Per l’Europa la capacità di ritagliarsi un proprio spazio nella produzione di batterie, che sia sostenibile non solo a livello ambientale ma anche industriale, sarà cruciale per affrontare il rapido sviluppo della mobilità elettrica e quello delle reti, chiamate a supportare il crescente apporto delle fonti rinnovabili con sistemi di accumulo stazionario.
La richiesta di batterie aumenterà a livelli esponenziali e il fatto che la loro disponibilità sia legata a materie prime (litio, nichel, manganese, cobalto e grafite) di difficile reperibilità e a produzioni concentrate in pochi Paesi pone più di un punto interrogativo sulla sicurezza degli approvvigionamenti.
“Le case automobilistiche europee si rendono conto che dipendere solamente da qualche nazione dell’estremo oriente per l’approvvigionamento di batterie è un rischio enorme, anche perché si tratta di Paesi concorrenti nel settore automotive”, ci dice Luigi Mazzocchi, direttore del Dipartimento Tecnologie di Generazione e Materiali di RSE.
“La European Battery Alliance, l’Airbus delle batterie come l’ha chiamata qualcuno – spiega – è nata proprio per far nascere in Europa una produzione di batterie su grande scala per alimentare la mobilità elettrica, grazie alle gigafactory in grado di produrre svariati gigawattora all’anno di capacità”.
In Europa ci sono già alcune gigafactory attive e diverse iniziative per la loro costruzione, tutte applicano la tecnologia agli ioni di litio. Come osserva Mazzocchi, però, il problema è a monte: se le materie prime sono controllate da pochi Paesi esteri, che sono poi gli stessi produttori di batterie, il rischio resta. Come fare per ridurre la dipendenza?
“Trovare canali di approvvigionamento diversi per le materie prime è una soluzione, ad esempio con accordi mirati in America Latina. Poi c’è la strada dell’economia circolare, con il recupero e il riciclo di materie prime dalle batterie a fine vita, oppure il riciclo delle batterie stesse. Ma in un mercato in cui i volumi cresceranno forse di 100 volte nel giro di pochi anni, questo non sarà sufficiente. Dobbiamo provare a cambiare tecnologia, escludendo per scelta progettuale materie prime critiche”, dice l’esperto di RSE.
Da questi presupposti è nata l’idea di progettare batterie utilizzando gli ioni di sodio al posto degli ioni di litio. Il sodio è un metallo alcalino come il litio, un po’ più pesante, con una densità energetica inferiore, ma con proprietà chimiche ed elettrochimiche molto simili e in grado di garantire buone prestazioni nelle batterie. Oggi siamo al 20-30% in meno rispetto al litio, ma si migliorerà.
Ha il vantaggio di essere facilmente reperibile in natura, per esempio dal sale dall’acqua del mare, e di non dover essere estratto con pesanti impatti ambientali.
Il vero nodo da sciogliere è relativo ai materiali con cui sono realizzate le interfacce dove lo ione deve transitare per compiere il suo ciclo nelle fasi di carica e scarica: anodo, catodo ed elettroliti, che permettono il passaggio degli ioni tra i primi due. Tutti questi componenti sono realizzati oggi con materiali critici o comunque concentrati in poche nazioni.
La soluzione finale non c’è ed esiste ancora qualche criticità da risolvere, ma ci si sta lavorando. In Italia lo sta facendo proprio RSE (Ricerca Sistema Energetico), il punto di riferimento nazionale in questo campo, insieme ad Enea, al CNR e a un gruppo di Università, tra le quali il Politecnico di Torino, l’Università Milano Bicocca, l’Università di Pavia, l’Università di Brescia.
Lo scopo è quello di fornire maggiori chances di competere in questo settore alla filiera industriale italiana, in linea proprio con gli obiettivi della European Battery Alliance.
Ciascuno con le proprie competenze, gli attori del “pool” stanno sperimentando classi di materiali diversi da quelli utilizzati nelle batterie ioni-litio: più sostenibili, a basso costo e facilmente fruibili, come materiali ceramici, miscele di vari metalli oppure come l’hard carbon prodotto tramite pirolisi da rifiuti organici di biomassa, che potrebbe sostituire la grafite nell’anodo. I test nei laboratori hanno mostrato materiali relativamente facili da produrre e con prestazioni molto valide.
“Una batteria è un dispositivo complesso e le sue prestazioni dipendono da tutte le sue componenti”, sottolinea il direttore RSE.
“Per il settore automotive ci sono tre principali requisiti che si devono rispettare: alta densità energetica, perché sui veicoli servono peso e volume contenuto; stabilità nel tempo perché una batteria deve durare almeno quanto un’automobile, evitando la sostituzione nel ciclo di vita; sicurezza contro gli incendi, un problema in realtà non drammatico e che peraltro riguarda anche le auto a combustione interna, ma sul quale si può ancora lavorare. Il nostro lavoro è partito cercando di capire quali formulazioni chimico-fisiche possano essere più adatte tenendo d’occhio tutti questi fattori, partendo sempre dal presupposto di non utilizzare materiali critici”, spiega Mazzocchi.
Attraverso il lavoro nei laboratori sono stati realizzati prototipi di piccole celle provate fino a 1.500 cicli (equivalenti a 4 o 5 anni di vita considerando una carica e scarica al giorno), ancora distanti dai 6.000 cicli delle migliori batterie al litio; ma è un obiettivo che appare raggiungibile. Si sta procedendo anche con lo scale-up per la realizzazione di celle “a tasca”, un po’ più grandi.
“Riteniamo di aver trovato soluzioni interessanti: si riescono a creare sostanze molto pure, quindi le prestazioni sono buone – aggiunge Mazzocchi – ma dobbiamo dimostrare una ciclabilità ancora più elevata, poi occorre ragionare su una linea produttiva pilota per capire come potrà procedere l’industrializzazione. Una fase che non sarà comunque ad alto rischio di insuccesso, perché si tratta di due tecnologie, litio e sodio, che hanno molti elementi in comune.
Per lo sviluppo industriale potranno entrare in gioco realtà appartenenti alla filiera interessate a portare sulle linee produttive italiane questa innovazione tecnologica.
I finanziamenti pubblici saranno ancora fondamentali per l’incontro tra ricerca e industria, ma le cinque aziende intervenute al convegno organizzato il 15 febbraio nella sede di Regione Lombardia da RSE si dichiarano pronte.
Tra queste c’è Famm, che produce batterie a ioni-litio e intende arrivare alla scala delle gigafactory. Poi c’è Midac Batteries, che finora non ha prodotto celle ioni-litio, ma realizza batterie ed è intenzionata ad estendere il proprio raggio d’azione.
Ci sono, inoltre, Syensqo (ex Solvay) e Alkeemia che si occupano di un tema specifico molto importante che è quello degli elettroliti, dove la ricerca sta puntando verso lo stato solido per ottenere ancora più sicurezza e stabilità. Infine, c’è Manz Italia, specializzata nella costruzione di linee produttive, un aspetto fondamentale per aumentare l’efficienza e diminuire i costi di produzione.
La sostenibilità economica, infatti, ormai non si gioca sul contenimento dell’incidenza del personale, ma sui costi dei materiali e sull’automazione e la produttività. L’orizzonte che intravedono queste aziende è quello di una filiera internazionale guidata dalle specializzazioni dei singoli Paesi europei, attraverso alleanze strategiche tra le diverse aziende.
Quando le batterie agli ioni-sodio potranno diventare un’alternativa concreta agli ioni-litio nei veicoli elettrici europei?
“Attorno al 2030 ci potrebbe essere già una piccola fetta del mercato delle batterie soddisfatta dalla nuova tecnologia – conclude Mazzocchi -. Per affiancare le batterie a ioni-litio esistono diverse opzioni che si stanno sperimentando nel mondo, ma quella del sodio è una strada certamente percorribile e non lontano dall’essere applicata. In Cina stanno già proponendo batterie al sodio per i veicoli elettrici. Ma se siamo rapidi ed efficaci…”