Comunità energetiche, in Italia serve una disciplina di applicazione

I princìpi essenziali per lo sviluppo delle comunità di energia rinnovabile dovrebbero essere previsti nel PNIEC, ma nell’attuale versione non sono dettagliati. Un'analisi del quadro normativo.

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Dal 2013 l’autoconsumo in Italia ha una disciplina organica stabilita dalla Delibera 578/2013 di Arera, fondata sul principio base che la produzione e il consumo debbano essere sullo stesso sito e che in un sistema di autoconsumo non vi possano essere più di un consumatore e di un produttore.

Tale disciplina ha garantito interessanti ritorni economici per l’esenzione dagli oneri di sistema, ma esclude di fatto dal suo campo di applicazione tutti i soggetti insediati in edifici multiutenti e non consente negli ambiti cittadini e residenziali la migliore utilizzazione delle aree disponibili per il fotovoltaico.

L’Articolo 22 della recente direttiva 2018/2001 sulla promozione dell’uso di energia da fonte rinnovabile (Direttiva Rinnovabili) ha indicato nella comunità di energia rinnovabile uno strumento privilegiato per aumentare e rendere più efficienti le installazioni di impianti a fonte rinnovabile.

La Direttiva Rinnovabili individua alla base della disciplina delle comunità di energia rinnovabile princìpi molto innovativi:

  • la condivisione fra i membri della comunità dell’energia prodotta e istantaneamente consumata;
  • la vicinanza fra produzione e consumo come principio di carattere sostanziale e non meramente formale e quindi a prescindere dalla contiguità;
  • le comunità dovrebbero essere uno strumento aperto cui possano aderire tutti i cittadini, gli enti locali e le piccole medie imprese del territorio;
  • l’obiettivo della comunità dovrebbe essere quello di dare benefici alla comunità locale e non di creare profitti finanziari;
  • i membri della comunità locale devono mantenere i propri diritti come consumatori individuali e quindi la propria bolletta e la possibilità di scegliere il proprio fornitore di energia;
  • le comunità di energia rinnovabile non devono agire in condizioni di privilegio rispetto agli altri operatori, devono pagare solo gli oneri che risultano pertinenti, tenendo in considerazione una analisi dei costi e dei benefici sociali ed ambientali che possono dare;
  • le comunità di energia rinnovabile nonostante la loro limitata e particolare dimensione dovranno avere la possibilità di accedere a tutti i mercati e ai regimi di incentivazione.

Tali princìpi sono esplicitati dal punto 65 al punto 72 delle premesse della Direttiva Rinnovabili e nell’Articolo 22 della stessa, oltre che nella definizione di Comunità di Energia Rinnovabile. Trattandosi di una configurazione completamente nuova per struttura e finalità occorre contestualizzare e mettere in pratica tali princìpi.

La comunità di energia rinnovabile, secondo la definizione della Direttiva Rinnovabili, non ha precluso alcuna forma societaria o associativa purché sia identificabile come soggetto cui attribuire una responsabilità giuridica e non sia principalmente finalizzata a profitti finanziari.

La Comunità di energia rinnovabile deve avere una struttura aperta e quindi la possibilità di associare sul territorio tutti i soci che di volta in volta ne manifestino la volontà, purché siano nel perimetro di operatività della comunità stessa.

La Comunità di energia rinnovabile deve garantire la vicinanza fra clienti finali consumatori e impianti di produzione. Non possono esservi requisiti di carattere reddituale o di affidabilità economico-finanziaria fra i criteri per l’accesso alla comunità di energia rinnovabile, in quanto la stessa deve essere aperta ai consumatori appartenenti a famiglie a basso reddito. Va sottolineato che questo non esclude che i soggetti a basso reddito debbano poi adempiere agli obblighi che si assumono in quanto soci.

Varietà associativa

Nell’ordinamento italiano dovrebbe essere possibile ricorrere sia ad associazioni e a società cooperative sia a società che possono avere anche finalità commerciali come le società a responsabilità limitata, le società per accomandita o le società in nome collettivo, purché venga previsto statutariamente che lo scopo prevalente non è quello di distribuire profitti ai soci.

In proposito potrebbe essere valorizzato lo strumento dell’impresa sociale che gode di vantaggi fiscali. Per salvaguardare l’autonomia delle comunità di energia rinnovabile non potranno essere soci quei soggetti che abbiano la partecipazione nella comunità di energia rinnovabile come attività principale.

Non vi potranno poi essere accordi che consentano ai soggetti che finanziano gli investimenti di controllare la comunità di energia rinnovabile.

Le risorse per gli investimenti dovranno venire o dalla raccolta diffusa presso i soci o da istituti di credito ovvero dall’utilizzo di strutture a bassa intensità d’investimento come la locazione operativa per lo sviluppo dei progetti.

Le comunità di energia rinnovabile condividono fra i soci l’energia prodotta, ma allo stesso tempo devono mantenere i diritti e i doveri dei soci in quanto clienti finali.

Da ciò ne deriva che i clienti finali soci di una comunità di energia rinnovabile continueranno ad avere la propria bolletta elettrica con un fornitore di energia di loro scelta e continueranno ad avere livelli di servizio garantiti dal gestore della linea di distribuzione pubblica.

Ne consegue che, salvo eccezioni, i soci della comunità energetica rinnovabile continueranno a essere collegati alla rete pubblica. Tant’è che lo stesso articolo 22 della Direttiva Rinnovabili stabilisce che il gestore del sistema di distribuzione deve cooperare con le comunità di energia per facilitare i trasferimenti di energia all’interno delle comunità di energia rinnovabile.

Le comunità di energia rinnovabile produrranno energia elettrica dai propri impianti da fonte rinnovabile che immetteranno l’energia nella rete pubblica sita nel perimetro d’azione della comunità energetica.

In corrispondenza dei centri di produzione o dei centri di consumo, ovvero in punti di connessione autonomi, la comunità energetica potrà gestire unità di accumulo, finalizzate a massimizzare l’energia condivisa. L’energia consumata dai soci simultaneamente alla produzione sarà considerata energia condivisa.

L’energia condivisa sarà ripartita fra i soci secondo i criteri che saranno stabiliti nello Statuto dai soci stessi. L’energia condivisa dovrebbe essere scomputata dalle bollette di acquisto dei clienti finali come valore della materia prima e in relazione a quegli oneri che tale energia non fa sopportare al sistema elettrico.

Gli oneri risparmiati dovrebbero essere essenzialmente gli oneri di trasmissione che si pagano con la componente variabile delle tariffe di distribuzione e trasmissione (cfr. in proposito pag. 6 dell’Allegato alla memoria 94/2019 di Arera), nonché una quota parte degli oneri di dispacciamento, che tiene conto del fatto che l’energia condivisa viene condivisa a livello locale e non va sui mercati dell’energia. Insieme a tali oneri verrebbe risparmiata l’imposta sul valore aggiunto su tali componenti che escono dalla bolletta.

Gli oneri di sistema, cioè gli oneri che vanno a remunerare in gran parte lo sviluppo delle rinnovabili, non sono tariffe riferite ad un servizio specifico, ma oneri di natura para-fiscale, quindi in linea di principio queste dovrebbero essere pagate anche sull’energia condivisa.

Secondo la Direttiva Rinnovabili le comunità energetiche devono contribuire in modo adeguato, equo ed equilibrato ai costi del sistema secondo una analisi costi-benefici. A valle di tale analisi costi-benefici le autorità nazionali dovranno dunque valutare se vi sia la necessità di discipline speciali nella quantificazione degli oneri di sistema per le comunità di energia rinnovabile ovvero se sia più opportuna la concessione di benefici in forma di incentivi espliciti.

I sistemi incentivanti dovranno garantire alle comunità di energia rinnovabile di poter partecipare alle procedure per ottenere tali benefici.

Sarà dunque importante che non vi siano restrizioni legate alla taglia dell’impianto o alla forma societaria adottata dalla comunità energetica rinnovabile per l’accesso alle detrazioni fiscali per le ristrutturazioni edilizie sugli edifici residenziali.

Rileva notare che i princìpi essenziali del quadro favorevole per le comunità di energia rinnovabile dovrebbero essere previsti nel Piano Nazionale Energia Clima ai sensi dell’Articolo 22 comma 5 della Direttiva Rinnovabili, mentre nell’attuale versione del Piano questi princìpi non risultano dettagliati.

È dunque urgente indicare tali princìpi e dare pronta attuazione allo strumento della Comunità di Energia Rinnovabile che coinvolgendo direttamente i consumatori nella produzione e consumo di energia contribuirà in modo molto significativo a risolvere alcuni dei principali problemi della transizione energetica, quali la accettazione della installazione degli impianti sul territorio, la necessità di adeguare i consumi per spostarli sulle ore in cui è disponibile l’energia rinnovabile e l’accompagnamento dei soggetti più deboli.

L’articolo è stato pubblicato sul n.4/2019 della rivista bimestrale QualEnergia, con il titolo “Energia condivisa”.

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