Cambia il Governo e, perlomeno nelle dichiarazioni, la tematica ambientale sembra rilevante nei programmi. Un’attenzione che si è vista molto raramente in passato.
Viviamo in un periodo di accelerazione dei rischi climatici, ma finora la politica italiana, diversamente da quella di altri paesi, non aveva colto la drammaticità della situazione.
Paiono dunque interessanti diversi spunti delle linee programmatiche. Sottolineiamo il seguente passaggio: “il governo intende realizzare un Green New Deal, che comporti un radicale cambio di paradigma culturale e porti a inserire la protezione dell’ambiente e della biodiversità tra i principi fondamentali del nostro sistema costituzionale. Tutti i piani di investimento pubblico dovranno avere al centro la protezione dell’ambiente, il progressivo e sempre più diffuso ricorso alle fonti rinnovabili, la protezione della biodiversità e dei mari, il contrasto ai cambiamenti climatici”.
Dunque si dovrà avviare uno screening ambientale serio per tutti gli investimenti pubblici. Sembra una ovvietà, ma se questa operazione verrà fatta seriamente potrà bloccare scelte sbagliate e indirizzare le risorse dello Stato verso soluzioni ambientalmente sostenibili.
Estendendo il termine investimenti pubblici anche agli incentivi, come appare logico, si determinerebbero effetti molto positivi. Pensiamo, ad esempio al programma Industria 4.0.
Se invece di essere distribuito a pioggia, il sostegno venisse concesso in maniera prioritaria alle proposte per innovare processi produttivi e impianti coerenti con un percorso di riduzione delle emissioni climalteranti e di “circolarità economica”, aiuteremmo il nostro sistema industriale ad accelerare un percorso di innovazione coerente con le sfide ambientali.
Il Governo ha poi una occasione immediata, importante e qualificante da cogliere. Nei prossimi 110 giorni dovrà infatti rivedere il Piano Energia Clima che aveva inviato a Bruxelles all’inizio di gennaio. Alcune osservazioni sono arrivate dai vari stakeholder e altre sono pervenute a giugno dalla Commissione.
Ma c’è una novità politica, di cui non si può non tenere conto. Ursula von del Leyen, nuovo presidente della Commissione si è impegnata infatti ad alzare il taglio delle emissioni climalteranti al 2030 dal 40% al 50-55%, una dichiarazione che si aggiunge alla scelta del Parlamento europeo che aveva già votato un innalzamento del target al 55%.
Considerando che la bozza del nostro Piano prevede una riduzione del 38%, la versione finale dovrà prevedere una revisione che porti ad un percorso decisamente più ambizioso.
Il Piano, inoltre, dovrà essere coerente con il percorso che porterà l’Europa, e l’Italia, ad essere “carbon neutral” a metà secolo.
Quindi se le emissioni saranno almeno dimezzate nell’arco di quarant’anni (1990-2030), sarà più agevole il loro azzeramento (tagliando la stessa quantità di emissioni) nei venti anni successivi, dal 2030 dal 2050.
Tra i tanti interventi che il governo dovrà affrontare c’è quello dei sussidi ai fossili, 18,8 miliardi l’anno secondo l’ultima stima del Ministero dell’Ambiente. È bene ricordare che fin dal 2009 i paesi del G7 si erano impegnati ad eliminare progressivamente questi aiuti. Non solo, ma nelle raccomandazioni della Commissione UE relative al Piano Energia Clima si legge che occorre “elencare le azioni intraprese e i piani previsti per l’eliminazione graduale delle sovvenzioni all’energia, specie quelle ai combustibili fossili”.
Nelle stesse osservazioni si richiede anche di “ridurre complessità e incertezza normativa e di precisare i quadri favorevoli all’autoconsumo di energia da fonti rinnovabili e alle comunità di energia rinnovabile, in conformità degli articoli 21 e 22 della direttiva (UE) 2018/2001”. Ecco, questa dovrebbe essere una delle priorità del MiSE, anche prima del recepimento della Direttiva.
C’è poi una occasione immediata per dimostrare discontinuità. La BEI, banca europea per gli investimenti, intende smettere di finanziare progetti relativi ai combustibili fossili entro la fine del 2020. Una decisione importante che riguarderà in particolare l’Italia, principale beneficiario dei prestiti, con 8,5 miliardi concessi nel solo 2018.
Questo cambio di rotta verrà discusso martedì 10 settembre dal Consiglio d’amministrazione, composto dai Ministri delle finanze degli Stati membri Ue. La posizione dell’Italia sarà dunque importante per sostenere questo cambiamento favorevole alla transizione energetica.
Un’ultima osservazione. Il nuovo governo ha tutte le possibilità di esercitare una moral suasion nei confronti dell’Eni affinché operi una reale diversificazione dei suoi investimenti, con un’attenzione nei confronti dei tanti settori connessi alla decarbonizzazione. Un cambio di rotta che, oltre ad essere coerente con la sfida climatica in atto, può portare a risultati interessanti per l’azienda stessa.