Decarbonizzare i settori “hard to abate” in Italia costerà fino a 80 miliardi

Un'analisi di Energy&Strategy della School of Management del Politecnico di Milano sul raggiungimento degli obiettivi net-zero in ambiti in cui la transizione energetica è più difficile da affrontare.

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Per raggiungere la piena decarbonizzazione al 2050 nei settori “hard to abate” (siderurgia, chimica, ceramica, carta, vetro e cemento), in Italia sarebbe necessario spendere tra i 30 e gli 80 miliardi di euro, suddivisi tra acquisto delle tecnologie abilitanti e relativi costi operativi.

In assenza di provvedimenti normativi ad hoc, però, si arriverà a una riduzione delle emissioni di appena il 54% rispetto al 2020, molto lontano dall’obiettivo net-zero.

Il dato emerge dalla prima edizione dell’Osservatorio Zero Carbon Technology Pathways, realizzato da Energy&Strategy della School of Management del Politecnico di Milano, e presentato oggi, 17 gennaio, insieme alle aziende partner della ricerca.

Le direttrici tecnologiche della decarbonizzazione

Lo studio ha identificato 115 soluzioni tecnologiche ritenute rilevanti da questo punto di vita, 46 dedicate alla produzione energetica decarbonizzata e 60 all’utilizzo di vettori energetici, di cui 39 in ambito industriale, più 9 sistemi CCS (Carbon capture and storage) alternativi.

Le quattro “direttrici tecnologiche” analizzate nel report sono idrogeno, biocombustibili ed elettricità (come alternative ai fossili tradizionali) e sistemi di stoccaggio di CO2 per la rimozione delle emissioni atmosferiche.

La produzione di energia elettrica e di idrogeno sono già oggi mediamente consolidate, mentre andrà rivolta più attenzione alle tecnologie di consumo, visto che la limitata maturità infrastrutturale rischia di rallentarne l’adozione.

Ad esempio la rete elettrica dovrà garantire la propria stabilità, mentre quella del gas dovrà adeguarsi per essere hydrogen-ready. Per quanto riguarda i biocombustibili e la CCS, invece, si prevede che le complessità di filiera e la limitata fattibilità tecno-economica ne ridurranno il potenziale impatto nel futuro.

Gli strumenti incentivanti

Sia il Pnrr attuale che la revisione approvata dalla Commissione nel novembre 2023 prevedono investimenti e riforme su tre delle quattro direttrici tecnologiche analizzate (idrogeno, biocombustibili, ed elettrificazione, che conquista il 21,2% delle risorse), mentre non includono misure per la CCS.

L’aggiornamento del Pniec, che in generale contempla una revisione al rialzo dei target al 2030, prevede invece il ricorso alla CCS per i settori hard-to-abate e punta su rinnovabili elettriche, idrogeno e biometano.

Gli interventi risolutivi non avvengono però senza strumenti incentivanti, spiega il rapporto. Dal confronto di E&S con gli operatori emerge un’esigenza di semplificazione del quadro normativo-regolatorio, attraverso una programmazione di lungo periodo.

Le più sensibili a questi temi risultano essere le grandi aziende, ognuna con le sue specificità. Nel metallurgico e nella carta ha un particolare rilievo ad esempio l’aspetto tecnologico, mentre nella raffinazione hanno più peso gli aspetti organizzativi.

L’evoluzione del modello di business delle ESCo

Da un confronto con un campione di ESCo attive nel settore industriale è emerso inoltre che l’offerta attuale è focalizzata su interventi di efficienza energetica per impianti ausiliari al processo produttivo (62% degli intervistati). Dal punto di vista tecnologico, prevalgono le soluzioni per l’elettrificazione dei consumi finali (rinnovabili e tecnologie di generazione in loco), mentre le modalità contrattuali più tipiche sono l’EPC (Energy Performance Contract) con rischio in carico al fornitore e i contratti chiavi in mano.

Oggi le grandi imprese del settore industriale sono i principali clienti (67% in media) del campione di ESCo intervistate, fino ad arrivare a oltre l’80% per circa metà degli operatori sentiti (per 4 su 10 coprono più dell’80% del fatturato).

Nel futuro si prevede un ampliamento del portfolio clienti verso le PMI, perché per raggiungere il net-zero si dovranno ridurre le emissioni del tessuto industriale italiano che è composto prevalentemente da imprese medie, piccole e piccolissime, che potrebbero vedere nella decarbonizzazione un fattore per garantirsi un migliore accesso al credito.

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