeno, la maggior parte di questa risorsa stimata è probabilmente inaccessibile, mentre per la parte che lo è il recupero sarebbe molto impegnativo.

Si stima che ogni anno 23 milioni di tonnellate di idrogeno, circa un quarto del consumo globale annuo, si disperdano dalla Terra nell’atmosfera. Tali esalazioni sono spesso diffuse, cioè distribuite su aree molto vaste, cosa che ne rende molto difficile lo sfruttamento.

Per un vero potenziale commerciale e di decarbonizzazione, i futuri ritrovamenti di idrogeno devono essere caratterizzati da contesti geologici e di pressione più favorevoli, dove si possano raggiungere portate molte volte superiori a quelle viste finora, ha sottolineato lo scienziato.

Giacimenti spesso contengono pochissimo idrogeno

L’idrogeno geologico si trova spesso mischiato ad altri gas, come metano, CO2 o azoto. Lo sfruttamento commerciale dell’idrogeno geologico richiede che almeno il 60% del mix sia costituito da idrogeno, ma il suo contenuto è relativamente basso in molti ritrovamenti, spesso inferiore al 40%, secondo Everts.

La produzione di idrogeno puro da una fonte mista di questo tipo richiederebbe la sua separazione dagli altri gas. Si tratta di un’operazione tecnicamente possibile ma impegnativa, che potrebbe rivelarsi costosa e creare grandi quantità di prodotti di scarto.

Impatti ambientali dell’idrogeno bianco

Come tutte le forme di idrogeno, anche quello geologico non sarà necessariamente a basse emissioni.

L’intensità dei gas serra è stata stimata molto bassa, pari a circa 0,4 kg di anidride carbonica equivalente per chilogrammo di idrogeno prodotto (kg CO2e/kg H2), nel caso di un giacimento con un’alta percentuale di idrogeno (85%) e una bassa percentuale di metano.

Tuttavia, una percentuale anche poco più bassa di idrogeno (75%) miscelata con una percentuale più alta di metano (22,5%) emetterebbe 1,5 kg CO2e/kg H2, cioè un livello superiore del 50% rispetto alla definizione di idrogeno pulito della Hydrogen Science Coalition.

La produzione di idrogeno da giacimenti di scarsa qualità o molto profondi potrebbe richiedere anche il fracking o altre forme di stimolazione dei pozzi ambientalmente molto impattanti, ha precisato Everts.

Improbabile che l’idrogeno geologico sia rinnovabile

Ad oggi, non sappiamo abbastanza sui giacimenti di idrogeno per affermare con certezza che la loro rigenerazione avvenga in tempi abbastanza brevi da poter essere considerata una risorsa “rinnovabile“.

Il Centro Nazionale per la Ricerca Scientifica francese, il CNRS, ha avvertito che “l’idrogeno naturale non è una risorsa rinnovabile, nel senso che i tassi di produzione sono troppo lenti rispetto al fabbisogno energetico mondiale”.

L’idrogeno geologico non sarà dove serve

L’idrogeno è più difficile da trasportare rispetto al petrolio o al gas e richiede infrastrutture costose che rispondano alle sue complicate caratteristiche tecniche e di sicurezza. È una molecola difficile da contenere, molto volatile, con una densità energetica molto bassa ed è intrinsecamente più pericoloso in caso di incendi ed esplosioni.

Ad oggi, quasi sempre l’idrogeno è prodotto e utilizzato nello stesso sito, proprio per evitare queste grosse complicazioni. Il trasporto dell’idrogeno su lunghe distanze tramite condutture o navi è altamente inefficiente, comporta perdite di energia ed emissioni dovute a fuoriuscite che potrebbero annullare qualsiasi potenziale beneficio per il clima.

Non sarà disponibile in tempo

Il 99% dell’idrogeno oggi in uso nel mondo è prodotto da idrocarburi ed è responsabile di più emissioni dell’industria aeronautica mondiale. La sua decarbonizzazione con l’idrogeno a emissioni quasi zero deve essere una priorità e l’idrogeno geologico semplicemente non sarà disponibile per farlo nei tempi necessari a limitare il riscaldamento globale a 1,5 gradi.

Dato il crescente interesse, è probabile che avvengano altri ritrovamenti e che questi passino allo stato di “scoperte” o “risorse”. Alcuni potrebbero addirittura raggiungere lo status di “riserva”, con uno sfruttamento commerciale su piccola scala.

Tuttavia, considerando i risultati ottenuti finora, le conoscenze sui sistemi geologici di idrogeno e il fatto che i contesti favorevoli sembrano rari, le probabilità di trovare idrogeno geologico che possa essere estratto su grande scala, come il metano, sembrano relativamente scarse, ha concluso Everts.

Curva dell’apprendimento come il petrolio?

“Tutto quello che la Hydrogen Science Coalition riporta è scientificamente corretto, però in una chiave molto polemica sull’idrogeno bianco. Le ricerche sono appena iniziate, siamo agli albori, stiamo cominciando adesso a capire se c’è una prospettiva di sfruttabilità di questa risorsa”, ha detto Chiara Boschi del Cnr a QualEnergia.it.

Il giudizio secondo cui l’idrogeno bianco sarà probabilmente incapace di contribuire alla decarbonizzazione sembra quindi affrettato, secondo la responsabile del Progetto NHEAT.

“Io non sarei così sicura. Ad oggi non è sicuramente una risorsa per la transizione. Ma anche il petrolio non era una risorsa, poi a metà dell’Ottocento sono stati fatti degli studi ed è diventato il combustibile fossile per eccellenza, da cui ora si sta cercando di smarcarsi perché abbiamo trovato la sua grande nocività per i cambiamenti climatici”, ci ha detto la ricercatrice.

“Vediamo però cosa può succedere dalla ricerca sull’idrogeno bianco da qui ai prossimi cinque anni. Non è facile dirlo. Sicuramente, partendo da una vena così polemica, non si va molto avanti. La ricerca è fatta di step successivi. Magari può uscire fuori fra cinque anni che effettivamente non è una risorsa sfruttabile in maniera economica, magari potrà essere un pilastro fondamentale della transizione energetica”, ha aggiunto.

Senza poter promettere niente, l’obiettivo del Progetto NHEAT è cercare di rispondere ad alcuni dei principali quesiti aperti, soprattutto su come si forma un reservoir, cosa che potrebbe a sua volta offrire degli spunti su dove è più probabile trovare giacimenti rilevanti, così come a suo tempo avvenne per il petrolio, secondo la responsabile del progetto.

L’idrogeno bianco sembra prematuro

Attualmente, rimangono troppe cose ancora da chiarire, ha detto Giulia Monteleone di Enea a QualEnergia.it.

“Prima di tutto, quanto idrogeno è effettivamente disponibile. Per il momento si è molto lontani dal poter dire che l’idrogeno naturale potrà contribuire significativamente agli obiettivi di neutralità climatica”, ci ha detto la responsabile del Dipartimento Tecnologie energetiche di Enea.

Individuata l’eventuale presenza di giacimenti significativi da cui estrarre idrogeno, rimane da valutarne la sostenibilità tecnico-economica. Ci saranno costi per estrarlo, purificarlo, trasportarlo. Inoltre, le ripercussioni, conseguenti alla sua estrazione, potrebbero essere significative a livello di impatto ambientale, economico e geopolitico, ha detto Monteleone.

“Al momento è troppo presto per affermare che l’idrogeno naturale avrà un ruolo nella decarbonizzazione dell’economia mondiale”, ha concluso la ricercatrice dell’Enea, che sta comunque mettendo in piedi gruppi di lavoro composti da esperti con diverse competenze per valutarne le reali potenzialità e approfondire l’argomento.

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