Il ginepraio del gas liquefatto

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Dal gas russo al GNL americano. Quanto è economicamente fattibile e sostenibile questo tentativo di diversificazione del fornitore di metano?

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Secondo il quotidiano Berliner Zeitung le autorità tedesche stanno preparando il sistema economico tedesco ad un possibile razionamento energetico.

Il quotidiano tedesco riporta che molte aziende hanno ricevuto in questi giorni un’informativa dai loro fornitori di gas in merito a una possibile forte riduzione dell’offerta e perfino ad una chiusura in futuro.

Lo stop alla produzione di migliaia industrie in Germania è un’eventualità che il governo tedesco sta valutando con serietà, anche se potrebbe verificarsi non nell’immediato. Minore sarebbe l’impatto per i consumatori domestici che hanno una garanzia di priorità nelle forniture energetiche.

Un problema molto grave per un paese che dipende per il 55% dal gas russo e con un’economia legata a filo doppio con molti paesi europei, in particolare l’Italia. Molto più incombente per l’Europa è poi la possibile forte riduzione di forniture di petrolio e dei suoi prodotti, come il diesel.

Anche in Italia si pensa a come affrontare un razionamento in caso di blocco delle forniture di gas dalla Russia. Nei cassetti c’è il “Piano di Emergenza del sistema italiano del gas naturale” (Allegato 2 al dm 18 dicembre 2019), che prevede tra le altre cose l’interrompibilità nel settore industriale e sui consumi di gas del termoelettrico, e c’è quanto disposto dal secondo decreto legge Ucraina del 28 febbraio secondo il quale, in caso di emergenza, si renderebbe immediatamente attuabile la riduzione del consumo di gas delle centrali elettriche oggi attive, attraverso la massimizzazione della produzione da altre fonti (carbone) e fermo restando il contributo delle energie rinnovabili.

L’Unione europea sta così puntando a diversificare le sue fonti di offerta del metano, invece di mettere subito seriamente mano a una strategia che lo riduca drasticamente, anche se non è così di facile e immediata attuazione.

Vediamo che tra i temi del Consiglio Europeo c’è appunto l’obiettivo di puntare a farsi spedire via nave dagli Usa il gas naturale liquefatto, il GNL, cioè un gas che si sposta in forma liquida e poi viene rigassificato in impianti dedicati. Si parla di 15 mld di mc nel breve e 50 fino al 2030, cioè un terzo degli attuali consumi dei paesi membri.

È una soluzione fattibile e, soprattutto, sostenibile?

A fine 2021 l’export su navi gasiere degli Usa era appena di 4,9 milioni di metri cubi, cioè lo 0,3% di quanto importato dalla Russia tramite gasdotti. Una quantità che è aumentata nei primi mesi del 2022 proprio per l’elevato prezzo europeo del metano.

Già uno studio del Centro ricerche del Parlamento Europeo del 2014 spiegava perché il gas statunitense, anche allora in ottica di minore dipendenza russa (invasione della Crimea), era considerato ben poco conveniente dal punto di vista economico e ambientale.

Lo studio, sintetizzato e tradotto dall’ex deputato europeo Dario Tamburrano, dal titolo “Unconventional gas and oil in North America. The impact of shale gas and tight oil on the US and Canadian economies and on global energy trade flows” (pdf), mostrava come questo gas, estratto tramite il metodo altamente impattante del fracking, avrebbe dato più che altro benefici all’economia Usa e svantaggi a quella europea visto l’elevato prezzo della fornitura.

In quell’anno il gas da fracking Usa costava 4 $/MMbtu, anche se all’epoca i costi di estrazione erano tra 4 e 7 dollari. Cioè si vendeva in perdita anche per i precedenti accordi contrattuali di lunga durata, sebbene senza troppi danni per le stesse società di fracking. Nello stesso periodo i principali importatori, Gran Bretagna e Germania, lo pagavano tra 8 e 10,5 $/MMbtu.

Alla fine del 2014 si stimava che l’abbondante gas presente negli States potesse essere importato in Europa negli anni successivi intorno agli 11 $/MMbtu, anche a causa degli elevati costi di trasporto. Consideriamo infatti che il gas viaggia sulle navi a una temperatura di -162° per ridurre il suo volume di circa 600 volte.

Sempre in quel periodo il gas russo era sui 9 dollari. Oggi chiaramente i costi sono molto più elevati e comunque i costi di estrazione/trasporto sarebbero molto più elevati del gas russo.

Basti pensare, come accertano alcuni analisti, che per trasportare quei 50 miliardi di metri cubi di gas che il nostro continente richiederebbe, gli Stati Uniti dovrebbero spendere 20 miliardi di dollari per costruire nuovi terminal (costo intorno a 1 mld $ ciascuno) e altri 9 miliardi per dotarsi di una flotta sufficiente di navi per effettuare il trasporto.

In Europa ci sono 28 rigassificatori (tre in Italia, di cui due funzionano al 25% circa). Quindi ne servirebbero molti di più (spesso finanziati con risorse pubbliche). La costruzione di alcuni di essi è stata avviata, ma i tempi per farlo non sono brevi e vanno dai due ai cinque anni.

Poiché le navi gasiere seguono il mercato non è detto che possano improvvisamente girare la prua verso l’Asia, affamata di energia e disposta a pagare il GNL molto di più.

Comunque, le variabili sui prezzi del gas, soprattutto il GNL, come abbiamo visto sono tante, e anche se venissero definiti dei contratti di lunga durata ci chiediamo per quanto tempo possano valere, alla luce delle tante incertezze legate a questa fonte.

Non ultima il notevole impatto ambientale e le elevate emissioni ad esso legate, quindi per le esternalità che ricadono sul produttore statunitense.

Il metano ha impatto climalterante di 85 volte quello della CO2 su un arco di 20 anni (stima della Commissione europea, anche se la CO2 rimane nell’atmosfera per migliaia di anni, mentre il metano scompare in circa 10-15 anni) e la tecnica dell’estrazione della fratturazione crea inquinamenti rilevanti alle falde acquifere dei territori coinvolti.

Si è anche scoperto che sono soprattutto le perdite dai giacimenti che iniziano a preoccupare, perché sono molte più elevate di quanto si poteva stimare qualche anno fa. Questo metano può essere rilasciato dai pozzi sia di proposito, in un processo noto come sfiato, sia attraverso perdite involontarie dovute all’invecchiamento o ad apparecchiature difettose.

Ebbene, secondo un professore di ecologia e biologia ambientale alla Cornell University, Robert Howarth, anche alla luce di studi provenienti da diverse fonti, il dato delle perdite sulla produzione lorda di gas stimate dall’Agenzia per la protezione ambientale statunitense (EPA) siano ampiamente sottovalutate rispetto ai dati reali, quasi di fattore 7 (9,4% contro 1,4%).

Nel medio periodo (entro il decennio) continuare a puntare sul gas, russo o americano o dalla penisola arabica, è chiaro che significa ficcarsi dentro un ginepraio da cui sarà difficile districarsi.

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