Clima, perché bisogna spegnere le centrali a fonti fossili con 10-30 anni di anticipo

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Bisognerà più che dimezzare la vita utile delle centrali termoelettriche se si vogliono centrare i target di riduzione delle emissioni. Lo spiega un recente studio.

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Le centrali a carbone e a gas dovrebbero chiudere da 10 a 30 anni prima della scadenza rispetto alla loro abituale vita utile di 35 o 40 anni, in modo da poter raggiungere gli obiettivi climatici.

Lo ha indicato uno studio pubblicato sul Journal de l’Environnement (link in basso) che afferma come tutti gli scenari climatici convergano sulla stessa conclusione: per rimanere sotto l’obiettivo di un aumento di 2 °C rispetto ai livelli preindustriali, o anche a +1,5 °C, le emissioni di gas serra nel mondo dovranno diminuire rapidamente, per raggiungere la neutralità del carbonio entro la metà del secolo.

Se sulla carta le cose potrebbero sembrare semplici, la realtà è molto diversa. Le centrali elettriche a carbone e a gas, infatti, hanno una durata media di vita rispettivamente di 39 e 36 anni.

Ciò significa che, a meno che non ci si basi sempre più su delle loro ipotetiche emissioni negative, grazie a soluzioni come il sequestro del carbonio, che però al momento non garantiscono le indispensabili economie di scala, sarà necessario dismettere in anticipo molte centrali a energie fossili.

Il surplus di emissioni che si verificherebbe se le centrali termoelettriche non venissero chiuse anticipatamente sarebbe particolarmente pronunciato in Cina, dove si trova la metà delle centrali a carbone esistenti al mondo, la maggior parte delle quali ha meno di 15 anni di vita.

Se le centrali termoelettriche negli Stati Uniti dovessero rimanere attive per tutta la loro normale attesa di vita, il loro surplus di emissioni sarebbe inferiore del 26% rispetto a quello della Cina, mentre in Europa occidentale sarebbe inferiore dell’87%, data la minore presenza di centrali termoelettriche e la loro età più avanzata.

Secondo i ricercatori, gli studi sul riscaldamento globale fanno fatica a tenere conto dell’inerzia del settore energetico, che finisce per “blindare” le emissioni a livelli elevati.

Riorientare migliaia di miliardi di dollari di capitale privato dopo che le centrali elettriche hanno raggiunto solo un quarto della loro attesa di vita porrà enormi sfide politiche ed economiche“, hanno avvertito i ricercatori.

(articolo pubblicato già l’11 giugno 2020)

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