Con price cap e definizione di biomassa primaria, a rischio l’unica rinnovabile programmabile

CATEGORIE:

Le criticità per il settore delle biomasse solide derivanti dalle due questioni in discussione in Europa indeboliscono un settore che rischia di interrompere le sue attività già dal prossimo anno. La posizione e le richieste dell'associazione EBS (Energia da Biomasse Solide) e del suo presidente, Antonio Di Cosimo.

ADV
image_pdfimage_print

La revisione della direttiva RED III e la proposta 2022/0289 di regolamento del Consiglio relativa a un intervento di emergenza per far fronte al rincaro dei prezzi dell’energia, presentata dalla Commissione Europea lo scorso 14 settembre, mettono a rischio il settore delle biomasse solide con ricadute negative per la transizione energetica.

Le biomasse solide sono l’unica rinnovabile programmabile e per questo forniscono un contributo fondamentale all’indipendenza energetica del nostro Paese e dell’Europa e alla decarbonizzazione. Il settore sostiene una filiera che conta oltre 2mila aziende fra produttori, fornitori e trasportatori con decine di migliaia di lavoratori.

I principali operatori industriali in Italia sono riuniti nell’Associazione EBS (Energia da Biomasse Solide) e, con una potenza installata di circa 780 MWe, rappresentano circa il 50% della produzione di energia elettrica da biomasse solide in Italia, pari a oltre 4.000 GWh/anno (4 TWh, sui 18 circa generati da tutte le bioenergie nel 2021, ndr).

Per produrre la stessa energia sarebbero necessari 800 milioni di tonnellate di metri cubi di gas. Tra le bioenergie, che rappresentano il 16% della produzione rinnovabile elettrica nazionale, le biomasse solide pesano per il 40%.

Le criticità derivanti dalle suddette discussioni a livello europeo sono principalmente due.

La prima riguarda l’introduzione di un tetto sui ricavi fissato a 180 euro per MWh di energia elettrica prodotta e l’assimilazione delle biomasse solide ad altre tecnologie per la produzione di energia rinnovabile cosiddette “inframarginali”.

A differenza di altre fonti di energia rinnovabile, però, gli impianti a biomassa solida affrontano costi variabili di produzione significativi, principalmente legati al costo di approvvigionamento e logistica del combustibile, che li rende soggetti a dinamiche di mercato specifiche.

Il tetto ai ricavi si porrebbe dunque al di sotto dei costi di produzione di elettricità da biomasse solide, comportando di fatto il rischio di chiusura degli impianti, con contestuale perdita della relativa produzione di energia rinnovabile e possibile sostituzione con consumo di combustibili fossili.

Il presidente di EBS, Antonio Di Cosimo, afferma: “Sarebbe opportuna una riflessione sulle specificità della produzione di energia da biomasse solide. Riteniamo che la bozza di testo di compromesso della presidenza ceca del Consiglio, circolata nei giorni scorsi, vada nella giusta direzione di consentire agli Stati membri di introdurre tetti diversi dai 180 €/MWh per produttori con costi livellati dell’energia superiori a tale quota. Ancora più opportuno sarebbe riconoscere la peculiarità delle biomasse solide rispetto ad altre rinnovabili, ovvero il fatto che gli operatori ne sostengono il costo, escludendole dall’elenco delle fonti di energia per le quali si prevede l’applicazione del tetto ai ricavi”.

In riferimento alla RED III, l’Associazione EBS rileva il secondo punto in questione: la posizione del Parlamento Europeo vieta l’incentivazione della biomassa legnosa primaria e il suo utilizzo per la verifica del rispetto degli obblighi di energia rinnovabile.

In questa definizione di biomassa primaria è compreso tutto il legname abbattuto o comunque tagliato e asportato; tutto il legno ottenuto dalle rimozioni, ovvero le quantità di legno asportate dalle foreste, compreso il legno recuperato a causa della mortalità naturale, dell’abbattimento e del disboscamento; tutto il legno rimosso con o senza corteccia, compreso il legno rimosso in forma rotonda o divisa, grossolanamente squadrata o meno, ad esempio rami, radici, ceppi e radica (quando raccolti) e legno grossolanamente sagomato o appuntito.

“Ma gran parte della biomassa indicata non è adatta per l’uso in altre industrie della lavorazione del legno, come segherie, industria della cellulosa e della carta, perché la sua qualità è troppo bassa”, spiega Di Cosimo.

Se tale biomassa di qualità inferiore – prosegue – non viene utilizzata per produrre bioenergia, rimarrà nelle foreste, aumentando i rischi di focolai di parassiti e incendi. Per ridurre al minimo questi rischi, EBS chiede che la legislazione dell’UE consenta agli Stati membri e ai silvicoltori di rimuovere e vendere biomassa di bassa qualità dalle loro foreste ai fini della produzione di energia, in una logica di economia circolare. In sostanza chiediamo che non venga utilizzata la definizione di biomassa primaria come indicatore della sostenibilità della biomassa”.

Ogni anno il settore industriale delle biomasse solide utilizza oltre 2,5 milioni di tonnellate di biomassa che proviene da materiale residuale o di scarto: sottoprodotti dell’agricoltura, come le vinacce esauste nel settore vitivinicolo; materiale residuale e non diversamente utilizzabile dell’industria del legno.

Parte dei residui proviene anche dalla pulizia degli argini, dalle potature e dalla pulizia dei boschi che in Italia crescono del 7% ogni anno e hanno bisogno di una adeguata manutenzione per contenere sia i numerosi incendi che ogni anno flagellano le nostre regioni sia i gravi rischi idrogeologici.

“Noi arriviamo alla fine di un sistema a cascata: quando quel materiale non ha più nessun utilizzo finisce da noi per produrre energia elettrica”, aggiunge il presidente di EBS.

I punti in discussione a livello europeo si sommano a un contesto di grande incertezza che caratterizzava già il settore.

Tra il 2023 e il 2028 la maggior parte degli impianti a biomassa solida con potenza superiore a 5 MWe nominali, termineranno gli incentivi relativi alla Convenzione GRIN (Gestione Riconoscimento Incentivo) e in mancanza di adeguati provvedimenti dovranno essere spenti.

Il quadro regolatorio non è mai stato pienamente definito e questo impedisce investimenti. “Se questi supporti al settore che consentono di pagare la biomassa non verranno definiti, dal prossimo anno i nostri impianti inizieranno progressivamente a chiudere”, conclude Antonio Di Cosimo.

L’Associazione EBS raggruppa i principali produttori industriali di energia elettrica rinnovabile da biomasse solide, con 19 impianti di potenza superiore a 5 MWe collocati su tutto il territorio nazionale.

ADV
×