Nell’ultima settimana di giugno il governo israeliano ha approvato un piano per intensificare le esportazioni di gas naturale del Paese, arrivando a più che raddoppiarle, ampliando allo stesso tempo la produzione dall’enorme giacimento Leviathan, che si trova nella Zona economica esclusiva (ZEE) israeliana, a circa 130 km dalle coste di Haifa.
Il ministro dell’energia Eli Cohen, riferisce Reuters, ha dato il via libera all’export di ulteriori 118 miliardi di metri cubi (bcm) di gas dalle riserve del Mediterraneo orientale, superiori ai 105 bcm approvati in un primo momento. Il membro dell’esecutivo ha affermato che la manovra sarebbe stata fatta “nel tentativo di migliorare la sicurezza energetica e rafforzare i legami diplomatici” con gli altri Paesi.
NewMed Energy, società oil&gas israeliana, ha rivelato che i suoi partner Chevron e Ratio Oil intendono investire dai 400 ai 500 milioni di dollari nella progettazione ingegneristica e nelle infrastrutture a lungo termine necessarie per l’espansione del pozzo Leviathan, uno dei più grandi giacimenti di gas in acque profonde del mondo, che si stima contenga poco meno di 650 milioni di metri cubi di gas.
Il giacimento, esteso per 330 chilometri quadrati, è stato scoperto nel dicembre 2010 da NewMed Energy, Chevron e Ratio Oil. NewMed ne è il principale operatore e ne detiene una quota del 45,3%, mentre Chevron ha una quota del 39,7% e Ratio Oil del 15%.
Secondo la major israeliana, il Paese prevede di espandere gradualmente la produzione di Leviathan a 21 bcm l’anno dagli attuali 12 bcm. Il gruppo sta attualmente negoziando nuovi accordi a livello nazionale e internazionale. Lo scorso anno Israele ha esportato 8,6 bcm di gas in Egitto, con un aumento del 39% su base annua, e ne ha inviati altri 2,9 bcm in Giordania.
Inoltre, due anni fa ha firmato insieme ad Egitto e Ue un memorandum d’intesa per incrementare le esportazioni verso l’Europa, in un’ottica di diversificazione degli approvvigionamenti in seguito all’invasione russa dell’Ucraina.
Israele “player” del gas nel Mediterraneo
Tradizionalmente il Medio Oriente è riconosciuto come principale produttore mondiale nel settore oil&gas, grazie ai suoi 75,8 trilioni di metri cubi di riserve di gas naturale, le più grandi al mondo. Negli ultimi anni Israele è emerso come una potenza del gas naturale nel Mediterraneo, accrescendo le due riserve del 40% nell’ultimo decennio, in gran parte grazie all’aumento delle attività di perforazione ed esplorazione.
Nello stesso periodo la produzione offshore è aumentata di cinque volte dall’avvio del primo grande giacimento produttivo del Paese, Tamar, avvenuta nel 2013. Israele ha visto le sue riserve di gas crescere da 780 miliardi di metri cubi (bcm) nel 2012 a 1.087 bcm alla fine del 2022, mentre 119 bcm sono stati estratti nello stesso periodo.
Anche il bacino del Levante, nel Mediterraneo orientale, sta emergendo come una delle riserve di gas più importanti al mondo, con 2,4 trilioni di metri cubi scoperti negli ultimi due decenni dai Paesi che insistono sull’area (Egitto, Israele, Cipro e Libano). Di recente, infatti, la zona ha attratto alcune delle principali aziende energetiche del mondo.
NewMed Energy, Chevron e la major petrolifera anglo-olandese Shell hanno anche stretto una partnership nel giacimento Aphrodite, scoperto nel 2011 a circa 170 chilometri a sud di Limassol, 30 chilometri a nord-ovest di Leviathan. È già stato perforato un pozzo di valutazione per confermare le stime relative alla natura e alle dimensioni, atto che segna un passo significativo verso il suo sviluppo.
“Insieme all’avanzamento della fase due del bacino Leviathan, che soddisfa le esigenze dell’economia locale e regionale, stiamo facendo progressi e promuovendo in modo significativo lo sviluppo del bacino Aphrodite. La domanda globale di gas naturale è in aumento e un grande bacino come Aphrodite potrebbe aiutare a soddisfarla”, ha affermato il Ceo di NewMed Energy, Yossi Abu.
Non sorprende quindi che le grandi compagnie petrolifere si stiano precipitando in Israele per rivendicare le loro pretese sul nuovo gas scoperto. L’anno scorso, le azioni NewMed sono balzate di oltre il 60% dopo che BP e Abu Dhabi National Oil Company (ADNOC) hanno annunciato il lancio di una joint venture per acquisire una quota del 50% della major israeliana per 2 miliardi di dollari.
Nel marzo 2024 il piano è però saltato per via della guerra attualmente in corso tra Israele e Hamas, che ha generato instabilità e minato la certezza di un ritorno dell’investimento.
Il caso Eni-Ithaca nel Mare del Nord
Per motivi di opportunità, più che economici, anche Eni – secondo quanto segnala l’associazione ReCommon – dovrebbe interrompere la partnership con Ithaca Energy per la produzione di oltre 100mila barili di petrolio al giorno nel Mare del Nord. La compagnia britannica è infatti controllata per l’89% dalla holding israeliana Delek Group, nella lista nera dell’Onu per via delle operazioni nei territori palestinesi occupati.
Recentemente, spiega ReCommon in una nota, sono emerse prove che dimostrano come il Gruppo abbia legami con l’esercito israeliano. I veicoli delle Forze di Difesa Israeliane (IDF) si riforniscono di carburante presso centinaia di stazioni di servizio di proprietà di Delek Israel, una delle filiali di Delek Group.
“Eni ha una forte relazione d’affari con una società che di fatto sta contribuendo a finanziare la guerra in Medio Oriente”, dichiara la campaigner “Finanza pubblica e multinazionali” di ReCommon, Eva Pastorelli.
“Per questo – conclude – ci sembra doveroso che la società civile italiana faccia sentire la sua voce e chieda alla principale multinazionale del nostro Paese di interrompere questo legame così controverso. Nessun interesse economico può giustificare il perpetuare un conflitto che ha già mietuto decine di migliaia di vittime e di cui al momento non si vede una fine”.