Il fotovoltaico e il passo avanti dell’Ue contro il lavoro forzato

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Procede, seppur lentamente, l’iter legislativo dell'Ue per una misura che, oltre a scoraggiare forme moderne di schiavitù, risponde agli appelli per tutelare la manifattura europea dalla concorrenza sleale, anche nel settore fotovoltaico.

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Questa settimana le commissioni per il Mercato interno e il Commercio internazionale del Parlamento europeo hanno approvato una proposta di regolamento per escludere dal mercato dell’Ue i prodotti realizzati con il lavoro forzato.

Si tratta di un passo avanti in un lungo iter legislativo, avviato oltre un anno fa dalla Commissione europea e che segue l’esempio, ampliandone la portata, dello Uyghur Forced Labor Prevention Act. Questa è la norma varata dagli Stati Uniti nel giugno 2022 contro lo sfruttamento del lavoro forzato in alcune regioni della Cina, dove viene prodotta, fra l’altro, la maggioranza del polisilicio per moduli fotovoltaici a livello mondiale.

La proposta europea prevede dei criteri per indagare sull’eventuale uso del lavoro forzato nelle catene di approvvigionamento delle aziende.

Se viene dimostrato che un’azienda ha fatto ricorso al lavoro forzato, dentro o fuori l’Unione, ovunque nel mondo, tutte le importazioni e le esportazioni dei relativi prodotti verrebbero bloccate alle frontiere dell’Ue.

Le aziende dovrebbero inoltre ritirare i prodotti che hanno già raggiunto il mercato interno, per poi donarli, riciclarli o distruggerli.

Inversione dell’onere della prova nei casi ad alto rischio

I deputati delle due commissioni hanno modificato la proposta della Commissione, incaricandola di creare un elenco di aree geografiche e settori economici ad alto rischio di ricorso al lavoro forzato.

Per i beni prodotti in queste aree ad alto rischio, le autorità non dovranno più dimostrare che le persone sono state costrette a lavorare, poiché l’onere della prova ricadrà sulle aziende.

“Il divieto che abbiamo votato oggi sarà fondamentale per bloccare i prodotti realizzati con la moderna schiavitù e per togliere alle aziende l’incentivo economico a ricorrere al lavoro forzato. Proteggerà gli informatori, fornirà un rimedio alle vittime e difenderà le nostre imprese dalla concorrenza non etica”, ha detto la co-relatrice dell’iniziativa, l’olandese Samira Rafaela, di Renew Europe.

Rimedi e definizioni più ampie

La proposta di regolamento prevede inoltre che i prodotti ritirati dal mercato possano essere reintrodotti solo dopo che l’azienda abbia dimostrato di aver smesso di utilizzare il lavoro forzato nelle sue operazioni o nella sua catena di approvvigionamento e di aver posto rimedio a qualsiasi caso rilevante.

I deputati hanno anche aggiornato e ampliato le definizioni utilizzate nel testo. In particolare, la definizione di “lavoro forzato” sarà allineata agli standard dell’Organizzazione internazionale del lavoro e comprenderà “ogni lavoro o servizio che viene richiesto a una persona sotto la minaccia di una sanzione e per il quale tale persona non si è offerta volontariamente”.

“Ci sono 27,6 milioni di lavoratori in tutto il mondo che soffrono di lavoro forzato, una sorta di schiavitù moderna. Abbiamo fatto in modo che i prodotti realizzati con il lavoro forzato siano banditi dal mercato interno fino a quando i lavoratori non saranno risarciti per i danni subiti”, ha dichiarato l’altra co-relatrice, la social-democratica portoghese Maria-Manuel Leitão-Marques.

“La messa al bando del lavoro forzato protegge anche le aziende che rispettano le regole dalla concorrenza sleale. Infine, abbiamo reso più facile dimostrare il lavoro forzato imposto dallo Stato”, ha aggiunto.

Il contesto fotovoltaico

Il Parlamento europeo sta lavorando anche su altri atti legislativi che promuovono la dignità del lavoro e la responsabilità delle imprese, come la proposta di direttiva sulla due diligence di sostenibilità aziendale, attualmente in fase di negoziazione.

La proposta sul divieto di beni realizzati con il lavoro forzato si concentra specificamente sulla sorveglianza dei prodotti e risponde agli appelli venuti da più parti negli ultimi mesi sulla necessità di tutelare maggiormente sia i lavoratori di tutto il mondo che le aziende manifatturiere europee.

La proposta è particolarmente rilevante per il settore fotovoltaico, anche se giunge in ritardo rispetto agli Usa, che da oltre un anno, hanno vietato le importazioni di tutte le merci e tutti i prodotti fabbricati (anche solo in parte) nella regione autonoma uigura dello Xinjiang in Cina.

Ricordiamo che nello Xinjiang cinese vive una vasta comunità di uiguri, etnia di lingua turca e religione islamica, al centro di campagne di repressione culturale da parte di Pechino con violazioni dei diritti umani, detenzioni illegali e campi di lavoro.

E proprio nello Xinjiang si produce circa il 45% del silicio fotovoltaico mondiale.

SolarPower Europe, maggiore associazione europea degli operatori fotovoltaici, aveva già accolto con favore l’anno scorso la proposta della Commissione europea di vietare l’immissione sul mercato dell’Ue di prodotti realizzati con il lavoro forzato.

Un mese fa, anche lo European Solar Manufacturing Council (Esmc), maggiore organizzazione europea delle aziende manifatturiere fotovoltaiche, aveva preso una posizione forte a favore di “una filiera del fotovoltaico senza lavoro forzato”.

Nell’occasione, lo Esmc aveva sollecitato i propri membri ad attuare volontariamente una serie di precauzioni e le istituzioni europee a fare presto nell’approvare una normativa stringente contro il lavoro forzato.

Sempre il mese scorso, SolarPower Europe aveva denunciato in una lettera alla Commissione europea che, grazie anche allo sfruttamento del lavoro forzato, il prezzo dei moduli fotovoltaici provenienti dalla Cina era sceso a livelli impossibili da eguagliare per i produttori europei. Spe aveva chiesto nell’occasione un intervento urgente delle istituzioni politiche per salvare la filiera fotovoltaica comunitaria.

L’Esmc, da parte sua, ha accolto con favore il voto di questa settimana delle due commissioni del parlamento europeo, indicando tuttavia di temere che ci vorrà troppo tempo prima che la legislazione venga applicata effettivamente.

Prossimi passi

Il parlamento riunito in sessione plenaria dovrà ora confermare la proposta, facendola sua come base negoziale, per poi iniziare i colloqui sulla forma definitiva del regolamento una volta che anche il Consiglio europeo avrà adottato una sua posizione.

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