Non solo CO2: alla COP29 di Baku si lavora anche per tagliare le emissioni di metano, gas climalterante spesso trascurato ma con effetti molto pesanti sul clima, specie nel breve termine.
Martedì 12 novembre, la Commissione Ue ha lanciato la Methane Abatement Partnership Roadmap, iniziativa per accelerare la riduzione delle emissioni di metano nell’Oil&Gas. Ma il problema è che le fughe di metano sono molto più ingenti di quanto risulti dai dati ufficiali.
Il 16 novembre, quando sono state diffuse le prime immagini da MethaneSAT (foto in alto), satellite lanciato a tale scopo dall’Ong Environmental Defense Fund, è arrivata un’altra conferma di quanto sostengono diversi studi scientifici, cioè che pozzi e gasdotti fanno finire in atmosfera molto più metano di quanto finora si credeva.
Il pericolo per il clima
Il metano è secondo solo all’anidride carbonica come impatto sul cambiamento climatico. Su una scala temporale di 100 anni, ha un potenziale di riscaldamento globale 28 volte maggiore della CO2 e, sui 20 anni, è addirittura 84 volte più potente.
Se dal pozzo alla centrale elettrica, come a volte accade, si disperde più del 3% del gas, produrre elettricità da metando diventa addirittura peggio per il clima rispetto a generarla bruciando carbone, ha stimato l’Agenzia internazionale per l’energia .
La stessa Iea calcola che a livello mondiale si sprechino ogni anno oltre 260 miliardi di metri cubi di gas con flaring (la pratica di incendiare il gas di scarto dai pozzi), venting (la pratica di sfiatarlo in atmosfera) e perdite. Per dare un’idea, è oltre il sestuplo dei consumi italiani, che nel 2023 sono stati di 61,5 miliardi di metri cubi.
Il 47% di queste emissioni di metano, scrive sempre la Iea, può essere evitato con la tecnologia esistente attraverso misure quali il rilevamento e la riparazione delle perdite e, dato il valore di mercato del gas aggiuntivo catturato, il 40% di questi interventi non avrebbe alcun costo netto.
L’azione dell’Ue
Come detto, il 12 novembre la Commissione Europea, in collaborazione con alcuni paesi partner, tra cui anche l’Italia, organizzazioni internazionali, Ong e banche di sviluppo, ha varato la Methane Abatement Partnership Roadmap.
L’iniziativa introduce un modello per la cooperazione tra paesi importatori ed esportatori di combustibili fossili, che supporterà le aziende nel migliorare i loro sistemi di monitoraggio, rendicontazione e verifica per ridurre le emissioni di metano.
La cornice è quella del Global Methane Pledge, lanciato dall’Ue e dagli Stati Uniti alla Cop26 di Glasgow, cioè l’impegno sottoscritto ad oggi da 158 paesi a ridurre le emissioni globali di metano di origine antropica di almeno il 30% entro il 2030 rispetto ai livelli del 2020.
A quell’impegno è seguita una dichiarazione congiunta firmata alla Cop27 da Stati Uniti, Unione Europea, Giappone, Canada, Norvegia e Singapore. A Dubai l’anno scorso, poi, l’Ue e i suoi Stati membri hanno annunciato 175 milioni di euro a sostegno del Methane Finance Sprint, per accelerare la riduzione del metano e il primo regolamento al mondo in materia.
Il regolamento Ue/2024/1787, entrato in vigore il 4 agosto 2024, tra le altre cose impone l’obbligo di rilevamento e riparazione delle perdite e il divieto di gas flaring e gas venting.
Le trattative con gli Usa e l’ombra di Trump
Un punto rilevante è che il regolamento europeo riguarda anche le emissioni di metano prodotte dai combustibili fossili importati e introduce progressivamente requisiti più rigorosi per garantire che, dal 2027, agli esportatori si applichino le stesse regole in vigore in Europa.
Proprio su questo fronte sono in corso trattative tra Ue e Stati Uniti: secondo rivelazioni di stampa, i funzionari statunitensi hanno chiesto alla Commissione Europea di garantire che le esportazioni di Gnl Usa saranno considerate conformi ai nuovi standard europei sulle emissioni di metano.
La normativa europea prevede esenzioni per i paesi che dimostrano che i loro quadri normativi nazionali sono equivalenti agli standard Ue. Questa flessibilità è un’opportunità per gli Stati Uniti, se rafforzeranno i loro meccanismi di monitoraggio e trasparenza. L’Inflation Reduction Act del 2022 ha infatti istituito una tassa sulle emissioni di metano dei produttori di petrolio e gas.
La misura, però, è invisa alle lobby delle fossili Usa, lobby che, viste le nomine annunciate da Trump, presto avranno accesso alle leve del potere: l’ad di un’azienda del fracking, Chris Wright, sarà a capo del Dipartimento dell’Energia, mentre il prossimo direttore dell’EPA, Lee Zeldin, ha già promesso di smantellare tutte le regole ambientali che frenerebbero l’industria Oil&Gas nazionale.
Le immagini di MethaneSAT
In questo quadro trovano posto le nuove immagini che arrivano da MethaneSAT, il satellite dedicato a individuare le emissioni di metano lanciato in orbita la primavera scorsa dall’organizzazione no-profit Environmental Defense Fund con il supporto di partner chiave come il Bezos Earth Fund, l’Audacious Project, il governo della Nuova Zelanda e molti altri.
Come anticipato, le immagini da MethaneSAT mostrano che le emissioni di gas nei bacini di produzione del Nord America e dell’Asia centrale sono significativamente più elevate di quanto attualmente riportato negli inventari esistenti, basati su stime ingegneristiche.
Ad esempio, il tasso di perdita (o l’intensità delle emissioni) rilevato nel bacino del Permian, in Texas, va dall’1,8% al 2,9% della produzione lorda: almeno 9 volte superiore al tasso di perdita dello 0,2% promesso per il 2030 nell’ambito degli impegni pubblici dell’industria. Nel bacino dello Uinta, nello Utah, MethaneSAT ha osservato tassi di perdita addirittura intorno al 9%.
Tornando in Texas, le emissioni quantificate dal satellite, sottraendo le fonti non petrolifere e di gas, sono da tre a cinque volte superiori alle stime dell’EPA. Quelle osservate nel Caspio meridionale sono oltre 10 volte superiori a quelle riportate nel database globale indipendente delle emissioni EDGAR del 2022.
Insomma, è urgente quantificare in maniera migliore il problema ed agire al più presto.