Dall’Italia “sì” allo stop a diesel e benzina dal 2035, ma con tre condizioni

Al Consiglio Ue sulla competitività, il ministro Urso definisce "raggiungibile" l'obiettivo Ue sulle emissioni delle auto, a patto di rispettare innanzitutto la neutralità tecnologica. Le proposte italiane.

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Tutto è cambiato e nulla è cambiato nella posizione italiana sulla politica Ue di vietare la vendita di nuove auto termiche dal 2035.

È cambiato l’atteggiamento generale del governo verso lo stop a benzina e diesel: se prima si osteggiava con forza la scelta del “tutto elettrico” chiedendo a Bruxelles di rinviare la scadenza del 2035, ora l’obiettivo è considerato “raggiungibile”.

Parola del ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, intervenuto ieri, 26 settembre, al Consiglio Ue sulla competitività industriale.

Ma nulla è cambiato perché le richieste italiane sono sostanzialmente le stesse portate avanti da mesi, una su tutte la neutralità tecnologica. Quello al target 2035 è un “sì” con tre condizioni ben precise, tra cui anche maggiori finanziamenti Ue e più autonomia europea nella produzione di batterie.

Urso, infatti, ha presentato i punti principali di una nuova politica industriale europea sull’automotive, che il nostro Paese intende proporre in un documento ufficioso (non-paper) condiviso con altri Stati membri.

Da segnalare che Roma e Berlino concordano sulla necessità di anticipare di un anno, dal 2026 al 2025, la clausola di revisione prevista dal regolamento Ue 2023/851 sulle auto (art. 15, si veda Target auto: anche la Germania per la revisione, ma difende lo stop a diesel e benzina dal 2035).

Entrambi i governi premono per ridiscutere prima del previsto il percorso che condurrà all’azzeramento delle emissioni dei veicoli. Ricordiamo che il regolamento fissa un obiettivo intermedio al 2025, che impone di ridurre del 15% (rispetto ai valori del 2021) le emissioni medie delle auto vendute nell’Ue, obiettivo che alcuni costruttori vorrebbero rinviare.

Restano però delle discrepanze rispetto alla posizione tedesca, in particolare sui biocombustibili, promossi dal nostro governo ma non dalla Germania.

Entrando ieri al Consiglio Ue, il segretario di Stato tedesco agli Affari economici, Sven Giegold, ha puntualizzato alle agenzie di stampa che “la Germania non vuole indebolire le regole climatiche, per noi gli obiettivi climatici sono fondamentali […]. Il nostro obiettivo non è mettere in discussione l’uscita dal motore endotermico nel 2035 e non chiediamo nuovi biocarburanti, che non sono climaticamente neutrali”.

Come anticipato, secondo Urso, l’obiettivo del 2035 è raggiungibile “solo se si realizzano tre condizioni fondamentali”, tra cui in particolare la neutralità tecnologica. Ciò significa dare spazio nei trasporti leggeri a biocombustibili, carburanti sintetici di origine rinnovabile (e-fuel) e idrogeno, riconoscendo a queste alimentazioni “un ruolo importante”.

In pratica, si chiede di poter calcolare, ai fini dell’azzeramento delle emissioni, anche il contributo di determinati carburanti “puliti” ricavati da materie prime rinnovabili, da affiancare all’elettrico. Ciò allo scopo di salvare almeno in parte i motori endotermici con relative filiere.

Ma come abbiamo scritto varie volte, queste opzioni presentano diversi inconvenienti: i biocombustibili rischiano di aumentare la deforestazione e di entrare in conflitto con gli altri usi dei suoli (produzione di cibo in primis), mentre e-fuel e idrogeno sono molto più inefficienti e costosi dell’elettrico.

Le altre due condizioni espresse da Urso sono:

  • istituire un fondo di sostegno per l’intera filiera e per i consumatori che acquistano vetture elettriche prodotte in Europa;
  • definire una strategia per garantire l’autonomia europea nella produzione di batterie, utilizzando materie prime critiche estratte e lavorate nel continente.

“Il rischio concreto che corre il settore è la scomparsa di interi segmenti industriali e la distruzione di numerosi posti di lavoro”, ha detto il ministro.

“Se non interveniamo subito, tra qualche mese troveremo in piazza gli operai dell’industria europea, così come avvenuto qualche mese fa con gli agricoltori”, ha aggiunto. Pertanto “è necessario, come dice Draghi, affrontare la tematica senza paraocchi, senza ideologie, ma con una visione di neutralità tecnologica”.

La proposta italiana sulla politica industriale, evidenzia una nota del Mimit, include altri settori strategici, come l’acciaio e la chimica. Per quanto riguarda la siderurgia, l’Italia ritiene necessario “garantire che la decarbonizzazione per le industrie ad alta intensità energetica, particolarmente esposte al commercio internazionale, sia sostenibile dal punto di vista produttivo”.

Si propone poi la creazione di un “Fondo per la Competitività” a supporto di tutti i settori coinvolti nelle transizioni in atto e una semplificazione degli Ipcei (grandi progetti di interesse comune nell’ambito della ricerca), oltre a un nuovo strumento di politica industriale dedicato alle Pmi.

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