Pubblichiamo in anteprima la seconda parte dell’editoriale di Gianni Silvestrini della rivista bimestrale n.5/2018. I temi trattati saranno anche al centro del “Forum Qualenergia: +1,5 °C, accelerare la rivoluzione energetica” che si svolgerà a Roma il 27 e 28 novembre.
La prima parte dell’editoriale
Sono in arrivo rapide trasformazioni che coinvolgeranno tutti i settori – dall’energia ai trasporti, dall’edilizia all’agricoltura – con percorsi che potranno rappresentare un’opportunità oppure una minaccia.
Alcune realtà industriali di grande, piccola e media dimensione – pensiamo all’Enel, a Novamont, a Loccioni, ma anche ad aziende che praticano l’agroecologia, a start-up innovative – sembrano aver compreso l’entità della sfida e guidano la trasformazione. Come ci ricorda il recente rapporto di Symbola, sono ben 345.000 le imprese italiane, con tre milioni di occupati, che hanno investito o prevedono di investire in prodotti e tecnologie green.
Dunque esiste una base interessante su cui lavorare. Ma manca la capacità di fare sistema e non emerge un chiaro indirizzo politico. Due limiti gravi, considerando le prospettive interessanti che si stanno aprendo.
Secondo SolarPower Europe, l’avvio di una attiva politica industriale fotovoltaica nella Unione Europea consentirebbe di far passare il numero degli addetti diretti e indiretti nel fotovoltaico dagli attuali 120mila a 300mila e un raddoppio degli occupati sarebbe possibile anche nel comparto eolico che vede oggi 263mila addetti.
In effetti, anche i segnali che arrivano sul fronte delle “disruptive technologies” in campo climatico continuano ad essere incoraggianti.
Nei primi otto mesi di quest’anno le vendite di auto elettriche (1,1 milioni) sono cresciute del 69% rispetto allo stesso periodo del 2017.
Le quotazioni dei moduli fotovoltaici nel 2018 hanno registrato un calo del 20%. In Germania la danese Ørsted ha vinto un’asta per realizzare 420 MW eolici nel Mare del Nord senza chiedere incentivi.
Obbiettivi ambiziosi al 2030 per rinnovabili, efficienza e mobilità, accompagnati da prezzi decrescenti delle varie tecnologie: questo l’abbinamento “magico” che potrebbe far ripartire anche in Italia interi comparti con investimenti “climatici” compresi tra 50 e 100 miliardi entro la fine del prossimo decennio.
Un chiarimento sulle strategie future verrà dal Programma Clima-Energia che definirà gli scenari di decarbonizzazione del paese al 2030 e 2050.
Questo documento, previsto dall’Accordo di Parigi sul Clima, sollecita ambiziose politiche di riduzione delle emissioni.
Insomma, siamo in una fase cruciale che potrebbe e dovrebbe orientare le politiche future in molti comparti dell’economia. Su questi temi talloneremo il Governo, sollecitando un deciso cambio di marcia già nel 2019.
Migranti e il ruolo del cambiamento climatico
Tutti i media stanno parlando della colonna di disperati che dal Centro America sta avanzando, cercando di trovare ospitalità e lavoro negli Usa.
Nei loro paesi la violenza è quotidiana, ma una delle ragioni che inducono le famiglie ad abbandonare le proprie case viene dall’instabilità climatica che negli ultimi quattro anni ha portato siccità accompagnata da alluvioni e uragani. Secondo la Banca Mondiale l’aumento delle temperature e dei fenomeni estremi nei prossimi trent’anni potrebbe comportare un flusso di quasi quattro milioni di migranti climatici dal Centro America.
E il fenomeno, chiaramente, riguarda molti altri paesi.
La FAO ha stimato che nel 2015 ci sono stati 244 milioni di migranti che hanno varcato le frontiere nazionali, il 40% in più rispetto al 2000. Secondo questo rapporto, sono ben 26 milioni le persone annualmente sono costrette a spostarsi a causa di fenomeni estremi e cambiamenti del clima.
Insomma, il mondo è in movimento, come è sempre avvenuto, ma oggi con numeri enormi. Un miliardo di persone, secondo le Nazioni Unite, attualmente possono essere classificate come “migranti” che lasciano le proprie abitazioni per violenze, fame, fenomeni climatici.
Un quarto di questi sono fuggiti dai confini della propria nazione. Di fronte a fenomeni epocali di queste dimensioni occorre una riflessione che consenta di definire modalità di gestione adeguate.
Proprio per questo, le Nazioni Unite si sono mosse negli ultimi anni per delineare il quadro di un accordo internazionale, il “Global Compact for Safe, Orderly and Regular Migration” che verrà discusso a dicembre a Marrakesch dai rappresentanti di tutti i paesi.
Focalizzando infine l’attenzione sull’emergenza climatica, strettamente legata ai fenomeni migratori, pensiamo che occorra un salto di qualità nel nostro paese non solo nella definizione di serie politiche di riduzione delle emissioni, ma anche di difesa dai fenomeni estremi e di accoglienza.
Terminiamo con una citazione che fa da contraltare a quella di Ghosh riportata all’inizio dell’editoriale.
Lo scorso 9 novembre Paolo Rumiz ha scritto su Repubblica un bellissimo articolo di riflessione sulla devastazione che ha distrutto i boschi piantati proprio sui luoghi che avevano visto i combattimenti del primo conflitto mondiale terminato cento anni fa.
“Quando arriverà la tempesta perfetta, il saccheggio sarà compiuto e la grande fuga dei popoli diverrà inarrestabile, forse ripenseremo a chi aveva additato quattro barconi di esiliati per gridare all’invasione. E coprire per l’ultima volta gli autori della Grande Rapina”.