Troppo poco per la sfida che abbiamo davanti, ma alla Cop 24 qualcosa si è concluso. E non era scontato date le premesse. Sugli impegni concreti di riduzione delle emissioni è tutto rinviato al 2020, ma almeno si è trovato un accordo sulle regole per fissare e monitorare questi obiettivi.
Questo, in estrema sintesi, l’esito della COP24 sul clima di Katowice, conclusasi nella notte stra sabato e domenica, dopo quindici giorni di negoziato serrato e prolungato, durato un giorno più del previsto.
Le aspettative sull’incontro erano basse, viste le condizioni generali in cui si è arrivati alla conferenza: gli Usa che si sono tirati fuori dai negoziati, paesi scettici come Brasile e Australia, la Francia praticamente assente, e, di contorno, la puzza di carbone del distretto minerario di Katowice nella Polonia che continua a battersi per difendere questa fonte dannosissima per il clima, da cui è fortemente dipendente.
Per questo è forse meno deludente che l’azione vera e propria sia stata solo rinviata e che almeno siano state fissate le regole, con la finalizzazione del Paris Rulebook (documenti allegati in basso).
La sfida vera si avrà nel 2020, quando i Paesi dovranno dichiarare il reale innalzamento degli obiettivi che si propongono, ma almeno si è trovato un terreno comune per definire e misurare questi impegni, in coincidenza con la COP 26, per la quale il ministro dell’Ambiente Sergio Costa ha annunciato ufficialmente la candidatura dell’Italia, a cui si aggiunge quella del Regno Unito.
Tra i punti più rilevanti del rulebook approvato in Polonia ci sono le informazioni necessarie per la revisione dei Contributi determinati a livello nazionale (NDC) e per la contabilizzazione degli impegni adottati, nonché l’insieme di regole condivise per la trasparenza delle azioni e del supporto, che implementano l’articolo 13 dell’Accordo di Parigi.
A tal proposito molto importante – leggiamo dall’analisi dettagliata che ne fa il blog specializzato Climalteranti.it – è che sia stata archiviata la tradizionale differenziazione degli obblighi (la cosiddetta “biforcazione”) tra paesi industrializzati e in via di sviluppo, con l’adozione di regole comuni e la previsione di flessibilità per quei Paesi in via sviluppo che ne necessitano in base alle proprie capacità.
Cuore del nuovo pacchetto di regole, che permetterà all’Accordo di Parigi una piena implementazione pur nel rispetto degli NDC e delle rispettive capacità, è poi la costruzione di un sistema di reporting e monitoraggio comune a tutte le Parti, fondato sui principi di Trasparenza, Accuratezza, Completezza, Coerenza e Comparabilità (TACCC).
Sugli obiettivi nazionali, come detto, si rinvia: i punti 22 e 23 del testo principale indicano che tutti i Paesi che hanno già inviato un proprio Contributo determinato a livello nazionale sono invitati ad aggiornarlo, rendendolo più ambizioso nei suoi obiettivi al 2030, entro due anni.
In parallelo, i Paesi che hanno a suo tempo indicato un Intended NDC, ma non avendo ancora ratificato l’Accordo non lo hanno trasformato in NDC sono chiamati a farlo. Chi si era fermato al 2025 è chiamato ad allungare l’orizzonte del suo NDC, in modo da renderli tutti i contributi confrontabili tra loro con un orizzonte 2030.
I paesi che non hanno ancora una strategia di lungo periodo sono invitati a dotarsene, in base al punto 21 del testo principale.
La prossima conferenza delle Parti, CoP 25, si terrà a novembre 2019 in Cile, co-organizzata con la Costa Rica dove un mese prima si terrà la pre-COP.
Seguirà nel 2020 l’appuntamento più importante (forse in Italia?) della CoP 26. Sul tavolo ci saranno finalmente anche i numeri degli impegni nazionali per tagliare i gas serra.
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