Crisi energetica. Perché all’Europa serve molto più coraggio

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Bisogna accelerare lo stop alla produzione oil&gas: per i paesi più ricchi entro il 2034. E segnali chiari per una politica basata sull'indipendenza energetica con rinnovabili ed efficienza. Analisi e commenti di due esperti internazionali.

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La Russia non è più un fornitore affidabile di gas e petrolio. È ormai chiaro a tutti i leader europei, anche se le soluzioni proposte finora per liberarsi dai combustibili fossili importati da Mosca non sembrano abbastanza coraggiose e lungimiranti.

È il succo di un articolo di commento scritto da Heather Grabbe (Open Society European Policy Institute, di cui è direttrice), pubblicato su Politico, dove si evidenzia che le fonti fossili hanno un problema di autocrazia e che i Paesi Ue dovrebbero puntare su un piano di indipendenza energetica incentrato sulle rinnovabili.

Questa analisi, scritta alla vigilia del Consiglio europeo del 24-25 marzo, mette in luce dei nodi tuttora irrisolti e perché i capi di Stato e di governo hanno rinviato le decisioni importanti – tetto ai prezzi del gas, riforma del mercato elettrico – a un prossimo piano che la Commissione europea dovrà presentare entro la fine di maggio.

“In ogni risposta alle emergenze, vengono commessi errori che in seguito possono rivelarsi costosi”, scrive Grabbe, e ora si rischia di ripetere un errore già compiuto in passato: pensare che le forniture di risorse fossili continueranno per molti altri decenni.

Sostituire semplicemente un fornitore autocratico di idrocarburi – come la Russia – con altri fornitori autocratici, come Azerbaigian, Iran, Arabia Saudita e Venezuela, infatti, “danneggerebbe le cause del clima, della sicurezza energetica e della governance democratica”.

Più in generale, secondo Grabbe, la priorità assoluta per Bruxelles dovrebbe essere la transizione energetica pulita e i Paesi Ue dovrebbero evitare di realizzare nuove infrastrutture per le fossili e di siglare nuovi contratti per il gas a lungo termine.

Altrimenti, il sistema energetico europeo sarà sempre più esposto al rischio di bloccare (lock-in) i suoi investimenti ancora per molto tempo nel gas e nel petrolio.

Il nuovo accordo Usa-Ue prevede che gli Stati Uniti esporteranno 50 miliardi di metri cubi/anno di Gnl al mercato europeo, ma anche questa soluzione non sembra andare nella direzione suggerita da Grabbe, perché non farà altro che sostituire una parte di gas russo con altro gas, senza alleviare la dipendenza Ue dagli approvvigionamenti esterni di combustibili (vedi “Il ginepraio del gas liquefatto“).

Al contrario, Bruxelles dovrebbe chiarire a cittadini e imprese che la graduale eliminazione delle fonti fossili è una scelta “irreversibile”; non dovrebbe concedere più alcun sussidio per la produzione e/o il consumo di combustibili tradizionali e investire massicciamente in rinnovabili, trasporti a basse emissioni di CO2 e misure di efficienza per ridurre la domanda di gas e petrolio, come la diffusione di pompe di calore e isolamento termico degli edifici.

In sostanza, la politica europea nella crisi energetica attuale dovrebbe impegnarsi con più risolutezza verso il raggiungimento di una vera indipendenza dalle fonti fossili, sostiene Grabbe.

Invece molti numeri segnalano che siamo ancora lontani da un simile cambio di rotta.

Ad esempio, un recente studio di Greenpeace ha sottolineato che il 64% circa della spesa militare italiana per missioni estere nel 2021, circa 800 milioni di euro, ha finanziato operazioni collegate alla difesa di asset fossili (gas e petrolio).

Italia, Spagna e Germania, negli ultimi quattro anni, hanno speso complessivamente più di 4 miliardi di euro in attività militari connesse ai loro interessi nel settore oil & gas.

Considerazioni analoghe arrivano dal professor Kevin Anderson, ricercatore del Tyndall Centre for Climate Change Research e principale autore di un nuovo studio su come uscire dai combustibili fossili su scala globale, in linea con gli obiettivi climatici fissati dagli accordi di Parigi (limitare il surriscaldamento a +1,5 °C rispetto ai livelli preindustriali).

Gli attuali prezzi energetici elevati, afferma Anderson nel presentare lo studio intitolato “Phaseout Pathways for Fossil Fuel Production within Paris-compliant carbon budgets” (link in basso), “ci ricordano anche che petrolio e gas sono materie prime globali volatili e le economie che dipendono da essi continueranno a dover affrontare ripetuti shock e interruzioni”.

Invece usare energia in modo efficiente e con un rapido passaggio alle rinnovabili “aumenterà la sicurezza energetica, costruirà economie resilienti e aiuterà a evitare i peggiori impatti dei cambiamenti climatici”.

Secondo Anderson, 19 dei principali produttori mondiali di gas e petrolio – quelli più ricchi in termini di Pil pro capite, tra cui Stati Uniti, Canada, Gran Bretagna, Norvegia, Emirati Arabi – dovranno cessare totalmente la produzione oil & gas entro il 2034 con un taglio del 74% entro il 2030.

Tutti gli altri Paesi produttori di fossili dovranno fermare le loro attività in questo settore tra 2039 e 2050. Ultimi a uscire dai combustibili fossili saranno i Paesi più poveri, che quindi hanno bisogno di più tempo e più sostegno internazionale per trasformare le loro economie.

Gli eventi geopolitici di queste settimane mostrano con chiarezza quanto sia urgente ridefinire dalle fondamenta il mix energetico non solo europeo, ma anche a livello globale.

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